–Ribaltata in appello la sentenza di primo grado: assolti o prosciolti per prescrizione tutti gli imputati–

Si chiude con una sentenza di assoluzioni e prescrizioni il processo di appello relativo al caso della Truck Center Sas, l’impianto di lavaggio di cisterne industriali, dove il 3 marzo del 2008 trovarono la morte per intossicazione acuta da acido solfidrico tre operai dipendenti dell’impresa, un autotrasportatore accorso in loro aiuto ed il datore di lavoro degli operai intervenuto in soccorso. A catena, scivolarono nella ferro-cisterna intossicati dall’inalazione di acido solfidrico.

Una prima sentenza del 26 ottobre 2009 del Tribunale di Trani aveva condannato i responsabili di tre società implicate nella vicenda – FS Logistica, La Cinque Biotrans e Truck Center – in relazione al trasporto ed allo smaltimento di sostanze qualificabili come rifiuti, alle emissioni non controllate di acido solfidrico in atmosfera ed alle violazioni delle prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro, fatti accaduti presso la raffineria dell’Eni a Taranto e presso l’impianto di produzione di acido solforico della Nuova Solmine Spa.

La sentenza del luglio 2017, ribaltando in appello quella di primo grado, ha assolto o prosciolto per prescrizione tutti gli imputati, con l’unica eccezione della stessa Truck Center, il cui unico socio accomandatario e rappresentante legale è una delle cinque persone decedute per intossicazione da acido solfidrico. Non viene considerato affatto il ruolo dell’Eni, che consentì l’uscita dell’acido solfidrico dal suo stabilimento. Un caso contorto ma non troppo di esternalizzazioni di mansioni presso piccole società come la Truck Center di Molfetta, addetta proprio al lavaggio delle cisterne di trasporto industriale e materiale vario. Un concorso di colpe in cui la FS Logistica, di concerto con la Nuova Solmine, aveva deciso di convertire al trasporto di acido solforico i tank container, commissionandone alla La Cinque Biotrans il lavaggio interno, dopo averli utilizzati per il trasporto di zolfo fuso, con successivo subappalto della prestazione alla Truck Center.

L’Eni, tuttavia, come sottolineato dal pubblico ministero del processo andato a sentenza nell’ottobre 2009, aveva trasgredito i “dettami della buona ingegneria industriale, consentendo l’uscita dai propri stabilimenti di partite di zolfo liquido con alte concentrazioni di acido solfidrico, caricate nelle cisterne senza precauzioni di sorta in raffineria”. Sempre l’Eni aveva omesso di segnalare debitamente ai trasportatori, nei documenti rilasciati, l’effettiva consistenza delle sostanze prodotte e caricate, omettendo di evidenziarne la pericolosità. In sostanza, l’Eni aveva consentito la circolazione incontrollata di cisterne con all’interno un gas atto a provocare la morte, anche istantanea, senza alcuna precauzione e omettendo avvisi o segnali attinenti all’elevato rischio connesso.

Il Comitato 3 marzo, costituitosi a Molfetta all’indomani della tragedia, ha denunciato la pretestuosità della suddivisione del processo in più tronconi, cosa che ha agevolato la difesa dei diversi imputati e favorito l’esito della vicenda processuale, con l’assoluzione in primo grado dell’Eni e di sette suoi dipendenti dall’accusa di omicidio colposo e lesioni colpose, anche se con formula dubitativa, ossia non perché ne sia stata ritenuta provata l’innocenza, ma per la mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova della loro colpevolezza.

Fuori di dubbio è che l’Eni fosse perfettamente consapevole della presenza del gas letale in quantità abnorme, a causa del malfunzionamento dei propri impianti, e che, rilevato il problema, avesse rinviato gli investimenti per l’adeguamento, evitando di sostenerne i relativi costi.

In sostanza, “l’Eni non ha effettuato gli investimenti necessari per la eliminazione del pericolo né nelle fasi della produzione e del caricamento, né in quelle del trasporto, dello scarico e della bonifica o sostituzione delle ferro-cisterne, in quanto avrebbero comportato un rilevante aumento dei costi ed una conseguente notevole riduzione dei livelli di profitto” – denuncia il Comitato 3 marzo di Molfetta.

“Non si è, in particolare, preoccupata minimamente di seguire e controllare le operazioni di scarico e bonifica, al fine di garantire condizioni di sicurezza e rispetto dell’ambiente, nonostante fosse consapevole delle condizioni di pericolo da essa stessa determinate per la omessa segnalazione della presenza di acido solfidrico in quantità certamente abnorme e potenzialmente letale” – aggiunge il Comitato.

Il Comitato 3 marzo tiene anche a sottolineare che “le motivazioni addotte nella sentenza del Gup per escludere le responsabilità dell’Eni e, di conseguenza, anche di Nuova Solmine nella tragedia appaiono assurde fino al ridicolo ed al caricaturale, tanto da potersi ritenere oggettivamente provocatorie e dileggianti nei confronti delle vittime, dei loro parenti e dell’intera comunità nazionale”.

In definitiva, un altro caso di rimpallo di responsabilità, favorito da un regime di appalti ed esternalizzazioni, in cui l’obiettivo primario di riduzione dei costi contrasta con la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori esposti ad elevati rischi sul proprio posto di lavoro. Una dinamica non nuova in Puglia, in cui l’esemplare caso dell’Ilva di Taranto ha esasperato la contraddizione fra accumulazione di profitto correlata al contenimento dei costi e tutela dell’integrità e della salute dei lavoratori e dei cittadini dell’area interessata. Questa sentenza iniqua sembra riproporre un quesito non nuovo, ovvero quello della possibilità effettiva di garantire la salute di chi è costretto a lavorare per vivere all’interno di un sistema basato sulla creazione ed accumulazione di profitti.

Valeria Cirillo

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.