La psicologia del lavoro è comunemente intesa come la scienza umana che promuove il benessere lavorativo attraverso la conoscenza della mente e del comportamento umano nel suo insieme. Da queste generiche e semplici affermazioni sembrerebbe che l’applicazione di tale scienza ai processi lavorativi possa produrre miglioramenti delle condizioni di lavoro e quindi della condizione dei lavoratori.

Chiaramente posta la questione in questi termini e cioè facendo astrazione dalla principale contraddizione del sistema capitalistico che è quella fra lo sviluppo delle forze produttive ed i rapporti di produzione, nella forma odierna della proprietà privata dei mezzi di produzione e, senza riflettere che una delle caratteristiche dell’attività lavorativa nell’ambito capitalistico è la realizzazione del massimo del profitto ed inoltre, che ogni atto di tale produzione, ogni legame organizzativo sociale, ogni rapporto tra lavoratori e dirigenti e di questi ultimi con la classe dei padroni è sottomesso alla logica del profitto, si può allora benissimo immaginare un mondo dove il benessere lavorativo corrisponda al benessere del lavoratore.

Purtroppo dietro il termine di “benessere lavorativo” si nasconde in realtà la realizzazione degli obiettivi del padrone che sono quelli di ottenere attraverso il controllo psi-cofisico del lavoratore il massimo del guadagno e del profitto.

Una scienza che se nella vulgata ufficiale è intesa come scienza per la gestione delle “risorse umane”, nella realtà è una attività di controllo e di manipolazione dei lavoratori che i psicologici fanno per la classe dei borghesi.

Che l’applicazione della psicologia agli ambiti lavorativi mirasse a modificare il rapporto tra individuo, gruppo, azienda e ambiente di lavoro al fine di ottenere una maggior produttività del lavoro e quindi un maggior profitto era già noto agli stessi psicologi già dai primi del novecento.

La psicologia industriale, nel corso del suo sviluppo teorico/pratico, assume il compito di analizzare e di studiare l’adattamento dei lavoratori alle mansioni che dovranno svolgere, la relazione tra questi e l’organizzazione piramidale del lavoro, la capacità di sottostare al comando, la flessibilità lavorativa, l’eventuale inclinazione ad atteggiamenti di rifiuto del comando, la capacità psicologica di sopportazione dello stress lavorativo, il saper lavorare in gruppo e l’accettazione di regole che sono stabilite dal manager nell’interesse dell’azienda.

Coloro che si presentano sul mercato del lavoro e si pongono al servizio dalla borghesia come consulenti nella selezione di quel personale utile ai fini della realizzazione del massimo del profitto, ed assumono quel compito che normalmente viene definito raggiungimento degli obiettivi dell’azienda, sono i moderni psicologi del lavoro.

Essi curano lo sviluppo delle carriere, la formazione del personale, il miglioramento delle condizioni di produttività e la eventuale ricollocazione nel mondo del lavoro dei lavoratori espulsi da una attività produttiva.

Le aziende capitalistiche o perlomeno quelle più grandi ed avanzate, hanno dimostrato, non di rado, un grande interesse per gli atteggiamenti dei propri dipendenti, le loro idee, il loro umore, le tensioni all’interno di un gruppo lavorativo e tutto ciò che riguarda la sfera psicologica dell’individuo. L’attenzione delle aziende per la sfera psicologica del lavoratore è motivata dal fatto che una maggiore attenzione per questi problemi può portare ad una maggior rendimento lavorativo e quindi un maggior profitto.

In mancanza di un tale risultato, cioè di un maggior sfruttamento, verrebbe meno qualsiasi attenzione da parte del capitale e delle aziende per i problemi della sfera interiore e psicologica degli individui.

Gli atteggiamenti lavorativi di solito più studiati dai psicologi del lavoro, sono la gratificazione, l’alienazione, la dedizione all’organizzazione, la retribuzione e la motivazione alla mansione. Gli psicologi industriali hanno il compito progettare strutture di formazione, di addestramento e adattamento della forza lavoro alle nuove tecnologie, per ottenere un maggior rendimento e un maggior appagamento del lavoratore alle mansioni svolte o da svolgere a secondo dei propositi prefissati dall’azienda.

Le attuali procedure di selezione del personale si basano sull’analisi delle capacità richieste per un determinato lavoro e delle caratteristiche di personalità necessarie per una determinata mansione. Queste procedure includono una valutazione dell’intelligenza, dell’adattabilità, della flessibilità e delle abilità specificamente richieste per il lavoro, ottenuta attraverso test psicologici.

Capire cosa pensa il lavoratore significa controllarlo meglio ed evitare che in azienda entrino pericolosi sovversivi. Controllo vuol anche dire capacità di ottenere il massimo da ognuno e quindi maggior impegno lavorativo e di conseguenza l’accettazione delle condizioni del proprio sfruttamento.

La psicologia industriale manageriale del lavoro è diventata quindi la nuova frontiera dell’asservimento ai fini della realizzazione del massimo del profitto, ed i suoi profeti, i moderni psicologi del lavoro sono i nuovi manipolatori delle coscienze al servizio del potere.

La macchina ha un limite di produttività oltre il quale, per motivi fisici, non può spingersi. Questi limiti sono conosciuti e sono una caratteristica degli strumenti tecnologici, mentre i limiti di produttività per l’uomo sono meno conosciuti e variano da individuo ad individuo.

Il compito della psicologia industriale è quello di scoprire questi limiti e spingere l’uomo a realizzare il più alto profitto possibile.

Questa nuova scienza trova applicazione nel campo dell’industria in virtù di questa sua possibilità e di essere uno strumento per indagare nei rivoli mentali dell’uomo per arrivare alla padronanza mentale e fisica del lavoratore.

Laddove l’azienda non possieda dei “buoni” psicologi del lavoro o non ne possegga affatto, spesso sono proprio i vertici sindacali che assumono questo compito anche attraverso agenzie di lavoro da essi controllate.

La schiavitù lavorativa nelle società a capitalismo avanzato è ormai diventata non soltanto materiale ma anche e sempre più psicologica.

Il controllo delle coscienze è ormai diventato tanto importante quanto quello della produzione dei beni materiali. I nuovi schiavi oltre ad essere altamente produttivi devono anche essere docili e sottomessi e questo è un obiettivo al quale la borghesia non vuole rinunciare.

La cancellazionedello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quale compito della prossima rivoluzione proletaria è anche il compito della cancellazionedell’asservimento psicologico alle regole ed alle imposizioni del dominio borghese.

di Salvatore Cappuccio