Il giorno successivo allo sciopero generale che ha bloccato la Catalogna, El Pais[1] pubblica un articolo in cui si legge che il Cìrculo de Economia, associazione che riunisce le grandi imprese e gli economisti accademici catalani, esprime «grande preoccupazione per la possibilità di una dichiarazione unilaterale di indipendenza». Secondo la borghesia catalana una dichiarazione di indipendenza farebbe piombare il paese in una «situazione estremamente complessa e con conseguenze sconosciute». Già dopo lo spoglio delle schede elettorali il capo di centro-destra della Generalitat, Carles Puigdemont, aveva preso tempo, dicendo a proposito dell’indipendenza unilaterale che «dobbiamo riflettere» e che «l’Unione Europea non può continuare a guardare dall’altra parte»: questo sogno, però, è durato giusta una notte, dato che la commissione europea ha immediatamente fatto sapere che tutto ‘sto trambusto è «un problema interno spagnolo».[2] Grande è la confusione sotto al cielo, ma anche la situazione è eccellente? Per la borghesia non sembra, ma per i rivoluzionari?  I trattori nelle strade e le centinaia di migliaia di lavoratori scesi in piazza il 3 ottobre durante lo sciopero generale farebbero pensare di sì: forse per questo il re Felipe l’ha presa male, rilasciando comunicati piccati. Si può parlare di rivoluzione? Certamente no: la forza oceanica delle masse di lavoratori scesi in piazza non ha ancora assunto un programma rivoluzionario, che combatta per una Catalogna indipendente e socialista. Ma uno sciopero di massa contro la repressione dello stato spagnolo e per l’indipendenza non potrà che scontrarsi contro i tentennamenti della borghesia nazionale catalana, tentennamenti dovuti anche e soprattutto alla forza della classe operaia e al movimento popolare cresciuto sulla questione dell’indipendenza. Gli interessi della classe operaia catalana sono, infatti, diversissimi da quelli dei padroni “nazionali”: già nel 2013 alcuni giornali spagnoli, spiegando che dall’inizio della crisi si erano persi 670.000 posti di lavoro, ritenevano che la polveriera sociale creatasi a causa della crisi del capitale fosse uno dei primi motivi dell’avanzamento dell’indipendentismo catalano[3]. Ora, le contraddizioni dell’indipendentismo borghese e la discesa in campo impetuosa della classe operaia organizzata non possono lasciare indifferenti dei comunisti, perché si aprono scenari inediti di cui la stessa borghesia catalana ha paura. E la pressione popolare per lo sciopero dev’esser stata ben forte, se persino i due sindacati principali della Spagna, CCOO e UGT, hanno scioperato, nonostante il loro apparato estremamente burocratizzato e la loro politica filo-padronale (tanto che hanno perso circa mezzo milione di iscritti tra il 2009 ed il 2015)! Se è vero che un passo del movimento reale vale più di una dozzina di programmi, non si capisce proprio perché davanti alla repressione dello stato spagnolo ed i lavoratori in sciopero i marxisti non debbano tentare di inserirsi in questo movimento per smascherare intelligentemente l’ipocrisia delle diverse sfaccettature dell’indipendentismo borghese di Puigdemont e della Colau, anche lei propensa ad un dialogo con lo stato spagnolo (ma Rajoy deve dimettersi!).[4]Solo attraverso questo lavoro il movimento operaio catalano potrà non solo conquistare l’indipendenza della Catalogna, ma anche rivoltarsi contro il capitalismo, in modo tale che dalla Catalogna, poi, si passi alla Spagna e al resto del mondo.

[1] https://elpais.com/ccaa/2017/10/04/catalunya/1507107355_290521.html

[2] http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-10-03/barcellona-il-voto-l-indipendenza-080047.shtml?uuid=AEsgPNdC&refresh_ce=1

[3] https://www.elconfidencial.com/espana/cataluna/2013-09-01/las-siete-razones-para-entender-por-que-crece-el-independentismo-en-cataluna_23434/

[4] http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/04/news/catalogna_ada_colau_dopo_le_violenze_con_rajoy_non_si_puo_trattare_-177318472/?ref=fbpr#gallery-slider=176934280

Matteo Pirazzoli

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.