Il progetto Potere al Popolo a sinistra segna un punto di non ritorno – almeno da qui ai prossimi anni – e non tanto per le potenzialità che potrà esprimere (potrebbero prendere dal 1.3% al 1.7%, perché i voti di sinistra quelli sono, sono smistati quasi ai limiti della matematica, seppur la politica non sia tale).

Il punto su cui non si torna più indietro è il passaggio all’assunzione del programma riformista. Per tantissimi anni, ma pure oggi, molti compagni – spesso anche con alcuni elementi di verità – delle più svariate aree politiche, hanno affermato che il programma non è importante, che sono importanti i fatti. Senza dubbio il programma da solo è un contenitore vuoto (questo il motivo per cui non siamo entrati, ad esempio, in Sinistra Rivoluzionaria, pur avendo un programma formalmente corretto in larga parte) e non basta a costruire un progetto di alternativa (servono proposte, intervento nelle lotte, metodo, prassi e teoria internazionalista, etc.), ma i “fatti” senza programma producono azioni routinarie senza progettualità.

Ciò che è interessante, però, analizzare e porre come elemento di discussione a sinistra, soprattutto tra chi sosterrà PaP, è che nonostante persino Viola – nominata portavoce nazionale del progetto – dal palco del Teatro Italia a Roma avesse affermato che fosse “inutile scrivere programmi che nessuno legge, facciamo una cosa di poche pagine, leggibile, sono i fatti importanti le reti di mutualità”, alla fine il programma è uscito. Non solo è lunghissimo e molto articolato, ma è un copia incolla di quello di Tsipras (a partire dalla rimodulazione del debito pubblico e non dal suo non pagamento). “I fatti senza programma” si sono rivelati fatti a sostegno di un programma neoriformista.

In sé è una maturazione del profilo politico del ex Opg, passato da uno sterile profilo ultrasinistro a una politica di battaglia egemonica, ma oltre a farlo su un piano interclassista scivolando sul terreno della borghesia, lo fa su un asse pericoloso per sé stesso, per la sua sopravvivenza (o forse era l’unica cosa che poteva garantirgli una continuità progettuale).

Marco Damilano, giornalista de l’Espresso – probabilmente uno dei più importanti analisti politici che vi sono oggi in Italia (ci risparmiassero i commentatori del web la pantomima su De Benedetti, i nemici si ascoltano con attenzione e pure con rispetto se sono persone preparate) – poco fa a La7 durante la sua analisi sugli schieramenti politici ha affermato che Potere al Popolo ha sostanzialmente occupato lo spazio di Rifondazione Comunista.

Dice una cosa che va analizzata attentamente. Non dice una stupidaggine. Dice una cosa terribilmente vera. Perché vera terribilmente? Prima di tutto perché se PaP dovesse andare in porto, come sta già succedendo, fagocita l’intera sinistra di lotta e centrista (nel gergo marxista centrista s’intende un gruppo che passa continuamente da posizioni rivoluzionarie a posizioni riformiste e viceversa) al suo interno. Rafforza quindi il riformismo occupando un campo, un terreno di scontro che è quello su cui si costruiscono i rivoluzionari (la battaglia contro le prospettive del percorso PaP si sostanziano su questo elemento, altrimenti che senso avrebbe opporsi per partito preso?!), chiudendo spazi e rimandando ulteriormente la possibilità di costruire una polarizzazione rivoluzionaria di avanguardie del movimento operaio e dei lavoratori (col fine di costruire un partito quadri rivoluzionario con proiezione di massa e non la sua caricatura).

Damilano, inoltre, non dice una cazzata perché se è vero che PaP prende lo spazio del PRC, ne assume anche i connotati programmatici (il programma di PaP è praticamente quello della maggioranza del gruppo dirigente di Ferrero uscito vittorioso dall’ultimo congresso del PRC).

I gruppi politici che se ne assumeranno la costruzione, come stanno facendo i compagni del Ex Opg, non tornerà più indietro. Il loro asse politico si sposterà definitivamente sul riformismo (passando dal movimentismo, come magistralmente spiegò Lenin 100 anni fa in una battaglia esattamente contro queste concezioni, nel Che fare) e non potranno più ripresentarsi con un profilo politico differente. È la stessa dinamica che hanno attraversato altri gruppi, come, ad esempio, quelli che facevano riferimento a Casarini, Caruso, dell’area del postmodernismo e della disobbedienza civile, in riferimento al professore Toni Negri, che si sono compromessi mani e piedi ovunque con la sinistra borghese e che per questo hanno perso credibilità finanche tra gli stessi movimenti giovanili in cui sono radicati.

Chi magari vi aderisce stando con un piede dentro e uno fuori potrà pure riuscire a sganciarsi al momento giusto, ma chi andrà a dileguare il proprio profilo in PaP ne uscirà con le ossa spezzate sul piano della credibilità a sinistra. Per questo è un punto di non ritorno per chi costruisce questo progetto, che non è una semplice lista elettorale. Il 4 Marzo sarà una data di svolta politica per buona parte della sinistra, che da “nessun programma, solo fatti” passerà a quello del riformismo e prenderà, come dice Damilano, il posto di Rifondazione (assieme a Rifondazione).

 

Douglas Mortimer

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).