Proteste e contestazioni gettano l’Ucraina, dalla fine del 2013, in uno stato di instabilità politica. Questa situazione molto analoga a quella di una guerra civile, con filorussi ad Est, destre neonaziste ed anticomuniste, scontri e repressione di piazza, permette alle potenze capitaliste di soddisfare i propri interessi bellici ed economici. Il mondo viene così diviso, di nuovo dopo quasi trent’anni, in due blocchi distinti: quello atlantista e quello russo.

La Repubblica Ucraina proclama la sua indipendenza dall’URSS nel 1991. Con lo scioglimento di quello che per la NATO è l ‘“impero del male”, molte nazioni precedentemente sotto la sfera di influenza sovietica cadono vittime di oligarchie private, le quali smantellano i vecchi apparati statali. A questo si aggiunge un proletariato poco organizzato e super sfruttato (con uno stipendio medio di 600 euro), il quale inizialmente si mobilita emigrando verso Ovest, e che ancora non si unisce per trovare una soluzione concreta alle problematiche che affliggono la nazione.

Gli interessi che l’Ucraina mette in gioco nello scacchiere mondoale mondiale sono importanti. Cominciamo col dire che l’Ucraina è il ponte della cooperazione economico-commerciale fra la Russia e la Germania, le quali intendono intensificare ancor di più gli scambi. Gli USA dalla loro parte hanno interesse all’Ucraina come avamposto militare e politico, per avere un maggiore controllo delle trattative fra Mosca e Berlino. Gli obiettivi statunitensi cozzano però con quelli della Russia di Putin, la quale si è prefissa il compito di riportare l’Ucraina sotto la propria sfera di influenza, come ha già fatto con altre ex Repubbliche sovietiche, prima fra tutte la Bielorussia.

A partire dal novembre 2013 scoppiano disordini e rivolte contro il governo filorusso presieduto da Viktor Yanukovich, che culminano con il bagno di sangue di Piazza Majdan in Febbraio, il bilancio è di 88 morti, molti dei quali dovuti a cecchini. Le proteste assumono fin da subito un carattere filo-occidentale, a scendere in piazza sono infatti lavoratori e piccoli artigiani i quali chiedono a gran voce di entrare a far parte dell’area europea e dei suoi commerci. A cavalcare il malcontento popolare sono gruppi neonazisti come Svoboda e Settore Destro, insieme a diverse ONG occidentali, le quali lavorano nell’interesse dell’alleanza atlantica di creare un nuovo governo ucraino in chiave antirussa. La debolezza dell’intero movimento, privo di un’organizzazione sindacale indipendente, ha permesso alle potenze imperialiste di fare dell’Ucraina il loro giardino di casa, dando alle rivolte un indirizzo reazionario.

Tutte queste vicende, che assumono le sembianze di un vero e proprio colpo di stato, portano alla deposizione di Yanukovich e alla salita al potere di Olexander Turchynov e poi, nel maggio 2014, di Petro Poroshenko, figura di spicco fra la classe padronale Ucraina oltre che nel mercato dei dolciumi.

La risposta della minoranza russa a questi sconvolgimenti non si fa attendere: prima con il referendum in Crimea, con il quale la popolazione espresse la volontà di unirsi alla Russia, e un mese dopo con la secessione ad Est delle provincie di Donetsk e Lugansk, nate dall’insurrezione della maggioranza filorussa di quelle zone, autodefinendosi “Repubbliche popolari”. La sollevazione si trascina con sé buona parte della classe operaia e non ha appoggi, almeno ufficiali, da parte di oligarchi locali. Mosca inizialmente, in quanto promotrice di una soluzione federale e neutrale dello Stato ucraino, non vede di buon occhio la sollevazione separatista.

Di fronte alla spaccatura della nazione la classe lavoratrice non si è fatta cogliere impreparata, riuscendo a raggiungere una discreta condensazione di classe, senza tutta via essere in grado di sprigionarne il completo potenziale. Il proletariato dà prova di ritrovata unità disertando in massa alle presidenziali del 25 maggio 2014 e mantenendo una propria autonomia con scioperi difensivi e rivendicativi. I lavoratori si astengono anche dalle elezioni indette nella regione del Donbass, mantenendo le distanze dai separatisti filorussi.

Non vedendo la soluzione né ad Est e né ad Ovest, il proletariato ucraino ha dato un forte messaggio di rifiuto sia all’imperialismo americano che al capitalismo russo. Per far uscire la nazione del baratro del massacro e del super sfruttamento serve una vera svolta rivoluzionaria, che unisca gli sfruttati da est ad ovest, spezzando la morsa antiproletaria dei neonazisti di Kiev e degli ultranazionalisti filorussi. Si potrà capovolgere la situazione attuale solo unendo i lavoratori contro il nemico comune, trasformando il paese in un avamposto di lotta di classe e internazionalismo.

Edoardo Stratos

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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