Un passo in avanti verso l’ escalation della tensione in medio oriente: mercoledì scorso, il presidente Trump ha riconosciuto “ufficialmente Gerusalemme come capitale dello stato di Israele”.


Come promesso in campagna elettorale, in occasione di un breve discorso televisivo dalla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti ha dato ordine al suo segretario di stato di “organizzare lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme”. Una larga parte del mondo arabo-musulmano ed anche europeo ha condannato e biasimato questa decisione.

Benché il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale dello stato di Israele fosse una promessa della campagna elettorale, questa decisione non è priva di conseguenze e si colloca nel quadro di una particolare congiuntura, considerando anche che altre dirompenti promesse elettorali inserite nel programma di Trump non sono state applicate, come ad esempio la riforma dell’Obamacare o il muro alla frontiera col Messico (per opposizione del Senato o per mancanza di consenso interno).

Questa decisione si colloca nel contesto di una ripresa della tensione in tutto il Medio Oriente. L’ embargo imposto dai Sauditi in Qatar si prolunga, il conflitto in Yemen riprende con una lotta tra gli Huthi ed i sostenitori del vecchio presidente Saleh (ucciso dagli Huthi solo qualche giorno fa). Il Libano attraversa una profonda crisi politica a seguito delle dimissioni poi rientrate del primo ministro Hariri, dimissioni decise dai sauditi che a loro volta puntano il dito contro Hezbollah, sostenuto dall’Iran, quale causa di questa crisi.

Gli scontri tra gli eserciti siriano ed israeliano sulle alture del Golan preoccupano sempre di più l’ opinione pubblica israeliana che teme lo scoppio di una nuova guerra.

E infine il riavvicinamento delle ultime settimane tra Hamas e Fatah è visto con timore da Israele.

La situazione all’interno della striscia di Gaza è insostenibile a causa dell’embargo. La debolezza di Hamas e il timore di una sollevazione popolare indipendente allarmano le autorità e costringono ad un riavvicinamento a Fatah e all’Autorità palestinese. Per gli Stati Uniti si tratta di sostenere a tutti i costi il principale e fedele alleato della regione e allo stesso tempo di rafforzare l’ avamposto dell’imperialismo americano nella regione, cioè lo stato di Israele. Considerando la situazione in Siria, gli Stati Uniti non hanno più margini di manovra nella regione e da qui il sostegno incondizionato alla politica bellicista di Israele.

Inoltre il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele è un vero successo per Donald Trump che consolida le posizioni cristiano-evangeliche, notoriamente le sostenitrici più ferventi del sionismo tra i repubblicani.

A differenza del partito democratico, il sionismo gode di un consenso pressoché unanime nel partito repubblicano.

Secondo la ricercatrice Celia Benin, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele è un “regalo alla base elettorale evangelica” del partito repubblicano e riesce in un solo colpo a soddisfare tanto i ceti medi evangelici del profondo Alabama, quanto le grandi organizzazioni lobbistiche pro-israeliane che hanno finanziato la campagna dell’attuale presidente.

La decisione del presidente Trump cambia completamente le carte in tavola.

Hamas ha invocato una nuova intifada, ci sono stati scontri in Palestina che hanno causato un morto e alcuni feriti di cui uno in gravi condizioni, lo sciopero generale proclamato dalle autorità palestinesi giovedì in Cisgiordania e a Gerusalemme ha ottenuto una grossa partecipazione. Manifestazioni di sostegno si sono avute in Turchia, Pakistan, Tunisia e in Giordania. In Libano il leader di Hezbollah, Nassan Nasrallah, ha fatto appello ad una massiccia mobilitazione popolare per lunedì a Beirut.

Queste proteste e queste mobilitazioni hanno un’ impronta progressista. Perché possano arrivare ad una soluzione del problema palestinese, le masse devono fare attenzione a emanciparsi da ogni politica fiancheggiatrice tanto dell’imperialismo quanto del sionismo ma anche da ogni politica filo-islamica per potersi costituire come soggetto politico indipendente ad autonomo. In questo modo esse potranno anche condurre una lotta politica per la caduta dello stato sionista in alleanza col proletariato israeliano per raggiungere l’emancipazione del popolo palestinese e chiudere con lo sfruttamento e l’oppressione del sionismo.

 

Olivier Isidore

Traduzione di Ylenia Gironella da Révolution Permanente

La Voce delle Lotte ospita i contributi politici, le cronache, le corrispondenze di centinaia compagni e compagne dall'Italia e dall'estero, così come una selezione di materiali della Rete Internazionale di giornali online La Izquierda Diario, di cui facciamo parte.