Da qualche mese a Roma è partita la raccolta firme, promossa dal partito dei radicali, per liquidare ATAC, il servizio di trasporto pubblico cittadino, e dare tutto in mano a enti privati aprendo alla “concorrenza” attraverso misteriosi e non meglio specificati “bandi pubblici”.

Le modalità con cui viene proposta questa “soluzione” agli innumerevoli disagi che affliggono soprattutto studenti e lavoratori sempre in difficoltà con gli spostamenti fanno leva, da una parte, sugli evidenti disservizi del trasporto pubblico in una metropoli caotica e difficilmente gestibile come la Capitale (mentre scrivo un consistente tratto di metropolitana è chiuso e così rimarrà fino a inizio settembre), dall’altra su un bieco populismo che sa tanto di guerra tra poveri, ovvero sulla vulgata che l’autista o il macchinista siano degli scansafatiche, che non hanno voglia di lavorare e che quindi debbano “pagare” andando a lavorare per un privato che li sfrutti a dovere.

Ora esistono due livelli di discussione su questo fatto, entrambi interconnessi: da una parte c’è la realtà di una città che avrebbe bisogno di un servizio pubblico di trasporto efficiente date le dimensioni, che impiega un gran numero di lavoratori spesso costretti a straordinari e condizioni di lavoro a dir poco disagevoli, al netto del comportamento del singolo lavoratore, dall’altro ci sono dubbi molto seri sulla possibilità pratica di liberalizzare un servizio del genere. Tradizionalmente e alla prova dei fatti un privato acquisisce un’azienda se questa può produrre profitti, avere in gestione una linea centrale, quindi, può essere un buon affare, tanti turisti e l’estrazione di classe medio alta dei passeggeri possono fruttare soldi, soprattutto se si alza ulteriormente il prezzo del biglietto. Ma una linea di autobus che serve una zona semi-periferica o del tutto periferica dove l’utenza è composta principalmente quando non esclusivamente da lavoratori, operai e disoccupati? Come potrebbe mai sembrare un affare un acquisto del genere? Le liberalizzazioni, poi, da sempre portano con se problemi di ricollocamento di lavoratori e lavoratrici e nell’ATAC questi ammontano a dodicimila unità. Pensare che, con la crisi economica e la disoccupazione che galoppano, questi lavoratori possano essere assunti tutti e senza forti decurtazioni di stipendi è una chimera quando non malafede bella e buona.

C’è poi il caso Roma TPL che dovrebbe far ragionare sulla privatizzazione. Roma TPL è una spa che gestisce il 20% del servizio pubblico delle linee periferiche, questa azienda non paga gli stipendi anche per mesi agli autisti, che sono costretti a bloccare le rimesse a periodi più o meno costanti per farsi pagare il lavoro e che, proprio in questo periodo, affrontano l’incognita della scadenza del contratto che verrà rinnovato nel 2018, con tutto il carico di precarietà che questo comporta. Inutile dire che il servizio non sembra affatto migliorato. Anche in altri settori, primo fra tutti il servizio sanitario pubblico, è evidente che le infiltrazioni di privati (a partire da cooperative che sfruttano i lavoratori e le lavoratrici) non ha portato a un miglioramento del servizio stesso, e spesso hanno pesato sui conti pubblici avvantaggiandosi di finanziamenti comunali o regionali, ovvero delle tasse pagate dai lavoratori.

No, la liberalizzazione non può essere la soluzione per il malfunzionamento dei servizi pubblici. Un servizio pubblico fondamentale dovrebbe essere gratuito ed efficiente. Se si vuole fare una campagna per il miglioramento dei trasporti questa non può essere fondata sul puntare il dito contro lavoratori e lavoratrici, ma contro grandi manager super pagati e infiltrazioni di privati prezzolati dalle amministrazioni, da li vanno prese le risorse per far fronte al problema dei mezzi inadeguati (o forse è colpa di autisti e macchinisti se i freni di emergenza delle metro non funzionano e gli autobus PRENDONO FUOCO da soli?) e condizioni del servizio e di lavoro inaccettabili a partire da turni troppo lunghi per un lavoro fortemente usurante.

Noi non ci caschiamo e non abbiamo intenzione di sottostare alla regola della guerra tra poveri, viva la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici del servizio pubblico che è esplosa in questi mesi e che ha visto la quasi totalità del servizio paralizzato dagli scioperi. In questo campo come in tutti gli altri, si può vederla solo in due modi, o si punta alla privatizzazione mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro e che, di fatto, peserà anche sulle casse comunali, o si sta dalla parte dei lavoratori (e quindi anche dei lavoratori che usufruiscono del trasporto come utenti) con un piano che parta da un reale potenziamento del servizio, innanzitutto con nuovi mezzi e assunzioni a spese dei grandi manager. I servizi essenziali non devono diventare la mangiatoia dei privati.

di CM