Pubblichiamo un articolo sul diritto all’affettività e alla sessualità dei detenuti scritto dall’Avv. Valentina Martini, appartenente al movimento Mobilitazione Generale degli Avvocati.


Troppo poco si parla, anche fra gli addetti ai lavori, di diritto all’affettività dei detenuti. Tematica senz’altro delicata e complessa da gestire, dal punto di vista giuridico e logistico.
In Italia però la trattazione dell’argomento, nella prospettiva di riforma dell’ordinamento penitenziario, viene rimessa non tanto ai giuristi o all’opinione pubblica, impreparata culturalmente ad affrontare la tematica, quanto piuttosto a comunicati di sindacati di polizia penitenziaria dai toni sprezzanti e volgari.

L’ultimo, in ordine temporale, è quello dell’USPP (Unione sindacati polizia penitenziaria) del 3 novembre scorso dal titolo “Eiaculazione penitenziaria. Al via i rapporti sessuali dei detenuti in carcere…ma fateci il piacere!”.
Nel leggere tale titolo anche molti fra gli addetti ai lavori, in primis chi esercita la professione forense prevalentemente in materia penale, si sono chiesti se non si trattasse di una “bufala”, di una notizia spazzatura di pessimo gusto.
Nel riscontrare la effettiva veridicità del comunicato, dal sito dell’USPP, non si è potuto quindi fare altro che prenderne con forza e fermezza le distanze.
E ricordare ai sindacati di polizia penitenziaria, abituati ai comunicati connotati da linguaggio dispregiativo e volgare, non solo che il diritto alla affettività rientra nel più ampio concetto di umanità della pena previsto dall’art. 27 della Costituzione, ma anche che il diritto all’affettività non è solo e soltanto sessualità.

Per chi la realtà carceraria è abituato a viverla solo per lavoro, solo in un arco temporale limitato all’orario lavorativo e solo dall’altra parte delle sbarre, dove le privazioni non esistono, il pregiudizio ed il disprezzo vengono quasi automatici.
In un mondo che si vorrebbe perfetto, improntato all’ordine e alla negazione e in cui la concessione è vista come inutile buonismo e non buon senso, l’affettività intesa sia come affetto puro e semplice sia come sessualità (uno degli aspetti dell’affettività) viene vista come una minaccia a degli imprecisati e non meglio identificati valori od interessi superiori.
La morale, il decoro, la decenza.
Come se concedere ad un detenuto uno degli aspetti fondamentali della vita di ogni persona (un bacio, una carezza, un abbraccio, un momento di intimità ma anche più semplicemente il calore umano di delle persone amate che aspettano fuori), fosse cosa indecente, vergognosa, immorale.
Come se ci si accanisse nel voler far morire dentro due volte una persona, privandola della libertà e dell’umanità.
Nel gridare allo scandalo, nel gridare alla immoralità dell’umanità, si usano, in piena contraddizione tra la morale imposta e quella innata nell’uomo, termini poornografici. Gratuitamente volgari. Incarnando così quella volgarità che invece tanto si vuole denunciare, e che altro non è che affettività.

Anche a mezzo di sindacati e comunicati è quindi permesso un pregiudizio volgare e spregiudicato.
Non è invece permessa, nelle loro teste, la logica applicazione di tutti quegli aspetti, tutte quelle piccole cose, che concorrono non solo alla rieducazione del reo ma anche al proprio reinserimento.
Quasi come se chi sta dalla parte giusta delle sbarre, quella dove le negazioni non esistono, avesse paura di tale rieducazione e reinserimento.
Fa paura evidentemente un mondo, una società, in cui può essere concessa una seconda possibilità a chi ha sbagliato.
Forse più semplicemente fa paura l’umanità e la prospettiva di una società in cui quello delle guardie e dei ladri potrebbe essere destinato a rimanere solo un gioco tra bambini.

Valentina Martini – Mobilitazione Generale degli Avvocati, Dipartimento Diritti Umani

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.