Nel sesto capitolo affrontiamo un passaggio forse anche più cruciale della storia greca: la storia romana. Nella società romana infatti la forma statale si è costituita in un processo piuttosto e lungo e graduale, passando inizialmente per la forma monarchica e coinvolgendo ancora per lungo tempo le istituzioni gentilizie. Solo nel periodo repubblicano queste verranno spodestate sempre a causa del conflitto tra nobili e liberi cittadini. 

Gens e Stato a Roma

All’epoca della fondazione di Roma, secondo la leggenda troviamo in quel territorio circa cento gentes latine riunite in un’unica tribù. A quella tribù si sarebbero poi unite altre tre tribù (populus romanus) composte anch’esse ognuna da cento gentes. Queste tribù a loro volta erano divise in curie (fratrie), ognuna composta da dieci gentes. Dieci curie formavano una tribù. La gens romana, al pari di quella greca che talvolta si è supposta essere alla sua origine, devia in alcuni elementi dalla forma originaria che troviamo nei pellirossa americani.  Individuiamo in essa alcuni tratti fondamentali:

•Reciproco diritto d’eredità da parte dei membri della stessa gens secondo diritto patriarcale;

•Possesso di un luogo di sepoltura comune;

•Comuni solennità religiose;

•Obbligo di non sposarsi all’interno della gens (e presso i romani pare che questa regola fosse rispettata);

•Possesso fondiario comune;

•Dovere reciproco dei membri della gens di difendersi e soccorrersi (anche se in realtà questa regola venne poi sempre decisa dall’autorità statale);

•Diritto di portare il nome gentilizio;

•Diritto di adottare stranieri nella gens;

•Il diritto di eleggere e deporre il proprio capo.

A parte il diritto patriarcale è evidente però che, almeno nel periodo della Roma monarchica, la gens romana mantenne quasi intatti molti aspetti della gens irochese.

Secondo lo storico tedesco Mommsen, tuttavia all’origine le donne romane appartenenti ad una gens avrebbero potuto sposarsi solo all’interno della loro gens e quindi inizialmente all’interno di questa sarebbe regnata l’endogamia. Lo storico tedesco si basava su un passo assai controverso di Livio (libro XXXIX, cap. 19) secondo il quale il senato, nell’anno 568 dalla fondazione di Roma, stabilì che “uti Feceniae Hispalae datio deminutio, gentis enuptio, tutoris optio item esset quasi ei vir testamento dedisset; utique ei ingenuo nubere liceret, neu quid ei qui eam duxisset, ob id fraudi ignominiaeve esset”. Ciò voleva dire che la donna poteva avere il diritto di disporre del suo patrimonio, di intaccarlo, di sposarsi al di fuori della gens, di scegliersi un tutore, proprio come se il marito le avesse lasciato questo diritto per testamento; essa poteva sposare un uomo libero e, per colui che l’avesse presa in moglie, il matrimonio non sarebbe stato considerato né un’azione riprovevole né un’infamia. Tuttavia la supposizione di Mommsen, sostenuta tra l’altro da una citazione controversa, non sta in piedi in quanto, se la donna avesse potuto sposarsi all’esterno della gens, rimarrebbe da chiedersi: “ma all’esterno di quale gens?”. Se è vero che esisteva l’endogamia, cosa da provare, all’interno della gens la donna sarebbe dovuta rimanervi anche dopo le nozze. Inoltre se è vero che la donna si doveva sposare all’interno della sua gens, anche l’uomo per non rimanere senza moglie sarebbe stato costretto a sposarsi all’interno della sua gens e di conseguenza come avrebbe potuto trasmettere alla sua donna un diritto di cui non avrebbe disposto? La contraddizione oltre che storica è anche giuridica. Questo diritto, stando fedeli al passo, glielo darebbe in realtà il senato in modo che se la donna ne avesse fatto uso nemmeno il suo nuovo marito ne avrebbe subito danno.

L’unica ipotesi valida e sostenibile è dunque che la gens romana fosse esogama e che la donna, ogni volta che contraeva nuove nozze, potesse entrare, secondo quanto dice il passo, nella nuova gens del marito e ne diventasse membro nonostante non avesse una relazione consanguinea con gli altri membri di essa. Alla morte del marito la vedova ereditava anche parte della sua eredità. Il passo di Livio inoltre fu ragione di ulteriori perplessità e dibattiti, in particolare tra Morgan (1) e Mommsen, sul fatto che non tutte le donne potevano godere o meno di tale diritto. Quella romana e quella greca sono ad ogni modo due civiltà assai lontane e in continuo e radicale mutamento e le fonti storiografiche, specie quelle a disposizione all’epoca di Engels, non sempre permettono di fare affermazioni nette su un determinato fenomeno. Sicuramente nella società romana i vincoli gentilizi erano molto forti e in alcuni casi le gentes più potenti, come quella dei Fabi, su consenso del senato potevano anche intraprendere spedizioni militari.

Presso i Romani, sempre a differenza dei Greci, anche le fratrie (curie) detenevano un rilevante potere pubblico. Esse eleggevano un capo politico, militare e religioso con dei propri collegi sacerdotali. Chi non faceva parte della gens ovviamente non faceva parte nemmeno della curia e di conseguenza non apparteneva a quello che si definì come il popolo romano. Altro aspetto che ci fa ben notare come, nella Roma monarchica, gli organismi dell’antica società gentilizia avessero ancora un ruolo rilevante assieme agli organi dello Stato. Il Senato stesso si componeva dei capi delle 300 gentes, chiamati padri membri più anziani (senato = consiglio degli anziani, da senex = vecchio). Ma ben presto, anche qui, l’abitudine di eleggere sempre dalla stessa famiglia di ogni gens portò al formarsi di una nobiltà ereditiera, cioè i patrizi, che pretese il diritto di entrare nel senato e di occupare tutti gli uffici pubblici. 

Il senato dava il voto decisivo su molte questioni e preparava la deliberazione soprattutto nella proposta di nuove leggi. A sua volta queste venivano decise dall’assemblea popolare, i cosiddetti comitia curiata (assemblea delle curie), composti dalle gentes. L’assemblea delle curie inoltre poteva eleggere gli alti funzionari tra cui il rex (re-capo militare e sommo sacerdote), poteva dichiarare la guerra, e trattava casi giudiziari che potevano  prevedere una condanna a morte.

Successivamente però, con la nuova costituzione di Servio Tullio, all’assemblea popolare si poté partecipare a seconda del servizio militare che si aveva prestato o meno. La popolazione venne così divisa per censo e per prestazione del servizio militare in sei classi di cui la sesta, quella meno abbiente, era esente dal servizio militare e dalle imposte. Nacque così la nuova assemblea popolare delle centurie (comitia centuriata): i cittadini si presentavano per centurie e ogni centuria aveva un voto. La prima classe dava 80 centurie, la seconda 22, la terza 20, la quarta 22, la quinta 30 e per decoro anche la sesta ne dava una. Anche a Roma l’antica costituzione gentilizia era ormai soppressa.

Il declino della gens fu sostenuto anche dall’aumentare dei traffici commerciali e da nuove conquiste territoriali, che portarono all’aumento demografico al di fuori delle gentes. Si decise così che gli immigrati sarebbero divenuti liberi cittadini (potevano possedere proprietà fondiaria, pagare le imposte, prestare servizio militare…) ma, almeno in un primo momento e prima delle riforme di Servio Tullio, non potevano ricoprire cariche pubbliche o prendere parte all’assemblea delle curie. Essi formavano la cosiddetta plebe, mentre coloro che appartenevano alle gentes formavano ormai il cosiddetto patriziato, la nobiltà. Ciò non toglie che anche Roma ebbe i suoi schiavi. Date ovviamente le poche fonti disponibili è sempre difficile dire con precisione quando avvenne la fine della costituzione gentilizia tra i Romani, ma sicuramente essa vide come protagonista il conflitto tra plebei e patrizi. Un conflitto che si ripresenterà più volte nella storia e che porterà, in tempi più recenti, all’abbattimento dell’Ancien Regime, della società feudale e dell’assolutismo monarchico, sostituiti dal dominio della borghesia e del sistema capitalistico.

La fine dell’antica società gentilizia ha quindi avuto inizio ancor prima dell’abbattimento della monarchia e avrà seguito anche nel periodo repubblicano, che sarà dominato dal conflitto tra peblei e patrizi. Questo conflitto porterà a un pur  limitato riassetto dei poteri, alla costituzione di un organo di rappresentanza esclusivo dei  plebei e all’allargamento del patriziato. Fu in epoca  imperiale che quest’ultimo perse la sua connotazione giuridica e si ridusse ad un titolo di prestigio.

Ancora una volta lo studio delle società antiche ci mostra come la storia sia attraversata da dinamiche e tensioni che ricorrono ciclicamente. Sebbene la risposta a queste tensioni possa essere diversa a seconda del contesto in cui si palesano, la loro comprensione è fondamentale per sviluppare una visione dialettica della storia, anche di quella più recente.

 

Azimuth


Note del redattore

(1) Lewis Henry Morgan, riconosciuto come uno dei padri dell’antropologia culturale, è forse lo studioso su cui Engels si basa maggiormente in questo suo scritto.

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