Pubblichiamo in traduzione un articolo di Doug Enaa Green, storico indipendente statunitense, nel quale si approfondiscono alcuni concetti politici rilevanti in merito al libro di Emilio Albamonte e Matias Maiello Gramsci and Trotsky: Strategy for the Revolution in the West.

Trotsky e Gramsci sulla strategia rivoluzionaria

A seguito della recessione del 2007-8, i lavoratori dei paesi capitalisti avanzati hanno subito un assalto di misure di austerità e un calo dei loro standard di vita. La crisi ha anche alimentato l’aumento di partiti di estrema destra come Alba Dorata in Grecia e il Front Nazional in Francia. Nonostante le dimensioni della crisi, le illusioni nella democrazia borghese rimangono saldamente intatte. La sinistra non ha saputo sfidare queste illusioni, ma ha supportato movimenti neoriformisti o figure come Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, Bloco de Esquerda (Blocco di Sinistra) in Portogallo. Tuttavia, questi disperati tempi gridano per un rinnovamento della strategia rivoluzionaria e comunista. Di fronte ad una generale mancanza di discussioni strategiche, il nuovo libro di Albamonte e Maiello, Gramsci e Trotsky, mira a colmare tale divario. Esso consiste di due lunghi saggi che esplorano il pensiero di due dei più importanti rivoluzionari del ventesimo secolo – Leon Trotsky e Antonio Gramsci – su tattica e strategia rivoluzionarie. Mentre altri scrittori spesso vedono questi due marxisti in conflitto, Albamonte e Maiello non li vedono come avversari, ma come compagni di lotta con punti di convergenza a fianco alle loro differenze. Il loro lavoro è un prezioso contributo teorico, ben scritto e aggiornato sulla letteratura più recente.

I. La rivoluzione tedesca
La prima metà del libro esplora come Trotsky e Gramsci affrontarono le questioni del fronte unico, della strategia e della lotta di classe alla luce della Rivoluzione tedesca del 1923 .

I dibattiti sul fronte unico segnarono un cambiamento nella strategia dell’Internazionale Comunista (Comintern) dopo il fallimento di un primo insurrezionalismo di sinistra, soprattutto durante l’azione del 1921 in Germania, che rappresentò una sconfitta per il Partito Comunista Tedesco (KPD ). Trotsky fu uno dei principali sostenitori della strategia del fronte unici al Terzo (1921) e al Quarto Congresso (1922) del Comintern.

Il fronte unico fu concepito come una strategia difensiva in cui i comunisti avrebbero dovuto allearsi con socialdemocratici ed altre forze per difendere gli standard di vita e le organizzazioni dei lavoratori dagli assalti capitalistici. Tuttavia il fronte non fu strettamente difensivo, ma includeva l’obiettivo strategico di permettere ai comunisti di vincere «la maggioranza della classe operaia per la rivoluzione come conseguenza di esperienze comuni o del rifiuto di leadership riformiste o centriste».

Il dibattito all’interno del Comintern sul ruolo potenzialmente rivoluzionario dei «governi dei lavoratori» crebbe in modo direttamente proporzionale alla strategia del fronte unitario. Il governo dei lavoratori era visto come un mezzo per i comunisti di assicurare un bastione rivoluzionario come parte di una lotta di classe più profonda. Un governo dei lavoratori era concepito come un governo di socialisti, con i comunisti o in coalizione con esso o a sostenerlo come una leale opposizione. Non un semplice governo riformista, ma un mezzo per armare la classe operaia e radunarla per portare l’offensiva. Il sostegno dei comunisti ai governi dei lavoratori non era un fine in sé o confinato entro i margini della legalità borghese, ma una richiesta di transizione e trampolino di lancio per creare la dittatura del proletariato.

Il fronte unico e il governo dei lavoratori furono messi presto alla prova nella situazione rivoluzionaria sviluppatasi in Germania nel 1923. Dopo che la Germania non fu in grado di pagare i pripri debiti, l’esercito francese invase il nucleo industriale del Ruhr nel mese di gennaio. Questo evento causò il crollo dell’economia tedesca, l’iper-inflazione, la disoccupazione di massa, il crescere dei nazisti e riaprì le possibilità di una rivoluzione comunista. I lavoratori si riversarono nel KPD, formarono comitati di fabbrica e proletarische Hundertschaften (milizie della classe operaia) per garantire cibo, controllare i prezzi ormai fuori controllo e difendersi dalla destra estremista.

Negli stati della Sassonia e della Turingia ci fu l’occasione di formare i governi dei lavoratori tra il KPD e la sinistra del Partito Socialdemocratico (SPD). In ottobre, il KPD e la SPD (con il sostegno di Trotsky e del Comintern) formarono governi di coalizione sia in Sassonia che in Turingia. KPD e Comintern diedero le direttive ai governi dei lavoratori per rafforzare le milizie operaie e disarmare la destra paramilitare. Si credette che ciò avrebbe costretto il governo nazionale ad inviare l’esercito tedesco (Reichswehr). Questo sarebbe stato il segnale di insurrezione per tutto il resto della Germania, attorno allo slogan della difesa del “governo operaio” contro il Reichswehr. In altre parole, una strategia di difesa si trasformava in un’offensiva rivoluzionaria.

Tuttavia, i governi dei lavoratori non adottarono misure pratiche per armare le milizie operaie, mentre dal canto loro i socialdemocratici nei comitati di fabbrica rifiutarono di sostenere qualsiasi sciopero generale o insurrezione contro l’esercito. Il 21 ottobre, quando il Reichswehr fu mandato in Sassonia e Turingia per ripristinare l’ordine, i piani del KPD erano in totale disordine, tanto da costringere alla sospensione dell’insurrezione prevista. Solamente ad Amburgo si verificò un’infruttosa rivolta (poiché non capirono che la ribellione era stata annullata). Il fallimento dell’ «Ottobre Tedesco» segnò l’ultimo respiro dell’ondata rivoluzionaria iniziata in Europa con la rivoluzione russa del 1917.
Dopo alcune riflessioni, Trotsky affermò che il KPD fallì perché la loro strategia era «confinata nel quadro della legittimità costituzionale borghese e limitata dalla sua fiducia nell’ala sinistra della socialdemocrazia». In secondo luogo, il KPD mostrò che «quando l’intera situazione oggettiva richiedeva di intraprendere un’azione decisiva, il partito non agì per organizzare la rivoluzione, ma la aspettò». In ultimo, la leadership del KPD non mantenne i nervi saldi e fallì nel momento decisivo di passare da un «guerra di posizione» a una «guerra di manovra».

Sebbene Trotsky offrì una lucida valutazione per il fallimento della Rivoluzione tedesca, il Comintern non redisse un bilancio, né credette che l’ondata rivoluzionaria in Europa fosse passata. Credette invece che la conquista del potere da parte dei comunisti fosse ancora all’ordine del giorno.
Nel Quinto Congresso del Comintern nel 1924 (il primo dopo la morte di Lenin) Trotsky fu l’unico a difendere la formula originale del fronte unici. Trotsky sosteneva che il Comintern dovesse continuare a seguire la strategia del fronte unico, evitando contemporaneamente sia il pericolo di adattarsi alla socialdemocrazia a destra, sia la deviazione del putschismo a destra.

Il Comintern rifiutò di adottare questa linea strategica e proclamò solo pochi anni dopo che la rivoluzione era all’orizzonte, abbandonando il fronte unico per l’isolamento settario. La linea del «terzo periodo» si dimostrò disastrosa per il KPD e per la classe operaia tedesca a fronte della crescente minaccia nazista.

Per Trotsky, una delle grandi lezioni della rivoluzione tedesca fu che in un’epoca di grandi svolte, dove la situazione politica cambiava rapidamente, i comunisti dovevano essere in grado di cambiare rapidamente le loro tattiche e la loro strategia.

A differenza di Trotsky, Gramsci non diede alcun contributo sostanziale al Comintern sulla rivoluzione tedesca. La sua conclusione fu di carattere più «generale»,  cioè che l’esistenza di sovrastrutture più solide in Occidente rendeva «le azioni delle masse più lente e più caute». Gramsci sosteneva che l’appropriata strategia per i rivoluzionari in Occidente fosse una “guerra di posizione” (che vedeva nel fronte unico in azione), opposta ad una “guerra di manovra” frontale, più adatta nell’ est.
Trotsky concordava con Gramsci sul fatto che le strutture politiche in occidente differissero da quelle in oriente, ma propose una strategia diversa. Come ricordato, per Trotsky la questione principale consisteva nel preparare i comunisti a riconoscere che la strategia, in tale situazione congiunturale, richiedeva un rapido passaggio dalla difesa all’offesa (e viceversa). Invece la «guerra di posizione» di Gramsci non concepiva brusche svolte, ma trasformava la tattica del fronte unico in una strategia a lungo termine, non permettendo un rapido passaggio ad una «guerra di manovra». Mentre la difesa di Gramsci del fronte unico convergeva con Trotsky nell’ opposizione al terzo periodo, egli finì per contrapporre «meccanicamente le strategie per l’Oriente e l’Occidente, lasciando la transizione all’offensiva come una delle sue riflessioni strategiche più incerte».

Albamonte e Maiello concordano sul fatto che Trotsky vedesse la strategia rivoluzionaria non come una serie di questioni scolastiche, ma di vitale importanza per ogni comunista che avesse bisogno di essere guidato in un orientamento che potesse analizzare sia i momenti difensivi che offensivi, utilizzare bastioni rivoluzionari come rampe di lancio per la presa del potere e prepararsi per improvvisi cambiamenti. L’apprezzamento di Trotsky verso tali questioni di vitale importanza lo rese “il più clausewitziano dei marxisti”.
II. Democrazia capitalista ed egemonia
Nella seconda parte, Albamonte e Maiello si spostano dal dibattito sulla rivoluzione tedesca a quello su Trotsky e Gramsci e questioni di teoria e strategia rivoluzionaria in occidente -come l’unione delle lotte quotidiane per la conquista del potere, l’utilizzo di motti radical-democratici, e questioni di egemonia.

Secondo Trotsky e Gramsci, le questioni di strategia vanno affrontate dal punto di vista privilegiato del leninismo. Un approccio leninista non separa, ma unisce le lotte quotidiane fino all’obiettivo finale della dittatura del proletariato. Su questa base, i leninisti concepiscono una strategia difensiva che approfitta delle aperture e delle falle della società borghese (ad esempio il parlamento) in modo da accumulare forze (costruire un partito rivoluzionario) per poi infine portare l’offensiva. A differenza dei riformisti, i leninisti sostengono che il parlamento può essere utilizzato solo dai socialisti e dai comunisti sotto le proprie bandiere per svelare e strappare la sua maschera democratica, mobilitando così un movimento extraparlamentare per scalzare l’egemonia borghese. Il ruolo del fronte unico è quello di creare alleanze con altre forze della classe operaia nel perseguimento di obiettivi comuni. L’obiettivo generale del fronte unico è di conquistare la classe lavoratrice lontano dai propri leader riformisti e mobilitarla verso la lotta per il potere.

Mentre i leninisti lavorano per stabilire la dittatura del proletariato, i socialdemocratici e i loro alleati nei sindacati rafforzano la regola della borghesia. «In ‘Occidente’ le leadership moderate possiedono la ‘virtù’ di nascondersi dietro le istituzioni della democrazia borghese, del parlamentarismo, della separazione dei poteri, del potere giudiziario, ecc. Sono sostenute e a loro volta sostengono le illusioni della democrazia capitalista». Queste istituzioni riformiste rappresentano una” forza materiale “che dà origine alla “forza morale” delle illusioni nella democrazia borghese, la quale preserva l’egemonia della classe dirigente. Affinché i rivoluzionari conducano la classe operaia alla vittoria, l’influenza di queste forze deve essere rimossa.

Creare una contro-forza egemone richiede una strategia difensiva che protegga le istituzioni della classe operaia, ma che avanzi attraverso colpi precisi e coraggiosi. Secondo lo studioso militare Carl von Clausewitz, «la forma di difesa in guerra non è un semplice scudo, ma uno scudo fatto di colpi ben diretti». Un esempio di «colpi ben diretti», nella strategia di difesa leninista, è l’uso di slogan radical-democratici. In un certo numero di occasioni (ad esempio Tesi di Lione del 1926 o il KPD negli anni 30), Gramsci e Trotsky sostennero il loro uso come strumento per costruire la fiducia nella classe operaia ed accumulare forze rivoluzionarie.

Trotsky e Gramsci credevano che quando una crisi esplode e la classe dirigente attacca il proletariato (sia attraverso l’austerità, sia attraverso la riduzione dei diritti democratici), questo rappresenti un’opportunità per i rivoluzionari di conquistarsi una maggioranza attraverso l’uso di slogan radical-democratici e tattiche di fronte unico. Da un lato, mentre la massa dei lavoratori non è radicale, gli slogan radical-democratici servono a far da ponte da una coscienza riformista ad una rivoluzionaria. Dall’altro, il fronte unito non è vincolato a difendere la democrazia tramite varie forme di legalità borghese, ma la difende attraverso metodi rivoluzionari. È fondamentale che i comunisti riconoscano il momento giusto per passare da una strategia di difesa all’attacco, altrimenti tutto quanto si trasforma nel suo opposto e «i ponti diventano barriere».
Mentre Trotsky e Gramsci avevano approcci analoghi sul ruolo delle burocrazie riformiste e sindacali, la loro strategia differiva su come affrontarle. La concezione di Gramsci di una «guerra di posizione» a lungo termine vedeva nel fronte unico tra rivoluzionari e riformisti «una tattica permanente che continuasse fino alla vigilia della rivoluzione del proletariato». Albamonte e Maiello sostengono che le ambiguità di Gramsci sul ruolo della burocrazia evidenziassero il fatto che egli sottovalutava il ruolo di quest’ultima nel mantenere l’egemonia borghese. Ciò nonostante, Trotsky sviluppò la base teorica per comprendere il ruolo della burocrazia nel sostegno egemonico. Secondo Trotsky, un fronte unico non assolve i comunisti dalla responsabilità giornaliera di rivelare il ruolo dei burocrati riformisti nel mantenimento dell’egemonia borghese. Le illusioni nella democrazia borghese e nel riformismo non svaniscono semplicemente durante una crisi. Per esempio, in una crisi, le coalizioni riformiste come i Fronti Popolari finiranno per rafforzare le illusioni della democrazia borghese e aprire la porta alla controrivoluzione. Pertanto, necessità strategica per i comunisti è quella di costruire le proprie organizzazioni in anticipo rispetto ad una crisi e di opporsi ai riformisti e ai burocrati del lavoro.

Contrariamente ad alcuni commentatori di Gramsci, Albamonte e Maiello sostengono che il compito di minare l’egemonia borghese non si svolge al di fuori della lotta di classe, né che il potere repressivo dello stato capitalista possa essere neutralizzato dalla classe operaia solamente vincendo attraverso mezzi consensuali. Questo è il vicolo cieco dei riformisti. Piuttosto, l’egemonia del proletariato viene catturata non dallo sviluppo pacifico nello Stato borghese, ma in una rottura rivoluzionaria contro di esso. La costituzione degli operai in classe passa attraverso lo sviluppo di tendenze rivoluzionarie in tutti i campi della lotta ed è combattendo quelle forze (ad esempio burocrazie riformiste e sindacali) che assicurano l’egemonia borghese.

III. Riflessioni finali
Albamonte e Maiello presentano un lavoro sulla strategia rivoluzionaria che fa riflettere, profondamente informato sia sul marxismo che sulla teoria militare. Mostrano Trotsky non in veste dogmatica o settaria, ma come stratega in evoluzione adattato alle rapide della rivoluzione, che pone le difficili questioni di ciò che serve per vincere veramente ([…] questo dovrebbe essere accolto calorosamente dalla sinistra rivoluzionaria).
Sebbene Trotsky sia generalmente considerato uno stratega marxista superiore, essi non vedono Gramsci come un riformista segreto o un critico culturale, ma come un rivoluzionario comunista. Dissentono con quanti cancellano il cuore pulsante di Gramsci, affermando che «ogni analisi di Gramsci che non si basi sui problemi della rivoluzione non sta prendendo seriamente in considerazione Gramsci». Tuttavia, il loro resoconto su Gramsci e sul suo essere ambiguo nella direzione della transizione da “guerra di posizione” a “guerra di manovra” può essere ampliato. Per Gramsci il proletariato utilizza la “guerra di posizione” per accumulare forza; quando si verifica una crisi cambia l’arena della lotta sia per la classe operaia che per la classe capitalista. Una crisi non produce automaticamente la rivoluzione o un cambiamento nella coscienza. Ciò nonostante la classe dirigente è molto meglio organizzata rispetto alle forze della sinistra rivoluzionaria e in grado di adattarsi più rapidamente ad una crisi (ad esempio, riorganizzando le alleanze di classe, ripristinando la redditività, ecc.). Dall’altra parte, una crisi spesso lascia le forze di sinistra disorientate e incapaci di adattarsi alla situazione emergente e alle possibilità che offre, ma vincolate a formule e strategia obsolete. Piuttosto la crisi, rispetto ai «tempi normali», fornisce ai comunisti un’apertura per poter spiegare le proprie idee ad un pubblico più ricettivo, senza per questo aspettarsi che una rivoluzione emerga spontaneamente. I comunisti devono essere coinvolti attivamente nell’organizzazione della lotta e nell’aprire le possibilità della congiuntura(1).

Probabilmente la più grande rimostranza a questo libro è che 158 pagine non sono molte per discutere di tutti gli aspetti relativi a Gramsci e Trotsky su strategia, egemonia e rivoluzione. C’è molto altro da dire. Eppure dovrebbe essere letto con impazienza dai rivoluzionari in preparazione delle battaglie in vista.

 

Doug Enaa Greene

Doug è uno storico indipendente comunista, autore di "Communist Insurgent: Blanqui's Politics of Revolution" e di una biografia (prossimamente in pubblicazione) sul fondatore dei DSA Michael Harrington.