Anno 1950: Billy Wilder, noto regista di Noir hollywoodiani e fresco di Oscar per la pellicola “Giorni perduti”, scrive e dirige “Viale del tramonto”. Collegandoci alla recensione della scorsa settimana (Feud – Bette and Joan) è giusto continuare a scavare all’interno del mondo hollywoodiano. Questo film, oggi ritenuto uno dei massimi capolavori della cinematografia mondiale e perno centrale della carriera di Wilder, fu un grande scandalo, una pellicola che pareva destinata all’autodistruzione. Fortunatamente, la storia ha avuto un finale diverso.

Joe Gills (William Holden), un giovane sceneggiatore, non riesce più a vendere copioni; pieno di debiti, si darà alla fuga. Dopo un incidente d’auto, deciderà di parcheggiare la propria macchina nel garage di una villa apparentemente abbandonata. Ben presto lo sceneggiatore, scopre che la maestosa abitazione appartiene a Norma Desmond (Gloria Swanson) , un’attrice di punta del cinema muto, ormai completamente dimenticata. Custode e maggiordomo della casa, un sinistro Max (il grande regista Erich Von Stroheim)
Dopo aver accettato l’ospitalità della matura attrice, Joe diventerà il suo amante e sceneggiatore personale per un soggetto da lei scritto, ispirato alla vicenda di Salomè. L’unica via d’uscita da questa “gabbia dorata” sarà l’incontro con la giovane sceneggiatrice Betty.

La trama segue la classica struttura del cinema classico hollywoodiano: un eroe, un antagonista, una fanciulla di cui si innamorerà ed un finale tragico. Tuttavia non bisogna farsi ingannare da questo elemento: Wilder vuole colpire un determinato sistema (lo star system) e lo fa con lo star system stesso. Gloria Swanson è stata una delle prime Dive, una delle prime attrici che hanno fatto di Hollywood la patria del glamour e della società dei consumi. Il 23 ottobre 1927 il cinema mutò morì tragicamente per lasciar spazio al cinema sonoro. I divi del muto non avevano più spazio sul grande schermo (molti attori morirono alcolizzati o, nel peggiore del casi, si suicidarono): finirono nel dimenticatoio. Quindi la scelta di fare della Swanson la protagonista femminile, in un film sonoro del 1950, fu pressoché singolare e rischiosa. William Holden non aveva ancora sfondato come attore, eppure qui è il protagonista maschile sotto contratto con una major come la Paramount. Erich Von Stroheim fu, forse, il regista pioniere della settima arte che più si oppose all’idea di cinema che Hollywood stava creando nei primi anni ’20 (vedi “Greed” girato da Von Stroheim nel 1924: è ancora oggi, una delle maggiori pellicole anticapitalistiche della storia del cinema).
Wilder sceglie un cast già “schiacciato” dai meccanismi dello star system, un cast che il pubblico avrebbe potuto non apprezzare, perché dimenticato o non ancora conosciuto.
La seconda, e forse più importante, svolta di questa pellicola è la figura di Norma Desmond. La Desmond è chiaramente psicotica, vive in una casa piena dei propri ritratti, arredata con mobili tipici del primo dopo guerra, rifiuta l’idea di avere 50 anni. Insomma, Norma Desmond, in quel piccolo mondo da lei costruito, è ancora la Diva di un cinema ormai scomparso. La figura di Joe, invece, è quella della “nuova Hollywood”, cioè l’immagine di un uomo pronto a prostituirsi per denaro e fama. Quindi una parte forte che si nutre della parte più debole: è la classica dialettica servo\padrone. Trattare un tema così delicato, fu un grande rischio, non per eventuali recensioni negative, ma per quello che Hollywood era nel 1950: la patria delle liste nere. Moralmente parlando, l’arte dovrebbe avere il privilegio di essere un’espressione in ogni caso libera. Purtroppo l’industria cinematografica raramente ha preso le distanze da una pressante ideologizzazione che la schiacciava sulla propaganda. Nel 1950 l’America era in piena guerra fredda, l’obiettivo principale era quello di eliminare il comunismo e di non farlo permeare nel tessuto americano. Il cinema, come ben sappiamo, è sempre stata un’arma propagandistica decisiva e di effetto immediato. Il governo Truman non avrebbe permesso la produzione di film troppo “sinistroidi”, infatti molti sceneggiatori e registi furono incarcerati per condotta “anti americana”. Wilder è riuscito a regalarci un’opera coraggiosa: un’opera che, come detto da Murphy nel suo “Bette and Joan”, mostra come la società dei consumi riesca a distruggere il singolo individuo.

 

Sabrina Monno

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.