Malgrado la volontà affermata da Macron di finire con l’Africa francofona, la dominazione dell’imperialismo francese nel suo «giardino privato» africano è tuttora importante.

La declamazione dei discorsi in Africa è sempre stata rischiosa per i presidenti francesi. Ci si ricorda del discorso di Dakar di Nicolas Sarkozy, pronunciato qualche mese prima delle sue elezioni, la cui puzza di paternalismo e di razzismo coloniale aveva sollevato polemiche. Il capo dello Stato aveva allora mostrato con brio la sua mancanza di conoscenza della storia del continente africano, affermando per esempio: «Il dramma dell’Africa è che l’uomo africano non è stato introdotto abbastanza nella Storia». Il suo discorso approva ugualmente una visione etnocentrica dell’Africa, quella del turista occidentale venuto a scoprire i fascini di un continente «selvaggio» in opposizione all’Occidente «civilizzato»: «Sono venuto da voi per dire che l’uomo moderno che prova il bisogno di riconciliarsi con la natura ha molto da imparare dall’uomo africano che vive in simbiosi con la natura da millenni.» Globalmente, l’obiettivo di questo discorso era di fare tabula rasa del passato coloniale e di negare la continuità dell’Africa francese, tema di campagna elettorale importante di Sarkozy nel 2007.

Se Nadine Morano ha «un’amica nera», astuzia comoda per schivare le accuse di razzismo, lo stesso Sarkozy, secondo lo stesso schema, si erige chiaramente come «amico dell’Africa». Pertanto, se per la sua politica neocoloniale africana Sarkozy è venuto in aiuto degli amici in Africa, non si tratta in nessun caso della popolazione e dei lavoratori. Piuttosto, si potrà citare le ingerenze dello Stato francese nella vita politica degli Stati africani in favore di regimi dittatoriali (intervento militare in Ciad a sostegno di Idriss Déby nel 2008, di Ali Bongo in Gabon nel 2009, di Alassane Ouattara in Costa d’Avorio nel 2010) per l’obiettivo di ottenere degli accordi fruttuosi per altri amici, quelli di CAC40 (Areva, Bolloré, Boiygues, Total…). I grandi gruppi industriali francesi conducono una politica di depredazione economica sul continente africano, per lo sfruttamento dei lavoratori e delle risorse sotterranee abbondanti in Africa. Il caso di Areva in Niger è un esempio palese.

Macron tenta al giorno d’oggi di evitare di riprodurre la protesta provocata dal discorso di Sarkozy con maggiori misure simboliche. L’inaugurazione del suo viaggio istituzionale africano si fa da Ouagadougou (Burkina Faso) e non più da Dakar (Senegal), antica capitale dell’Africa Occidentale Francese. Peraltro, fin dall’inizio del suo discorso, afferma che quello non è un «aumento della politica africana della Francia», evoca «un passato che deve passare» e promette la disarchiviazione dei fascicoli concernenti l’assassinio, in cui il governo francese ha sicuramente giocato un ruolo, di Thomas Sankara nel 1987, figura dell’anti-imperialismo e defunto capo dello Stato burkinabé. Con ciò, Macron cerca chiaramente di distaccarsi dai suoi due predecessori, il quinquennio di François Hollande è stato marcato da un aumento dell’invio di truppe in Africa, e a trattenere il mito ipocrita della fine dell’Africa Francese. Poiché se Macron si appella alla moralizzazione delle imprese francesi in Africa, molto è per riposizionare la Francia come principale forza economica imperialista e come partner favorito degli Stati africani, minacciata com’è dall’impianto di altri imperialismi di concorrenti sul continente, come la Cina.

Macron durante una visita di Stato

Per il Presidente francese, l’Africa è soprattutto una riserva di crescita eccezionale. Questa visione dell’Africa, supportata dai borghesi francesi e internazionali, orienta la politica africana del governo francese. Così, Macron si è circondato da un Consiglio Presidenziale per l’Africa (CPA), composto da 11 persone legate maggiormente al dominio del business «spirito start-up», con dei profili giovani, legati alll’Africa (doppia nazionalità o attività economica). Se il governo testimonia qui una trasparenza di facciata, ciò non conferma che il meglio della sua volontà di ricreare dei nuovi domini economici in Africa.

Se Sarkozy aveva fatto della sua politica africana un elemento importante della sua campagna elettorale, Macron ha appena evocato questo tema. Valeva meglio evitare, per un candidato che si voleva «né di destra né di sinistra», un tale argomento disgregante. Illustra la sua ritirata a proposito della colonizzazione quando ha affermato, il 15 febbraio 2017, che si trattava «di un crimine contro l’umanità», dichiarazione che si è involuta tre giorni più tardi in «un passato nel quale ci sono stati crimini contro l’uomo». Macron coltiva la sua immagine di presidente giovane quando dice, a Ouagadougou, che appartiene a «una generazione che non ha conosciuto l’Africa colonizzata». Eppure, certe delle sue dichiarazioni sono ben piazzate nella continuità della vecchia tradizione politica francese imperialista. La sua «balla» sulle Comore lo scorso giugno, l’evocazione di un «problema di civilizzazione» africano all’epoca del G20 a luglio («Quando dei paesi hanno ancora oggi sette o otto figli per donna, voi potreste decidere di spendere miliardi di euro, ma voi non sistemerete nulla»), o ancora il suo atteggiamento di condiscendenza, in questi ultimi giorni, quando le sue prese di parola in Burkina Faso provano il fatto che esporta senza problemi il disprezzo di classe di cui fa già prova in Francia.

Mentre Macron pronunciava il suo discorso all’Università di Ouagadougou, la gioventù burkinabé manifestava contro il suo arrivo. La recente situazione politica del Burkina Faso testimonia l’esasperazione dei giovani di fronte alle politiche imperialiste che sono imposte loro. «La politica coloniale è figlia della politica industriale» diceva Jules Ferry, fervente sostenitore del colonialismo alla fine del XIX secolo. L’imperialismo è in effetti una politica necessaria per i bisogni dei capitalisti contro i propri lavoratori. Questi capitalisti sono gli stessi che sfruttano, poco importa dei continenti; è dunque necessario ampliare la solidarietà tra tutti e tutte i lavoratori dei paesi sotto dominazione imperialista.

Di Joel Malo

Articolo apparso su Révolution Permanente, tradotto in italiano da Immanuel Zippatov

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.