Pubblichiamo un estratto dell’opera Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento, scritto da Lenin nel 1902 in polemica con le altre frazioni della socialdemocrazia russa (all’epoca i rivoluzionari si definivano “socialdemocratici”). In questo brano Lenin spiega magistralmente la funzione di un giornale inteso come impalcatura su cui costruire un’organizzazione centralizzata, un esercito di agitatori e propagandisti che prenda contatto con le avanguardie del movimento operaio. Un ragionamento che, anche a distanza di tempo e di evoluzione tecnologica, offre ottimi spunti di riflessione su organizzazione e comunicazione politiche per i marxisti di oggi.


Tutta la sostanza dell’articolo Da che cosa cominciare? consisteva appunto nel porre questo problema e nel risolverlo affermativamente. Il solo che, per quanto sappiamo, abbia cercato di analizzarlo e di dargli una soluzione negativa è L. Nadezdin, di cui riproduciamo testualmente gli argomenti. “… Il modo con cui l’Iskra (n. 4) ha posto la questione della necessità di un giornale per tutta la Russia ci piace molto. Ma non possiamo riconoscere che corrisponda al titolo dell’articolo

Da che cosa cominciare?

È indubbiamente un’iniziativa importantissima; ma le basi di un’organizzazione combattiva in un momento rivoluzionario non possono essere poste da un giornale, né da una serie di fogli popolari, né da una montagna di manifestini. È necessario procedere alla creazione di forti organizzazioni politiche locali. E se non le abbiamo, è perché abbiamo lavorato soprattutto fra gli operai colti, mentre le masse hanno quasi esclusivamente condotto la lotta economica.

Se non si educano delle forti organizzazioni politiche locali, che cosa sarà un giornale per tutta la Russia, anche se perfettamente organizzato? Un roveto ardente, che brucia senza consumarsi, ma che non infiamma nessuno! Intorno a un simile giornale, per un simile giornale, il popolo si raccoglierà e si organizzerà nell’azione: così pensa l’Iskra. Ma al popolo è molto più facile raccogliersi e organizzarsi intorno ad un’attività più concreta! Quest’attività può e deve essere la creazione su vasta scala di giornali locali, la preparazione delle forze operaie per le dimostrazioni, il lavoro costante delle organizzazioni locali fra i disoccupati (diffondere instancabilmente fra di loro fogli volanti, convocarli in assemblee, incitarli a resistere al governo, ecc.). Bisogna cominciare in provincia un lavoro politico vivo, e quando l’unità diventerà necessaria su questo terreno concreto, non sarà più fittizia, non rimarrà sulla carta. Non è coi giornali che si può giungere all’unificazione del lavoro locale su scala nazionale!” (La vigilia della rivoluzione,p. 54). Abbiamo sottolineato in questa eloquente tirata i brani che pongono meglio in rilievo l’idea falsa che l’autore si fa del nostro piano e, in generale, l’erroneità della concezione che egli oppone all’Iskra. Se non si creano forti organizzazioni politiche locali, anche il migliore giornale per tutta la Russia non otterrà alcun risultato. Giustissimo. Ma il fatto è che, per educare forti organizzazioni politiche, non vi è altro mezzo all’infuori di un giornale per tutta la Russia. All’autore è sfuggita la dichiarazione più importante dell’Iskra: quella che precede l’esposizione del “piano”. È necessario, si dice in quella dichiarazione, “promuovere la formazione di un’organizzazione rivoluzionaria, capace di unire tutte le forze e di dirigere il movimento non soltanto di nome, ma di fatto, di essere cioè sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione, sfruttandole per moltiplicare e consolidare le forze militari che possono servire per la battaglia decisiva”. In linea di principio, continua l’Iskra, oggi, dopo gli avvenimenti del febbraio e del marzo, tutti sono d’accordo su questo punto; ma a noi non occorre una soluzione di principio, bensì una soluzione pratica della questione. Ci occorre immediatamente un piano preciso, affinché si possa cominciare a costruire immediatamente e da diverse parti. Ci si vuole invece far retrocedere dalla soluzione pratica alla grande verità – giusta ed incontestabile in linea di principio, ma insufficiente ed incomprensibile per la maggioranza dei lavoratori – che bisogna “educare delle forti organizzazioni politiche”! Non si tratta di questo, ora, egregio scrittore, ma appunto di come crearle ed educarle!

È falso dire che “abbiamo lavorato soprattutto fra gli operai colti” e che “le masse hanno quasi esclusivamente condotto la lotta economica”. Così formulata, questa affermazione fa eco alla tesi radicalmente sbagliata della Svoboda, che contrappone continuamente gli operai colti alle “masse”. In questi ultimi anni gli operai colti hanno anch’essi, in Russia, condotto “quasi esclusivamente la lotta economica”. Questo da un lato. D’altro lato, le masse non impareranno mai a condurre la lotta politica fino a quando non contribuiremo a educare dei dirigenti per tale lotta, sia fra gli operai colti, che fra gli intellettuali. Ma simili dirigenti possono educarsi solo se si abituano a valutare quotidianamente, sistematicamente tutti gli aspetti della nostra vita politica, tutti i tentativi di protesta e di lotta compiuti dalle diverse classi per cause diverse. Parlare perciò di “educare delle organizzazioni politiche” e nello stesso tempo contrapporre l’ “opera fittizia” di un giornale politico al “lavoro politico vivo nella provincia” è semplicemente ridicolo! E l’Iskra fa appunto collimare il suo “piano” per un giornale col “piano” per ottenere una “preparazione alla lotta” che permetta di appoggiare e il movimento dei disoccupati, e le sollevazioni contadine, e il malcontento dei rappresentanti degli zemstvo, e “l’indignazione della popolazione contro il regime di arbitrio dei cani di guardia dello zarismo”, ecc. Chiunque conosca il movimento sa molto bene che l’immensa maggioranza delle organizzazioni locali non vi pensa neppure, che molti dei progetti di “lavoro politico vivo” qui tracciati non sotto mai stati finora applicati da nessuna organizzazione locale, che per esempio il tentativo di richiamare l’attenzione sul malcontento crescente e sulle continue proteste degli intellettuali degli zemstvo sconcerta e Nadezdin (“Dio mio! ma quest’organo non è destinato ai rappresentanti dello zemstvo?”, La vigilia della rivoluzione, p. 129) e gli economisti (lettera del n. 12 dell’Iskra) e numerosi militanti. In queste condizioni si può “cominciare” soltanto incitando i militanti a pensare a tali questioni, a sommare ed a generalizzare tutte le manifestazioni di fermento e di lotta attiva. In un periodo in cui i compiti socialdemocratici sono scaduti ad un livello molto basso, si può cominciare un “lavoro politico vivo” esclusivamente con una vivace agitazione politica, che è impossibile senza un grande giornale per tutta la Russia, che si pubblichi spesso e sia regolarmente diffuso.

Chi giudica il “piano” dell’Iskra come pura “letteratura” non ne ha affatto compreso la sostanza; ha scambiato con lo scopo il mezzo più adatto nel momento presente, non si è preso la briga di riflettere su due paragoni che chiariscono il piano. La creazione di un giornale politico per tutta la Russia – scriveva l’Iskra – deve essere il filo conduttore; seguendolo, potremo continuamente sviluppare, approfondire ed estendere l’organizzazione (cioè l’organizzazione rivoluzionaria, sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione). Ditemi, per favore, quando i muratori collocano su vari punti le pietre di un immenso edificio, di forma assolutamente nuova, tendendo il filo, che, aiutandoli a trovare il punto esatto, indica loro lo scopo finale di tutto il lavoro e permette loro di mettere a posto non solo ogni pietra, ma gli strati di pietre che sovrapponendosi l’uno all’altro daranno la linea definitiva e complessiva, compiono forse un lavoro “fittizio”? Non è chiaro che oggi attraversiamo nel nostro partito effettivamente un periodo in cui, pur avendo delle pietre e dei muratori, ci manca il filo visibile a tutti e sul quale tutti possano regolarsi? Lasciamo strillare a piacer suo chi pretende che, tendendo il filo, noi vogliamo comandare: se così fosse, signori, invece di intitolare il nostro giornale Iskra, n. 1, l’avremmo intitolato Rabociaia Gazieta, n. 3, come ci proponevano alcuni compagni e come avevamo pienamente il diritto di fare dopo quegli avvenimenti di cui si è parlato più sopra. Ma non lo abbiamo fatto perché volevamo avere le mani libere per combattere senza pietà tutti gli pseudosocialdemocratici, perché volevamo far accettare il nostro filo, in quanto e perché è teso in modo giusto e non perché è teso da un organo ufficiale.

“L’unificazione dell’attività locale da parte di organi centrali è una questione che si aggira in un circolo vizioso, – scrive sentenziosamente Nadezdin. – Per l’unificazione occorrono elementi omogenei; ma l’omogeneità stessa può essere creata soltanto da qualcosa che unifica. Questo qualcosa però non può essere che il prodotto di forti organizzazioni locali, le quali in questo momento non si distinguono davvero per omogeneità.” Verità rispettabile e incontestabile quanto l’affermazione della necessità di creare forti organizzazioni politiche! Ma verità non meno sterile! Ogni questione “si aggira in un circolo vizioso” perché tutta la vita politica è una catena senza fine composta di un numero infinito di anelli. Tutta l’arte dell’uomo politico consiste precisamente nel trovare e nell’afferrare saldissimamente l’anello che più difficilmente può essergli strappato, che è il più importante in quel dato momento e che meglio gli garantisce il possesso di tutta la catena [*4]. Se avessimo un gruppo di muratori capaci, abbastanza allenati al lavoro collettivo per poter porre le pietre dove è necessario, senza alcun filo (astrattamente parlando, non è impossibile), potremmo forse aggrapparci a un altro anello. Il male è che non abbiamo ancora dei muratori simili, che spesso le pietre sono collocate a caso, senza la guida di un filo e in modo così scomposto che il nemico può disperderle, come grani di sabbia, con un soffio.

Altro paragone: “Il giornale non è solo un propagandista e un agitatore collettivo, ma anche un organizzatore collettivo. Sotto questo ultimo aspetto, lo si può paragonare alle impalcature che rivestono un edificio in costruzione, ma ne lasciano indovinare la sagoma, facilitano i contatti tra i costruttori, li aiutano a suddividersi il lavoro e a rendersi conto dei risultati generali ottenuti con il lavoro organizzato” [*5]. Non sembrerebbe che qui il letterato, l’uomo specializzato nel lavoro a tavolino, esageri la propria funzione? Le impalcature non sono affatto necessarie per l’edificio in sé; sono fatte col materiale peggiore, innalzate per un tempo relativamente breve e gettate nel fuoco quando nelle sue grandi linee l’opera è finita. Per quanto concerne l’edificazione di organizzazioni rivoluzionarie, l’esperienza dimostra (per esempio negli anni settanta) che si riesce talvolta a costruire senza impalcature. Ma oggi non possiamo neppure pensare alla possibilità di elevare senza impalcature l’edificio che ci è necessario.

Nadezdin non è d’accordo e scrive: “Intorno a un simile giornale, per un simile giornale, il popolo si raccoglierà e si organizzerà nell’azione: così pensa l’IskraMa al popolo è molto più facile raccogliersi e organizzarsi intorno ad un’attività più concreta!”. Certamente: “molto più facile… intorno ad un’attività più concreta”… Un proverbio russo dice: Non sputare nel pozzo, perché avrai bisogno della sua acqua. Ma c’è della gente che non disdegna di dissetarsi al pozzo in cui si è sputato. Nella ricerca del “più concreto”, quali porcherie non sono stati indotti a dire e a scrivere i nostri brillanti “critici” legali “del marxismo” e gli ammiratori illegali della Rabociaia Mysl! Com’è schiacciato tutto il nostro movimento dalla nostra limitatezza, dalla nostra mancanza di iniziativa e dalla nostra timidezza, giustificate con i tradizionali argomenti di questo genere: “molto più facile… intorno ad un’attività più concreta”! E Nadezdin, che si ritiene particolarmente dotato del senso della “realtà”, che condanna severamente gli “uomini da tavolino”, che rimprovera all’Iskra (con la pretesa di far dello spirito) il debole di vedere l’economismo dappertutto, che immagina di essere molto al di sopra della divisione in ortodossi e in “critici”, Nadezdin non si accorge neppure di fare così il giuoco della limitatezza che lo indigna, non si accorge di bere nel pozzo dove più si è sputato! L’indignazione più sincera contro la nostra limitatezza, il desiderio più ardente di disgustarne coloro che vi si adattano non bastano ancora se si naviga senza timone, alla mercé dei venti, e se ci si attacca istintivamente, come i rivoluzionari degli anni settanta, al “terrorismo stimolante”, al “terrorismo agrario”, alle “campane a martello”, ecc. Vedete ora che cosa propone Nadezdin di “più concreto” per raccogliere ed organizzare “molto più facilmente” il popolo: 1) giornali locali; 2) preparazione di manifestazioni; 3) lavoro fra i disoccupati. Ci si accorge subito che tutto ciò è scritto a caso, come vien viene, solo per dire qualche cosa, perché, da qualunque parte lo si consideri, sarebbe assurdo volervi trovare qualcosa di particolarmente adatto per “raccogliere” e per “organizzare”. E lo stesso Nadezdin, due pagine dopo, scrive: “Sarebbe tempo di costatare questo fatto: in provincia il lavoro è infimo, i comitati non fanno la decima parte di quanto potrebbero fare… I centri di unificazione che esistono oggi sono fittizi, sono burocrazia rivoluzionaria, organismi nei quali ci si promuove scambievolmente a ‘generale’, e ciò avverrà fino a quando non avremo delle forti organizzazioni locali”. Queste parole, a parte la loro esagerazione, contengono indubbiamente una gran parte di triste verità; ma come mai Nadezdin non vede il nesso fra l’infimo lavoro locale e la ristrettezza d’orizzonte dei militanti, l’angustia del campo d’azione della loro attività, difetti inevitabili data la mancanza di preparazione dei militanti che si rinchiudono nel quadro delle organizzazioni locali? Come ha potuto dimenticare, al pari dell’autore dell’articolo sull’organizzazione pubblicato nella Svoboda, che gli inizi di una vasta stampa locale (1898) sono stati accompagnati da un aumento particolare dell’economismo e del “primitivismo”? Anche se fosse possibile un’organizzazione più o meno buona di una “vasta stampa locale” (ed abbiamo mostrato precedentemente che ciò è impossibile, salvo qualche caso eccezionale), anche allora gli organi locali non potrebbero “raccogliere ed organizzare” tutte le forze dei rivoluzionari per l’assalto generale contro l’autocrazia, per dirigere una lotta unica. Non dimenticate che si tratta solo del giornale come fattore di raggruppamento, come organizzatore, e che noi, quando Nadezdin difende la dispersione, potremmo rispondergli a puntino ritorcendo la domanda ironica che ci muove lui stesso: “Non abbiamo forse ricevuto in eredità almeno 200.000 organizzatori rivoluzionari?”. Inoltre non si può contrapporre la “preparazione di manifestazioni” al piano dell’Iskra, perché questo piano prevede precisamente le più larghe manifestazioni come uno degli obiettivi da raggiungere; ma qui si tratta di scegliere il mezzo pratico. Anche in questo caso, Nadezdin ha sbagliato strada; ha dimenticato che solo truppe già “raccolte ed organizzate” possono “preparare” delle manifestazioni (che fino ad oggi sono state per lo più del tutto spontanee); e, precisamente, noi non sappiamo raccogliere ed organizzare.

“Il lavoro fra i disoccupati.” Sempre la stessa confusione; è questa una delle operazioni attive di un esercito mobilitato e non un piano per mobilitare l’esercito. Quanto Nadezdin sottovaluti, anche in questo caso, il danno che ci reca la dispersione, la mancanza di “200.000 organizzatori”, risulta da ciò che segue. Molti (fra cui Nadezdin) hanno rimproverato all’Iskra di dare troppo scarse informazioni sulla disoccupazione e di non pubblicare che corrispondenze occasionali sulle manifestazioni più consuete della vita rurale. Il rimprovero è giusto, ma l’Iskra non ne ha colpa. Noi ci sforziamo di “tendere” il nostro “filo” anche attraverso la campagna, ma laggiù non vi sono muratori quasi in nessun luogo, e noi dobbiamo incoraggiare tutti coloro che ci inviano anche delle banalità con la speranza che aumenti così il numero dei nostri collaboratori rurali e che finalmente tutti noi impariamo come si selezionano i fatti veramente notevoli. Ma questo materiale è così scarso che, se non generalizzeremo i fatti avvenuti in tutta la Russia, non avremo quasi niente per istruirci. Certo un individuo, che abbia più o meno le attitudini di agitatore che Nadezdin possiede e la sua conoscenza della vita dei vagabondi, potrebbe, con la propria agitazione fra i disoccupati, rendere servizi preziosi al movimento. Ma le sue capacità rimarrebbero quasi inutilizzate se non si adoperasse a far conoscere a tutti i compagni russi i particolari della sua attività, per dare un esempio e un’istruzione a uomini che, nella loro maggioranza, non sanno neppure iniziare questa nuova attività. Tutti parlano attualmente dell’importanza dell’unificazione, della necessità di “raccogliere e di organizzare”, ma nella maggior parte dei casi non si sa ancora chiaramente da che cosa cominciare e come raggiungere l’unificazione. Si ammetterà senza dubbio che per “unificare” per esempio i circoli di quartiere di una città occorrono degli organismi comuni, cioè non solo l’etichetta della “unione”, ma un lavoro veramente comune, uno scambio di materiali, di esperienze e di forze, una ripartizione delle funzioni, non solo per quartiere, ma anche per specializzazione, in tutta l’attività urbana. È evidente che un buon apparato clandestino non coprirà le sue spese (ci si passi quest’espressione commerciale) se può disporre delle “risorse” (materiali ed umane, beninteso) di un solo quartiere e che l’ingegno di uno specialista non avrà campo sufficiente d’azione in limiti così ristretti. E ciò si riferisce anche all’unificazione delle varie città, perché il campo d’azione di una località isolata si dimostra e si è già dimostrato, nella storia del nostro movimento socialdemocratico, troppo angusto: lo abbiamo chiarito più sopra con l’esempio dell’agitazione politica e del lavoro d’organizzazione. È dunque assolutamente necessario estendere innanzi tutto questo campo d’azione, creare un legame effettivo fra le città per un lavoro metodico comune, perché la frammentarietà comprime le capacità degli uomini, i quali, “chiusi nel loro buco” (come scrive l’autore di una lettera all’Iskra), ignorano ciò che avviene nel mondo, non sanno come istruirsi, come acquistare l’esperienza necessaria e come soddisfare il loro bisogno di una vasta attività. Per conto mio persisto nel sostenere che questo legame effettivo si può cominciare a crearlo solo per mezzo di un grande giornale comune, iniziativa unica e regolare per tutta la Russia, che farà il bilancio delle più diverse forme di attività ed inciterà quindi i militanti a procedere senza requie lungo tutte le molteplici strade, che conducono alla rivoluzione, come tutte le strade conducono a Roma. Se vogliamo una unificazione non soltanto a parole, bisogna che ogni circolo locale mobiliti immediatamente, mettiamo, un quarto delle sue forze per partecipare attivamente all’opera comune. Il nostro giornale gli dà [*6] immediatamente il piano generale, le dimensioni e il carattere di quest’opera, gli mostra le lacune che si fanno maggiormente sentire nella nostra azione su scala nazionale, le località dove manca l’agitazione e con le quali i collegamenti sono deboli, gli ingranaggi dell’immenso meccanismo che egli stesso potrebbe riparare e sostituire. Un circolo che non ha ancora lavorato, ma vuole lavorare, potrebbe mettersi all’opera non come un artigiano che, rinchiuso nella sua piccola bottega, non conosce né l’evoluzione anteriore dell’ “industria”, né la situazione generale dei mezzi di produzione, ma come un artefice di una grande impresa nella quale si rispecchia tutta la spinta rivoluzionaria contro l’autocrazia. E quanto più ogni ingranaggio sarà perfetto, quanto più numerosi saranno coloro che si occupano delle diverse parti dell’opera comune, tanto più fitta sarà la nostra rete e tanto meno nocive per le nostre file saranno le inevitabili retate.

Il lavoro di diffusione del giornale comincerebbe di per sé a creare un legame effettivo (ove il giornale sia degno di questo nome, cioè se si pubblicherà regolarmente, e non una volta al mese come le grandi riviste, ma, per esempio, quattro volte al mese). I rapporti fra città e città, necessari per l’opera rivoluzionaria, oggi assai rari ed in ogni caso del tutto eccezionali, diventerebbero allora la regola ed assicurerebbero non solo la diffusione del giornale, ma lo scambio (il che è molto più importante) delle esperienze, dei materiali, delle forze e delle risorse. Il lavoro organizzativo acquisterebbe un’ampiezza cento volte maggiore e i successi ottenuti in un luogo indurrebbero a perfezionare continuamente il lavoro, inciterebbero i militanti di altre zone del paese a giovarsi dell’esperienza. Il lavoro locale migliorerebbe infinitamente in ampiezza e in varietà: le denunce politiche ed economiche raccolte in tutta la Russia darebbero un nutrimento intellettuale agli operai di tutte le categorie, qualunque sia il loro grado di sviluppo, darebbero materia e spunto a conversazioni e a conferenze sui più diversi problemi, sollevati anche con allusioni dalla stampa legale, dai discorsi quotidiani, dai comunicati “pudibondi” del governo. Ogni esplosione, ogni manifestazione sarebbe esaminata e valutata da ogni punto di vista in tutti gli angoli della Russia, susciterebbe l’emulazione (noi socialisti non siamo affatto contro qualsiasi emulazione né contro qualsiasi “concorrenza”!), il desiderio di fare meglio degli altri, di preparare consapevolmente ciò che la prima volta si è prodotto spontaneamente, di approfittare delle condizioni favorevoli di tempo o di luogo per modificare il piano di attacco, ecc. Al tempo stesso, questa vivificazione del lavoro locale non porterebbe a quella tensione “mortale” e disperata di tutte le forze, a quella mobilitazione di tutti i nostri uomini, alla quale ci porta in genere ogni manifestazione od ogni numero di giornale locale. Da una parte, per la polizia sarebbe molto più difficile scoprire le “radici” perché non saprebbe dove cercarle. D’altra parte, un regolare lavoro comune consentirebbe di adeguare l’intensità di un determinato attacco alla forza di questo o quel reparto del nostro esercito (al che oggi non si pensa quasi mai, perché gli attacchi nove volte su dieci si producono spontaneamente) e faciliterebbe il “trasporto” non solo delle pubblicazioni, ma anche delle forze rivoluzionarie da un luogo all’altro.

Oggi, nella maggior parte dei casi, queste forze si fanno sterminare su un ristretto campo di operazioni, cioè nel lavoro locale, mentre allora si avrebbe costantemente la possibilità e l’occasione di spostare da un capo all’altro del paese ogni agitatore od ogni organizzatore di qualche capacità. Cominciando con piccoli viaggi per questioni di partito e a spese del partito, i militanti si abituerebbero a poco a poco a passare interamente alla sua dipendenza, diventerebbero dei rivoluzionari di professione, si preparerebbero alla funzione di veri capi politici.

E se noi riuscissimo ad ottenere che tutti o la maggior parte dei comitati, gruppi e circoli locali si unissero attivamente nell’opera comune, potremmo in breve tempo organizzare un settimanale regolare, diffuso a decine di migliaia di copie in tutta la Russia. Un giornale simile sarebbe una piccola parte di un gigantesco mantice, capace di attizzare ogni scintilla della lotta di classe e dell’indignazione popolare per farne divampare un immenso incendio. Intorno a quest’opera ancora semplice e minuta, ma regolare e veramente collettiva, si recluterebbe sistematicamente e addestrerebbe un esercito permanente di combattenti provati. Sulle impalcature o sui cavalletti di questo cantiere organizzativo comune vedremmo sorgere dalle file dei nostri rivoluzionari dei Geliabov socialdemocratici, dalle file dei nostri operai dei Bebel russi che, alla testa di quell’esercito mobilitato, solleverebbero tutto il popolo contro la vergogna e la maledizione della Russia.

Ecco che cosa bisogna sognare!

“Bisogna sognare!”. Scrivendo queste parole sono stato preso dalla paura. Mi è sembrato di trovarmi al Congresso di unificazione e di avere in faccia a me i redattori ed i collaboratori del Raboceie Dielo. Ed ecco il compagno Martynov alzarsi ed esclamare minacciosamente: “Scusate! Una redazione autonoma ha il diritto di ‘sognare’ senza l’autorizzazione preventiva dei comitati del partito?”. Poi si alza il compagno Kricevski, il quale (approfondendo filosoficamente il compagno Martynov che ha da molto tempo approfondito il compagno Plekhanov) continua ancora più minaccioso: “Dirò di più. Vi domando: ha un marxista il diritto di sognare se non ha dimenticato che, secondo Marx, l’umanità si pone sempre degli obiettivi realizzabili e che la tattica è il processo di sviluppo degli obiettivi che si sviluppano insieme con il partito stesso?”.

La sola idea di queste domande minacciose mi fa venire la pelle d’oca, e non penso che a trovare un nascondiglio. Cerchiamo di nasconderci dietro Pisariev. “C’è contrasto e contrasto – scriveva Pisariev a proposito del contrasto fra il sogno e la realtà. – Il mio sogno può precorrere il corso naturale degli avvenimenti, ma anche deviare in una direzione verso la quale il corso naturale degli avvenimenti non può mai condurre. Nella prima ipotesi, non reca alcun danno; anzi, può incoraggiare e rafforzare l’energia del lavoratore… In quei sogni non c’è nulla che possa pervertire o paralizzare la forza operaia; tutt’al contrario. Se l’uomo fosse completamente sprovvisto della facoltà di sognare in tal maniera, se non sapesse ogni tanto andare oltre il presente e contemplare con l’immaginazione il quadro compiuto dell’opera che è abbozzata dalle sue mani, quale impulso, mi domando, l’indurrebbe a cominciare e a condurre a termine grandi e faticosi lavori nell’arte, nella scienza e nella vita pratica?… Il contrasto tra il sogno e la realtà non è affatto dannoso se chi sogna crede sul serio al suo sogno, se osserva attentamente la realtà, se confronta le sue osservazioni con le sue fantasticherie, se, in una parola, lavora coscienziosamente per attuare il suo sogno. Quando vi è un contatto tra il sogno e la vita, tutto va per il meglio” [5]

Di sogni di questo genere ve ne sono disgraziatamente troppo pochi nel nostro movimento. E ne hanno colpa soprattutto i rappresentanti della critica legale e del “codismo” illegale, che fanno pompa della loro ponderatezza, del loro “senso del concreto”.

 

Nikolaj Lenin

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).