All’inizio del XX secolo, nella maggior parte dei paesi l’omosessualità era considerata un atto immorale, se non direttamente punibile per legge. È per questo che primi omosessuali militanti del XIX secolo fomentarono la lotta per la depenalizzazione della propria sessualità.

Nella storia russa furono tanti i momenti nei quali si provò ad instaurare il mito di una nazione eterosessuale e mascolina, mito comune a quasi tutti gli Stati nazionali moderni. In Russia si propinava l’idea che l’omosessualità fosse un prodotto “importato” dall’Europa occidentale. Argomentazioni simili sono state sentite negli ultimi anni a proposito delle leggi antiomosessuali di Putin, ma che furono a suo tempo formulate dalle campagne staliniste contro la “sodomia” negli anni ’30.

La storia della persecuzione contro gli omosessuali negli anni ’30 in Unione Sovietica ha finito con l’oscurare un fatto storico di grande importanza: i primi ad aderire allo slogan degli audaci militanti dell’epoca furono i bolscevichi, che negli anni ’20 tolsero dal codice penale il “peccato” di sodomia. Così facendo, divennero un esempio a livello globale per le nascenti organizzazioni di gay e lesbiche, la cui intenzione era affermare il diritto a vivere la propria sessualità.

Prospettiva Nevsky, luogo d’incontro per gli omosessuali di Pietroburgo

Prima della rivoluzione

In netta contrapposizione con l’idea di una Russia eterosessuale e mascolina, l’omosessualità era assai estesa di quanto si voglia riconoscere. La presenza di una sottocultura omosessuale russa nelle principali città dell’impero zarista può venire constatata sin dalla fine del XIX secolo. Furono Mosca e Pietrogrado i principali scenari in cui si svolse questo processo.

L’abolizione della servitù della gleba nel 1861 e l’industrializzazione degli ultimi due decenni dell’Ottocento, indussero un gran numero di contadini a stabilirsi nelle città. Questi, senza legami familiari familiari affermati, o indeboliti dalla distanza, si apprestavano a entrare in un ambiente dove le norme sociali e morali erano meno rigide che nei villaggi da cui provenivano. Così cominciarono a definirsi la comunità omosessuale, con codici e spazi che le erano propri. Bagni come luoghi di riunione, boulevard frequentati da omosessuali, circoli di poesia e persino diari personali della nobiltà zarista, sono quanto ritrovato negli archivi che ci permettono di ricostruire la storia di questo movimento.

Nel 1835 la sodomia divenne formalmente un crimine previsto dal codice penale, ma a differenza di Francia, Inghilterra e Germania, dove durante il XIX secolo aumentò la repressione poliziesca contro il sesso tra uomini, il sistema giudiziaro zarista non intraprese una persecuzione sistematica di “pederasti” e “sodomiti”. Fino al 1905 la maggior parte dei processi erano svolti come conseguenza di denunce di privati e non erano il risultato di inchieste di polizia. Gli sforzi della polizia continuavano a essere incentrati sul mantenimento dell’ordine e della decenza pubblica.

Con questo contesto ereditato dal secolo passato, la rivoluzione del 1905 incentivò una maggiore libertà di espressione, soprattutto nel campo della cultura e della letteratura. Sebbene non fossero nate organizzazioni in difesa dei diritti degli omosessuali, furono sempre di più i singoli che iniziarono ad agire contro l’omosessualità come reato.

La conquista della depenalizzazione

Durante la discussione sulla bozza del codice penale approvato nel 1903, da parte liberale si rivendicava la depenalizzazione della sodomia, con un’argomentazione basata del diritto alla privacy e all’autonomia personale. Nonostante ciò, l’omosessualità rimase un crimine. Non fu che con la rivoluzione bolscevica che nel 1918, attraverso la liquidazione del vecchio codice penale, che vennero di fatto abolite le pene previste per gli atti di “sodomia” compiuti tra adulti. La misura venne confermata nel maggio del 1922 con l’entrata in vigore del nuovo codice penale sovietico.

Questo fatto costituì una pietra miliare, furono i bolscevichi a portare avanti la rivendicazione principale dei militanti per la liberazione omosessuale più audaci e accettati fino ad allora. Uno di essi era Magnus Hirschfield, che già nel 1898 sollecitò al parlamento tedesco la depenalizzazione dell’omosessualità, attraverso una petizione presentata dal blocco socialdemocratico. A precederlo su questa linea furono personaggi come Karl Heinrich Ulrichs o Karl-Maria Kertbeny. Il primo divenne famoso per un discorso pronunciato di fronte al Congresso dei Giuristi Tedeschi a Monaco, pronunciato il 29 agosto 1867, nel quale ammise la propria omosessualità e protestò contro l’articolo 143 del codice penale prussiano. Il secondo, che condannava altrettanto energicamente la persecuzione nelle sue opere letterarie, fu il primo ad utilizzare la parola “omosessuale” per descrivere quanti praticassero relazioni sessuali con qualcuno del medesimo sesso. Termine che in seguito venne utilizzato nel 1886 dal primo libro psichiatrico, all’epoca molto famoso, dedicato interamente alle perversioni sessuali, Psycopathia Sexualis.

L’importanza di questo fatto non sta solamente nella conquista della principale rivendicazione degli omosessuali militanti, ma anche e soprattutto nel fatto che così facendo l’URSS ottenne un vantaggio di 50 anni sull’occidente. Infatti, solo negli anni ’70, mentre a livello internazionale la gioventù abbracciava le idee della rivoluzione socialista, con i fatti di Stonewall e la nascita del movimento di liberazione sessuale, si ottenne la depenalizzazione in paesi importanti come la Germania Orientale (1968), Paesi Bassi (1971), Spagna (1978) e Francia (1982).

Manifesto di propaganda stalinista che presenta i soldati tedeschi come effeminati

Le contraddizioni di quel tempo

All’origine di questo evento vi sono la realtà russa e del partito bolscevico che, una volta preso il potere grazie all’appoggio dei soviet, attuò la depenalizzazione in un momento in cui vi era una grande crisi economica, mentre erano in atto la prima guerra mondiale e la guerra civile (portata avanti dalle potenze imperialiste nel tentativo di schiacciare l’URSS).

Ma anche così le estreme ostilità nei confronti degli omosessuali non sparirono. Durante gli anni venti, la questione causò controversie che portarono alla formazione di due correnti.

La prima, radicalmente a favore della depenalizzazione, proveniva da una lunga tradizione rivoluzionaria di liberazione ed emancipazione, basata sulla critica feroce sul ruolo di istituzioni reazionarie come la Chiesa.

La seconda si basava sul peso della morale conservatrice, su una concezione riproduttivista della sessualità e sugli sviluppi della psichiatria per cui gli omosessuali erano elementi dannosi per la società e l’mosessualità una psicopatologia. Una visione che si difuse e che negli anni ’20 ancora fece persistere la perscuzione e la prosecuzione degli omosessuali, nonostante questo fosse illegale.

Ci sono molti esempi di esponenti rivoluzionari inquadrati nella prima corrente. Uno di questi è quello di Aleksandra Kollontaj, membro del Comitato Centrale del Partito Bolscevico e commissario del popolo per la solidarietà statale. Negli anni ’20 la Kollontaj divenne membro della Lega Mondiale per la Riforma Sessuale, associazione berlinese con a capo Magnus Hirschfeld, cosa che la legherà alle campagne per l’emancipazione omosessuale in Europa occidentale.

C’erano poi sforzi fatti in questa direzione da settori del commissariato per la solidarietà statale. Un esempio di questi è quello del dottor Batkis, presidente dell’Istituto di igiene sociale di Mosca, il quale sosteneva: « Per la legislazione sovietica, lo Stato è assolutamente esente da qualsiasi influenza nelle questioni sessuali. » Anche questi settori si legarono a Hirschfeld e fecero tradurre in russo le sue opere in tedesco.

La contraddizione più vistosa dell’epoca stava nel fatto che le rivendicazioni degli omosessuali erano ben lungi dall’interessare settori di massa. Per di più, non furono mai in grado di dare quella spinta che sarebbe stata capace di creare un movimento reale che lottasse per tali rivendicazioni. A tutto ciò vanno sommate la mancanza di conoscenza e di sviluppi scientifici nel campo della sessualità. In questo senso, la questione distava anni luce dal movimento per l’emancipazione femminile, che in quel momento aveva alle sue spalle molte lotte condotte tra la fine XIX secolo e all’inizio del XX secolo. Le rivendicazioni femminili erano per questo parte integrante della linea politica del Partito Bolscevico.

Più tardi, con la controrivoluzione portata avanti da Stalin e in opposizione alla dirignza sovietica che vedeva Lenin e Trotsky alla sua testa, fu approvata nel maggio del 1934 una nuova legge che rendeva un crimine l’omosessualità maschile. Iniziò così una campagna che tendeva ad identificare gli omosessuali come elementi “declassati”, che questi fossero importati dall’Europa occidentale (in particolare dalla Germania) e che addirittura fossero agenti del fascismo. Si trattava di una linea politica criticata da figure come quella di Wilhelm Reich, espulso dal KPD dopo che negli anni ’30 dopo la svolta conservatrice del partito in materia di morale sessuale. Nel suo articolo « La rivoluzione sessuale » indicò la legislazione sovietica come la più progressiva della sua epoca e criticò in maniera furibonda il processo involutivo condotto dallo stalinismo.

Per un mondo in cui siamo socialmente uguali, umanamente diversi e totalmente liberi”

La depenalizzazione dell’omosessualità fu una delle tante misure che l’Unione Sovietica adottò nel cammino verso l’emancipazione dell’umanità dalla schiavitù salariale e da qualsiasi tipo di oppressione. In un mondo dove il capitalismo continua a sfruttare la discriminazione dell’orientamento sessuale e l’identità di genere per rafforzare il potere repressivo dei suoi governi e a dividere gli sfruttati e gli oppressi, come le lotte che questi conducono, è necessario riprendere questa esperienza. Quando il sistema sostiene questi valori morali cercando di soggiogare la maggior parte della società per il profitto dei pochi, diventa imperativo levare la bandiera della prospettiva di lotta per la liberazione sessuale legata indissolubilmente alla lotta rivoluzionaria che tende a spezzare definitivamente le catedene dello sfruttamento.

Articolo comparso su La Izquierda Diario

di Rodrigo López e Pablo Herón

Traduzione di Gabriele Bertoncelli

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.