Note sul testo “Il socialismo e l’uomo a Cuba” di Ernesto “Che” Guevara.

Riflessioni a proposito del cinquantesimo anniversario della sua morte.


Con la lucidità che lo caratterizzava, Ernesto “Che” Guevara aveva evidenziato nel suo articolo “Il socialismo e l’Uomo a Cuba” una serie di problemi relazionati alla transizione verso il socialismo nell’isola.

Come quando, nel suo “Messaggio ai popoli del mondo attraverso la Tricontinental”, il Che affermava: “D’altra parte tutte le borghesie autoctone hanno perso tutta la loro capacità di opposizione all’imperialismo- se l’hanno mai avuta- e formano solo un furgone di cola. Non ci sono ulteriori cambiamenti da attuare; o rivoluzione socialista o caricatura di una rivoluzione”; in questo testo si avvicina a piazzare un problema centrale di tutta la rivoluzione: la questione della democrazia operaia o dell’organizzazione delle masse.

“Il socialismo e l’Uomo a Cuba” è molto conosciuto ed è stato ampliamente rivendicato e criticato da fronti opposti per il medesimo motivo: l’importanza conferita da Guevara alla questioni delle forze morali e dei fattori soggettivi nella costruzione socialista.

Con la morte di Fidel Castro, la quale ha generato un grande impatto nell’America Latina e nel mondo intero, l’eredità della rivoluzione cubana torna ad essere oggetto di dibattito, motivo per cui questo lavoro del Che merita di essere rivisitato e pensato a partire dalle lezioni delle altre esperienze storiche degli apporti alla teoria marxista.

In questo senso, un aspetto non del tutto tenuto in conto ma di grande importanza nella riflessione di Che Guevara è il ruolo della classe lavoratrice nella costruzione socialista e delle forme di organizzazione della rivoluzione in generale e dello stato di transizione in particolare. Questione che nel testo non trova una risposta defintiva ma che viene evidenziata come un tema problematico, irrisolto, per il quale fino a quel momento (1965) non si era trovata una soluzione.

Che Guevara segnala l’importanza dell’avanguardia rivoluzionaria però accentua che l’attore principale di tutto il processo rivoluzionario è quello che definisce “la massa”. “La massa ha partecipato alla riforma agraria e nel difficile impegno dell’amministrazione delle imprese statali; è passata dall’esperienza eroica della Baia dei Porci; si è forgiata nelle lotte contro distinte bande di banditi armati dalla CIA; ha vissuto una delle fasi di maggior definizione dei tempi moderni nella crisi di ottobre e continua oggi a lavorare nella costruzione del socialismo”.

Senza dubbio, la relazione tra il Governo e le masse si presenta strutturata essenzialmente dall’alto verso il basso: “… la massa realizza con entusiasmo e disciplina senza precedenti i compiti fissati dal governo, che siano di tipo economico, culturale, di difesa, sportivi, etc. La iniziativa parte in generale da Fidel o dall’alto comando della rivoluzione ed è spiegata al popolo che la fa sua. Altre volte, si prendono ad esempio esperienze locali ed il governo cerca di estenderle al paese seguendo il medesimo procedimento.”

In questo contesto, Che Guevara segnala l’importanza di una interrelazione dialettica tra le masse ed i dirigenti della rivoluzione, che a volte problematizzava come il vincolo tra l’avanguardia organizzata nel Partito e le masse che molte volte erano spinte dalle avanguardie. In questo modo arriva ad una definizione altamente controversa e di fondo sbagliata: “la dittatura del proletariato” non si esercita “solo sulla classe sconfitta, ma anche individualmente su quella vincitrice”.

Per risolvere questo problema, il Che segnala un deficit chiave del processo rivoluzionario, quale era la questione delle istituzioni rivoluzionaria: “Tutto questo manca, per la sua riuscita finale, della necessità di una serie di meccanismi, le istituzioni rivoluzionarie. All’ immagine delle moltitudini che marciano verso il futuro si adatta come un insieme armonico di canali, passaggi, dighe ed apparati ben oliati che permettano questa marcia, che permettano la selezione naturale di quelli destinati a camminare nell’avanguardia e che premiano o castigano chi aiuta o avversa la società in costruzione.

Questa istituzionalizzazione della Rivoluzione tuttavia non si è raggiunta. Cerchiamo qualcosa di nuovo che permetta la perfetta identificazione tra il governo e la comunità nel suo insieme, aggiustata secondo le condizioni peculiari della costruzione del socialismo sfuggendo il più possibile dai luoghi comuni della democrazia borghese trapiantati alla società in trasformazione (come per esempio le camere legislative).

Si sono portate avanti alcune esperienze dedicate a creare gradualmente l’istituzionalizzazione della Rivoluzione, ma senza troppa velocità. Il maggior freno che abbiamo avuto è la paura che qualsiasi aspetto formale ci separi delle masse e dell’individuo, ci faccia perdere di vista l’ultima e più importante ambizione rivoluzionaria che è guardare all’uomo libero dalla sua alienazione.

Nonostante la carenza di istituzioni che deve gradualmente superarsi, ora le masse fanno la storia come l’insieme cosciente di individui che lottano per una stessa causa. L’uomo nel socialismo nonostante la sua apparente standardizzazione, è più completo; nonostante la mancanza del meccanismo perfetto per lui, la sua possibilità di esprimersi e di farsi sentire nell’apparato sociale è  infinitamente maggiore.

Con queste riflessioni, Che Guevara, anche se non lo scriveva esplicitamente, stava mettendo in tavola un tema centrale del processo rivoluzionario cubano: l’assenza di istituzioni di democrazia diretta per le masse operaie e contadina, come quelle che furono i soviet nella rivoluzione russa, e per tutte le classi di esperienze relazionate che si sono spese in altri processi attraverso i consigli di fabbrica, organizzazioni coordinatrici o cordoni industriali. L’assenza di un’organizzazione di questo tipo nella rivoluzione cubana rese molo più difficile quello che proprio Che Guevara segnalava come una necessità: accentuare la partecipazione delle masse in tutti i meccanismi decisionali e della produzione. E periodicamente questo problema segnalato dal Che era il prodotto della politica della direzione cubana del movimento operaio, caratterizzato dall’unità monolitica della Centrale dei Lavoratori di Cuba.

Al contrario, per unire i cittadini ed i produttori manca invece una istituzione sul modello dei soviet (vale a dire assemblea di rappresentanti sorte sulle fabbriche e sui luoghi di lavoro che talvolta si coordinavano a livelli regionale o nazionale). Questo tipo di organizzazione è quello che permette alla massa di avere accesso ad un vero potere costituente: le iniziative non vengono prese dall’alto, perché le basi approvino poi quello che è già stato discusso dai dirigenti. In questo modo si permette un’auto-organizzazione democratica in una relazione molto più ugualitaria tra dirigenti e lavoratori.

Con la consolidazione di un regime totalitario nell’URSS alla fine degli anni 30, fu Leon Trotsky, il principale nemico dello stalinismo e della burocratizzazione, che segnalò la prospettiva di lottare per la democrazia sovietica come una bandiera essenziale, non per un problema di architettura formale delle istituzioni della rivoluzione, ma per una questione dal profondo contenuto politico: la “forza morale” entra nel possesso delle masse nel momento in cui queste prendono il governo del loro proprio destino.

Pertanto, il ristabilirsi nell’URSS dell’organizzazione democratica dei lavoratori e dei contadini attraverso i soviet con il riconoscimento di tutte le tendenze politiche operaie e popolari che difendano le conquiste della rivoluzione, lontane dalla casta burocratica, era uno dei capisaldi trotskisti per salvaguardare la rivoluzione.

Quest’idea era lontana dall’essere teoria astratta nell’emergenza dei processi rivoluzionari del ventesimo secolo. Durante gli anni 50 e 60 i sollevamenti politici dei paesi dell’Est (Germania dell’Est 1953, Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968), nonostante non presentassero correnti trotskiste di peso significativo, ebbero come protagonisti i settori operai che rivendicavano il socialismo che ripudiasse le burocrazie e che fosse ancorato alle forme di organizzazione di base che andassero dalle assemblee di fabbrica fino ai consigli operaie che coprissero le grandi aree urbane.

In questo contesto Che Guevara ebbe l’acutezza e la sensibilità di percepire la necessità di dare una forma concreta al protagonismo delle masse, ma senza una chiara prospettiva programmatica e strategica che potesse organizzarla dal basso verso l’alto, superando il verticalismo proprio dello stato cubano.

Questa questione irrisolta termina con una risposta nel testo che si rifugia nella prospettiva dell’ “uomo nuovo”, spinto, educato ed in ultima istanza costruito per l’avanguardia.

Nella sua magnifica cronaca I soviet in azione, il giornalista ed acuto osservatore della rivoluzione russa John Reed descrisse la polifunzionalità del soviet: come organizzazioni di decisioni coscienti dei lavoratori, come essenziali per seguire l’impulso rivoluzionario prima e dopo la presa del potere e come scuole di apprendimento di economia e politica.

Reed descriva nel seguente modo queste istituzioni sorte dal movimento di massa: “La principale funzione dei soviet è quella di difendere e consolidare la rivoluzione. Esprimono la volontà politica delle masse non solo nei Congressi Panrussi, dove la loro autorità  è quasi suprema. Questa centralizzazione esiste perché i soviet locali creano il governo centrale e non perché il governo centrale crei i soviet locali.” Più avanti aggiunge: “I soviet sono gli organi di rappresentazione più perfetta della classe lavoratrice, questa è la verità, ma sono anche armi della dittatura del proletariato alla quale tutti i partiti anti-bolscevichi si oppongono ferocemente”.

Non per niente, la burocratizzazione stalinista puntò a liquidare i soviet per salvaguardare il suo potere di casta.

L’assenza di questo tipo di organismo non fu l’unica debolezza della grande Rivoluzione cubana (l’impossibilità del socialismo in un solo paese è l’altra), ma èuna delle sue carenze centralei. Discutere e trarre conclusioni su questo problema posto dal Che, ma non risolto dalla Rivoluzione, è la chiave per preparare i prossimi processi rivoluzionari che possano riprendere il migliore dei conseguimenti di una pietra miliare chiave nell’esperienza latinoamericana.

 

Fernando Rosso e Juan Dal Maso

traduzione a cura di Rosa Scamardella

Nato a Buenos Aires nel 1977, vive a Neuquén. Membro del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS) dal 1997, è autore di "Il marxismo di Gramsci. Note sui quaderni del Carcere" (pubblicato in spagnolo, portoghese e italiano) e "Hegemonía y lucha de clases. Tres ensayos sobre Trotsky, Gramsci y marxismo" (Ediciones IPS, 2018), oltre a vari articoli su temi della teoria marxista.