Negli ultimi tempi i telegiornali non fanno altro che bombardarci con notizie relative al PIL e alla disoccupazione. Con toni propagandistici e intrisi di ottimismo, non fanno altro che parlare di innalzamento del PIL, miglioramento delle condizioni di vita per le classi meno abbienti e di un forte calo della disoccupazione. Secondo i dati ISTAT, infatti, la disoccupazione nel febbraio di quest’anno è scesa all’11,5%, la disoccupazione giovanile è calata raggiungendo il 35,2% (minimi storici registrati solo nel 2012) e il PIL è salito invece da +0,9% a +1%.

L’ISTAT ci mostra quindi dati postivi rispetto agli anni scorsi e il governo, spalleggiato dalle notizie gonfiate dei telegiornali di regime , non perde tempo per rassicurare le masse e illuderle su un non tanto lontano miglioramento delle condizioni di vita per i ceti medi e le classi lavoratrici. In maniera sempre più perentoria ogni anno si sente parlare di ripresa, nuovo rilancio dell’economia italiana, nuove politiche per la crescita.

La realtà, però, è ben diversa. In primo luogo bisogna subito chiarire che i dati ISTAT non contano tra i disoccupati coloro che non cercano un lavoro e coloro che studiano. Queste due categorie compongono quegli inattivi che nelle tabelle ISTAT continuano ad aumentare, sebbene su questo dato non ci si soffermi quasi mai. Secondo l’ISTAT, quindi, se studi o non cerchi lavoro non sei disoccupato. Peccato che chi studia non percepisce reddito e spesso, anche se in Italia è molto difficile, desidererebbe al tempo stesso lavorare per mantenersi gli studi. Chi non studia e non cerca lavoro, invece (i così detti NEET), nella maggior parte dei casi non percepisce un reddito e quindi vorrebbe lavorare ma, dopo tanti curriculum inviati e nessuna risposta ricevuta, finisce per chiudersi in un atteggiamento rinunciatario che è anche comprensibile.

Chi è riuscito a trovarsi un impiego, tuttavia, non sempre può dire che le sue condizioni di vita siano effettivamente migliorate. Nella maggioranza dei casi, infatti, si tratta di lavori stagionali in nero, contratti a tempo determinato o comunque precari a vario titolo. Ed è soprattutto adesso, durante il periodo estivo, che il lavoro stagionale è nel suo culmine – basta farsi un giro nelle zone costiere, come la riviera romagnola. Qui, come altrove, i lavoratori denunciano turni massacranti che vanno dalla mattina fino alla notte in ambienti spesso angusti, episodi di razzismo, mansioni al limite della sopportazione e retribuzioni misere. È una sorta di caporalato legalizzato posto sotto l’egida di un settore dinamico come è quello del turismo balneare.

Se una ripresa economica c’è, essa si fonda esclusivamente sull’ipersfruttamento dei lavoratori!

E il centro dell’impiego, che dovrebbe aiutare il singolo individuo a trovare un lavoro, è in realtà un servizio inefficiente e inutile in quanto si limita a fornire le possibili offerte di lavoro, senza dare alcun aiuto concreto ad inserirsi in un’azienda o in una cooperativa. Anche per partecipare ai concorsi è richiesta in molti casi l’iscrizione a Garanzia Giovani, in modo che l’azienda ospitante si possa esonerare dal pagamento di parte della retribuzione.

I presunti miglioramenti delle condizioni di vita dei lavoratori, tanto sbandierati dai media, si fondano dunque su un assistenzialismo barcollante.

Ma torniamo ai dati ISTAT. Chi lavora ma rimane in casa dei genitori anche dopo i 35 anni viene fatto passare dall’ISTAT per un “bamboccione”. I mass media, dal canto loro, tendono a porre l’accento su questo dato poco lusinghiero senza tener conto delle varie problematiche sociali che stanno alla base di questo fenomeno. Secondo l’ISTAT, infatti, i bamboccioni in Italia sono circa 7 milioni e la maggior parte di loro risulta occupata. Tralasciando che alcuni possano esserlo per scelta e onestamente non c’è nulla di male se lavorano, la stragrande maggioranza sembra esserlo per necessità, visto l’esorbitante costo della vita nella società odierna.

Proprio per queste ragioni non si può parlare di un vero miglioramento di vita per il ceto medio, la classe operaia e il sottoproletariato, anzi, negli ultimi mesi il conflitto tra disoccupati/precari e governo/classe borghese si sta accentuando sempre di più, al punto che per protesta molti giovani rifiutano giustamente lavori schiavistici e inumani. Il compito dei marxisti rivoluzionari è ora quello di guidare questo conflitto su una prospettiva più ampia e chiara di lotta dura al padronato!

Di Azimuth