Nelle periodiche tornate elettorali il Capitale riafferma la sua egemonia ed il suo comando all’interno della Repubblica parlamentare borghese ed in tutte le istituzioni dello Stato.

In questi frangenti la Borghesia concede ai proletari il cosiddetto diritto/dovere di voto, dandogli l’illusione di poter cambiare la sua condizione di schiavo salariato e la sua miserabile esistenza di sfruttato partecipando alla scelta di questo o quel citoyen del popolo che si presenterà, nell’ambito delle regole borghesi, davanti agli elettori pronto a svolgere la volontà popolare.

Le leggi, le regole e le istituzioni borghesi, realizzate e costruite in conformità agli interessi della classe dominante, impediscono sostanzialmente alla classe degli oppressi di potersi emancipare utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla borghesia, impediscono quel reale cambiamento capace di cancellare la schiavitù del lavoro salariato e l’oppressione ed il dominio a cui la classe dei proletari è costretta. Le regole date non permettono nella realtà un cambiamento sostanziale, di conseguenza ogni modifica del quadro elettorale non potrà mai cancellare la condizione di servitù in cui è costretto il proletariato. L’emancipazione della classe degli oppressi non passerà mai per il cambiamento di questo o quel parlamento borghese.

La partecipazione del popolo alle elezioni serve sostanziale a giustificare agli occhi delle masse il dominio politico della borghesia, per legittimare che il suo dominio si realizza in virtù di una libera scelta dei cittadini, per affermare che il suo potere gli viene direttamente dal popolo. Se attraverso le elezioni fosse possibile cancellare il dominio del Capitale la borghesia sopprimerebbe tranquillamente le consultazioni politiche.

Nelle varie tornate elettorali ritroviamo quasi sempre, a fianco dei partiti che rappresentano gli interessi della borghesia e delle sue fazioni in lotta per affermare il proprio dominio nelle istituzioni, anche una miriade di piccoli partiti e liste civiche che hanno, a loro dire, l’obiettivo di rappresentare gli interessi dei cittadini e degli “uomini liberi” oppressi dai poteri forti.

La crisi della sinistra in Italia e la sua scomposizione ha visto formarsi in questi ultimi mesi due nuovi gruppi politici, che si presentano entrambi ai cittadini con l’obiettivo di dare voce agli ultimi, ai dannati, agli emarginati e per attuare i principi di libertà ed emancipazione previsti dalla Carta Costituzionale.

Queste due nuove realtà sono “Liberi e Uguali” di Pietro Grasso e “Potere al Popolo” il cui portavoce nazionale è Viola Carofalo.

Questi due nuovi partiti pur provenendo da realtà politiche differenti hanno una somiglianza e, quasi una sovrapposizione di programmi e di obiettivi, che lascia sbalorditi.

Rileggendo il programma della lista Potere al Popolo ritroviamo al primo punto la difesa ed il rilancio della Costituzione dove è riproposto pari pari e quasi ritrascritto il testo dell’art. 3 della Carta Costituzionale che presuppone una società divisa in razze (“per questo lottiamo per: …… far si che ogni discriminazione di sesso di razza, lingua, religione, orientamento sessuale venga superata, rimuovere ogni ostacolo di carattere economico e sociale che limitano l’uguaglianza). Un presupposto che oltre ad essere antiscientifico, in quanto lo studio del genere umano ha da tempo dimostrato che le razze non esistono, è oltremodo un principio reazionario e poco si addice ad una organizzazione che si richiama ai valori della sinistra. Un errore dovuto probabilmente ad una superficiale e frettolosa lettura della Costituzione borghese.

Sulla stessa linea politica ritroviamo il tracciato programmatico di Liberi e Uguali che affermano che al centro del loro progetto c’è il dettato costituzionale come esplicitamente affermato all’Assemblea del 7 gennaio da Rossella Muroni nella relazione introduttiva.

Un altro dei temi comuni che ritroviamo nelle due formazioni politiche è quello della ridistribuzione della ricchezza, caratteristica che accomuna tutte le organizzazioni di stampo socialdemocratico che, all’abolizione della proprietà privata preferiscono una più equa distribuzione dei redditi da lavoro realizzata in particolare attraverso una “dura” lotta all’evasione fiscale.

Così pure i programmi sulla scuola sono “sovrapponibili” dove entrambi condividono il concetto che la formazione rappresenti un pilastro della democrazia e ripropongono i principi enunciati negli artt. 33 e 34 della Carta.

Identica nei programmi è la critica alla “Buona scuola” con l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, ma manca in entrambi una analisi di quella che rappresenta l’istituzione scuola nell’ambito capitalistico. Così pure ritroviamo una generica richiesta di un adeguamento salariale per il personale docente e non docente, finanziamenti per l’edilizia scolastica e maggiori sovvenzioni per la ricerca universitaria nel quadro di una scuola laica e gratuita per tutti, così come già previsto dalla Carta Costituzionale.

L’aspetto ambientale e quello della salvaguardia dell’ecosistema trova come “soluzione” in entrambi i programmi quello della realizzazione di un piano energetico che investa nelle energie pulite e rinnovabili con l’abbandono progressivo delle fonti fossili e con il finanziamento di un piano di salvaguardia ambientale.

Lotte ecologiste portate avanti, già dagli anni 70, da partiti ambientalisti che non si ponevano il problema dell’uso capitalistico delle risorse ambientali. Questi gruppi che non ritenevano di dover affrontare né di voler discutere dei problemi inerenti al modo di produzione capitalistico, sono stati poi assorbiti in una dialettica tutta interna ai partiti borghesi. Un ecologismo compatibile con il sistema capitalistico non risolse a suo tempo e non risolve tuttora i problemi ambientali, proprio perché tende a rimuovere la causa principale della distruzione del pianeta e delle sue risorse che è il Capitalismo.

Anche nel metodo di scelta dei candidati ritroviamo delle similitudini. Entrambe le organizzazioni hanno dato molta importanza alle Assemblee territoriali, nelle quali sedute sono stati scelti i candidati per le elezioni politiche.

Le tematiche del lavoro, in particolare le richieste di cancellazione delle leggi di precarizzazione a partire dal Jobs Act, al Collegato lavoro, alla legge Biagi, ecc. sono uguali in entrambi i programmi e possiamo affermare anche condivisibili, ma diventano pure illusioni se non legate ad una prospettiva rivoluzionaria di cambiamento dell’attuale sistema di produzione basato sullo sfruttamento della classe operaia e sull’assoggettamento dei lavoratori al Capitale. Quel “diritto al lavoro” nell’attuale sistema di produzione è nient’altro che il diritto allo sfruttamento se non prevede anche l’abbattimento del sistema capitalistico basato sulla schiavitù salariale.

Le rivendicazioni di queste organizzazioni diventano pure chimere perché non pongono la contraddizione principale che è quella tra Capitale e Lavoro e non potrebbe essere diversamente laddove ci si pone nella logica democratica ed in quella del rispetto del dettato costituzionale.

Così pure la richiesta di un migliore welfare, di una migliore sanità, di più diritti, dell’uguaglianza di genere, dei diritti dei migranti, della lotta contro il razzismo che ritroviamo pari pari sia nel programma di Liberi e Uguali che in quello di Potere al Popolo diventano soltanto dei compassionevoli desideri proprio perché slegati da una prospettiva di abbattimento dell’attuale sistema sociale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Inoltre il capitolo delle rivendicazioni sulla Giustizia che conclude il programma di Potere al Popolo prevede, sulla stessa falsa riga di quello di Liberi e Uguali, l’educazione all’antimafia ed il “contrasto dei fenomeni corruttivi diffusi e della reimmissione di capitali di provenienza mafiosa” come se si potesse configurare una distinzione netta tra capitali “illeciti” e quelli “leciti”, come se i capitali di provenienza “legale” producessero meno danni o fossero meno banditeschi di quelli di provenienza illegale.

La legalità borghese, intesa qui come “giustizia” cioè quello che è ritenuto giusto dalle vigenti leggi del Capitale, diventa uno dei temi su cui svolgere il proprio impegno politico.

Gli enunciati e le richieste generiche di una società alternativa al capitalismo poste nel programma di Potere al Popolo e che distingue in sostanza le due realtà politiche, svaniscono quando vengono enunciati ed illustrati i punti programmatici.

Certo e questo va detto, la storia politica di Liberi e Uguali non è assimilabile, nè tantomeno paragonabile a quella dei centri sociali e di altri gruppi politici, in particolare di Rifondazione Comunista che hanno dato vita a Potere al Popolo, ma se i primi sono stati per molti anni in un partito che ha votato le peggiori leggi contro i proletari al fianco di industriali e padroni, il gruppo di attivisti più numeroso di Potere al Popolo cioè quello di Rifondazione Comunista ha collaborato per anni con i governi di centrosinistra votando il Pacchetto Treu, una delle prime leggi di precarizzazione della forza lavoro, leggi di liberalizzazione,leggi di finanziamento alle guerre imperialiste.

Diventa facile ora ritrovare una nuova verginità in questo nuovo contenitore politico e dirsi pronti a dare l’assalto al Parlamento in nome della lotta al neoliberismo ed alla “gabbia” dei trattati europei frutto di un sovranismo piccolo borghese.

Possiamo inoltre ricordare che esistono svariati Partiti e gruppi politici che nei loro programmi affermano di voler consegnare o di dare il “potere al popolo” e tra questi soggetti non è difficile trovare anche gruppi della destra che nei loro scritti parlano apertamente di rivoluzione di popolo.

Il termine “popolo” non identificando una classe sociale particolare, ma il complesso degli individui a cui sono attribuiti i diritti di cittadinanza nello Stato, rende il termine potere al popolo un concetto interclassista.

In sostanza con il termine “potere al popolo”, così come afferma l’art. 1 della Costituzione quando testualmente enuncia che “la sovranità appartiene al Popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”si identifica il potere di quella classe che nella società domina sia economicamente che politicamente e di conseguenza il potere della Borghesia.

Un movimento “rivoluzionario” di popolo può benissimo essere guardato con una certa simpatia da una parte della borghesia intellettuale di “sinistra” ed eventualmente da questa guidato. Tutto sommato è un movimento che nel suo programma non ha dichiarato di voler sopprimere la proprietà privata e quindi può essere recuperato ad una normale dialettica tra forze politiche cosiddette democratiche. Un “film” tutto sommato già visto.

E’ la storia di un tradimento fatto di personaggi politici come Garavini, Bertinotti, Cossutta, Ferrero, ecc. quelli che qualcuno chiamava affettuosamente “rafanielli” ed ora con gli eredi di questi intende dare l’assalto al cielo.

Di Salvatore Cappuccio