È stata un’estate davvero rovente quella del 2017, e le notizie per i lavoratori del gruppo Dico Tuodì sono tutt’altro che all’insegna della spensieratezza estiva. Questo agosto ha visto stipendi di luglio dimezzati, quattordicesima congelata, assegni familiari decurtati, rimborsi 730 non versati, ferie e permessi sospesi contro ogni normativa.
Sono le spiacevoli novità per circa 4000 addetti della catena di grande distribuzione Dico Tuodì di proprietà della famiglia Faranda. Eppure sono ben 4 anni che la situazione di questo gruppo è precaria, e nel frattempo non è mai stato presentato un piano industriale credibile ed a garanzia dei lavoratori. La Filmcams Cgil che segue la vertenza dal principio non è mai intervenuta concretamente per invertire la rotta. Ancora adesso si spera, a detta della RSA Davide Bozza, nell’incontro del 19 settembre presso il Mise, un incontro istituzionale già ripetuto in passato e che non ha portato ad alcuna soluzione. La verità è che l’azienda sta portando allo sfinimento i lavoratori per accettare il fallimento del gruppo come un fatto ineluttabile. Del resto, è già arrivata a lasciare gli scaffali vuoti, calpestando la dignità e la professionalità di chi lavora. È una situazione non più sostenibile e che sul fronte romano sta già comportando giornate di blocchi e proteste organizzate dal sindacato Si Cobas.
Quello che non risulta chiaro nella faccenda è come sia stato possibile accumulare 350 milioni di debito pur avendo avuto la possibilità di ripartire con basi solide grazie ai capitali scaturiti dall’accordo con Coop del marzo 2013. Persino al tavolo istituzionale del Mise, l’azienda non ha fatto chiarezza sui circa 100 milioni di plusvalenza derivati in quell’occasione che si sarebbero dovuti reinvestire nell’ azienda. Dove sono finiti? Dal 2013, sono state avviate solo procedure di esuberi e di cassa integrazione che hanno già lasciato a casa 1 lavoratore su 4, con il taglio di 5 centri di distribuzione, tra cui quello di Napoli, 2 sedi amministrative e circa 100 punti vendita. Uno scenario drammatico, peggiorato dal blitz dell’11 luglio scorso, quando in 48 ore, in seguito del concordato fallimentare, l’azienda ha chiuso, anche se dice temporaneamente, altri 123 punti vendita, lasciando a casa altri 650 lavoratori (in Campania 8 filiali, Napoli, Castellammare, Pompei, Gragnano,Torre del Greco, Ottaviano, Pomigliano, Cava dei Tirreni, in totale 70 lavoratori). Il 3 agosto l’azienda ha fatto richiesta di Cigs per i 2000 addetti diretti rimasti. Ma, intanto, i lavoratori (quelli rimasti) stanno subendo tagli indiscriminati agli stipendi e il diniego di ogni diritto. La situazione pertanto si preannuncia infuocata ed all’insegna di scioperi, soprattutto in previsione della stagione autunnale quando tutti i nodi verranno al pettine e la proprietà giocherà a carte scoperte.

 

Paolo Prudente

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).