È in atto un importante dibattito in questi giorni che vede, su spinta dei lavoratori, la necessità di porre al centro della discussione politica la costruzione del fronte unico dei lavoratori a partire da quelli combattivi. 
Pubblichiamo di seguito la risposta del Si Cobas con relativa proposta a USB. 


Lo sciopero nazionale unitario del trasporto dello scorso 16 giugno ha rappresentato per il sindacalismo di classe un momento oggettivo di svolta e di potenziale rilancio del conflitto reale sui luoghi di lavoro. Per la prima volta un’intero settore del lavoro pubblico e privato, al di la delle differenze di sigla sindacale, di mansione e/o di inquadramento contrattuale, si è fermato, bloccando per un’intera giornata la circolazione sia delle merci, sia dei passeggeri.

In quella giornata è stato sferrato un duro colpo, materiale e d’immagine, al governo Gentiloni, la cui riprova sono state le dichiarazioni isteriche dei suoi stessi ministri e di autorevoli esponenti del fronte padronale tese alla condanna dello sciopero e alla necessità, per loro sempre più urgente, di mettere nuovamente mano alle leggi sulla rappresentanza e sul diritto di sciopero con un’ulteriore stretta reazionaria. Il veleno vomitato da Renzi nelle sue dichiarazioni è giunto al punto di violare il principio logico della non contraddizione, laddove ha dichiarato che sigle sindacali con seguito scarsissimo e un peso irrilevante nella categoria avrebbero “messo il paese in ginocchio”…
Se è vero, com’è vero, che il 16 giugno gran parte della circolazione di merci e uomini è stata fermata, allora le ipotesi sono due: o le sigle che lo hanno proclamato non sono così insignificanti, oppure le ragioni di quello sciopero, in primis il rinnovo dei contratti e lo sfascio di Alitalia e del trasporto pubblico locale, hanno coinvolto e messo in moto una massa di lavoratori che andava ben al di la del perimetro del sindacalismo di base.

A nostro avviso la riuscita di quella giornata è il frutto di entrambi questi fattori, facendo emergere in maniera chiara come da un lato tra i lavoratori esista tuttora una domanda di rappresentanza e una certa disponibilità in alcuni settori di lavoratori al conflitto contro gli attacchi al salario e alla macelleria sociale del governo e, dall’altro, che gli attuali “sindacati di base” (tutti, nessuno escluso), sono organizzativamente e politicamente insufficienti a offrire una risposta adeguata a queste istanza, anzi il più delle volte ne costituiscono un’ostacolo soggettivo.

L’idea, fatta propria da SI Cobas, Cub, Slai Cobas, Sgb e Usi, di indire prima dell’estate uno sciopero generale per il prossimo 27 ottobre, nasceva proprio da questa duplice necessità: in primo luogo dare continuità ai contenuti e allo spirito della riuscita mobilitazione di giugno con l’obbiettivo di allargare ulteriormente il fronte e far si che il punto di vista dei lavoratori d’avanguardia superi il limite organizzativo del sindacalismo di base e arrivi in profondità anche tra i settori della classe attendisti, confusi, ma che vedano nella nostra proposta di lotta una possibile direzione di marcia; in secondo luogo giocare d’anticipo rispetto a un governo che, come sempre, proprio per i mesi estivi prometteva fuoco e fiamme con nuove leggi contro il diritto di sciopero.

Abbiamo fatto quest’ampia premessa perchè riteniamo che senza una messa a fuoco degli eventi degli ultimi mesi, la discussione sullo sciopero generale del prossimo 27 ottobre è inevitabilmente destinata a riprodurre la solita, triste e stantia disputa sulle date tra questa e quella sigla. Una disputa che, in quanto tale, non ci interessa. Che questa proposta stia registrando consenso e interesse tra tanti lavoratori, e come essa prefiguri la possibilità che la giornata del 27 ottobre vada ampiamente al di la delle scadenze (il più delle volte autocelebrative) degli ultimi autunni, è dimostrato dal successo dell’appello promosso da alcuni delegati trasversali alle sigle di base e della stessa Cgil e sottoscritto da centinaia di lavoratori, il quale si propone un allargamento dei promotori anche alle sigle che sinora non hanno aderito.

Lo scorso 31 agosto ci è pervenuta una proposta da parte dell’esecutivo nazionale USB, la quale pur dichiarando di condividere il senso e i contenuti dello sciopero, ci chiede di rinviarlo a metà novembre a causa di una conferenza sindacale internazionale da loro promossa il 3 e 4 novembre, e al fine di “interloquire con il varo della nuova legge di stabilità”, la quale approderà alle camere presumibilmente a novembre. Nel prendere positivamente atto della condivisione da parte di Usb dei motivi e dei contenuti dello sciopero, ci sembrano tuttavia pretestuose e per certi aspetti settarie le motivazioni alla base della richiesta di rinvio.

Non capiamo infatti come uno sciopero indetto una settimana prima possa confliggere con un’assemblea internazionale: a nostro avviso un’organizzazione sindacale che tende a proiettare il proprio intervento su scala internazionale e internazionalista dovrebbe considerare lo sciopero tutt’altro che un ostacolo, bensì un occasione preziosa per ravvivare e carburare il confronto con le organizzazioni sindacali degli altri paesi. Ne ci convince l’argomentazione relativa ai tempi del governo: anticipare, e non limitarsi ad attendere il varo della manovra, per noi significa lanciare un segnale chiaro a Gentiloni e ai suoi soci anche in questo senso, preparando il terreno per un’ampia mobilitazione che, nel caso di una riuscita dello sciopero del 27 ottobre possa essere foriera (perchè no?) di altri scioperi e mobilitazioni nel corso dell’autunno; al contrario, ci sembra che la motivazione addotta dall’esecutivo Usb per un rinvio dello sciopero sia il frutto di una concezione tesa a considerare lo sciopero autunnale come un rituale “una tantum” per dimostrare a noi stessi che esistiamo, rituale che ha caratterizzato la storia recente del sindacalismo di base e rispetto al quale il prossimo sciopero, così come quello del 16 giugno, intendono tracciare una netta soluzione di continuità. Se è vero che il 27 ottobre può apparire come una data prematura rispetto ai tempi della politica istituzionale, ci sembra forse anche troppo in avanti rispetto ai tempi della lotta di classe che quotidianamente viene scatenata dai padroni e dai loro governi contro i proletari.

Tanto per dirne una: quest’estate non si è ancora materializzata la stretta sul diritto di sciopero, ma al contempo si è aggravata l’emergenza degli sbarchi e più in generale il tema degli immigrati e dei rifugiati e l’attacco a chi occupava gli immobili sfitti. Un tema su cui la destra, il PD e il movimento 5 stelle stanno dimostrando una chiara unità d’intenti, alimentando, ciascuno a modo suo, l’ondata razzista e xenofoba già in atto; un tema che è legato a doppio filo con l’escalation repressiva legalizzata dal decreto Minniti, i cui frutti avvelenati si sono visti nel pieno di agosto con lo sgombero di due centri sociali a Bologna e la mattanza di Cinecittà e di Piazza Indipendenza a Roma, che vede ancora oggi centinaia di famiglie, in larga parte lavoratori immigrati, in mezzo a una strada.

Noi crediamo che il sindacalismo di base e di classe abbia il dovere di porsi in collegamento e in sintonia anche con i tempi di queste emergenze e di queste mobilitazioni, in quanto la lotta per la casa e per i documenti è legata a doppio filo alle battaglie sul lavoro e per migliori condizioni di vita e di salario. D’altra parte, come già ribadito poc’anzi, non è nostra intenzione ingaggiare una sterile ed interminabile disputa sulle date, ne vogliamo dar adito a ragionamenti tesi a preservare orticelli e a vedere l’unità d’azione confinata in uno o altro settore del sindacalismo di base a detrimento di una più ampia lotta.

Se l’obiettivo dello sciopero è, come pensiamo debba essere, l’allargamento e il coinvolgimento di una ampia massa di lavoratori, allora ogni proposta che sia realmente finalizzata ad allargare il fronte ha il diritto di essere esaminata e discussa con l’insieme dei delegati e dei lavoratori combattivi. Per questo riteniamo che l’unico organismo deputato a decidere su un ipotesi di rinvio sia l’assemblea unitaria dei delegati del prossimo 23 settembre a Milano. Per parte nostra, per i motivi sopra esposti e considerando anche le criticità determinate dalle restrizioni poste dalla legge, crediamo che l’ipotesi di prorogare lo sciopero di un mese sia inopportuna e poco praticabile.

Siamo invece disponibili a ragionare ad un ipotesi di rinvio al massimo di dieci giorni, raccogliendo il contenuto dell’appello unitario che ha raccolto tante adesioni soprattutto nel settore metalmeccanico e in FCA. L’Unità da perseguire non può essere solo una sommatoria di sigle ed individui, quanto piuttosto la condivisione reale dei percorsi e dei metodi di lotta sulla base di alcune rivendicandicazioni unificanti: a) libertà d’azione sindacale contro chi cerca di restringere il diritto di sciopero e di organizzazione delle lotte; b) una battaglia per forti aumenti salariali e per la riduzione dell’orario di lavoro; c) per i diritti democratici ai proletari immigrati, contro ogni forma di razzismo, xenofobia e sovranismo; d) contro le guerre imperialiste: il nemico è in casa nostra!; e) contro l’aumento dell’attività repressiva dello Stato: decreto Minniti, sgomberi, arresti e misure restrittive ai militanti e agli attivisti politici, sindacali e di movimento.

Questi per noi i punti irrinunciabili per l’allargamento e il rilancio di una mobilitazione di classe nella fase odierna.
SI Cobas nazionale

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.