Mercoledì scorso in Slovenia è stato indetto uno sciopero del pubblico impiego per tutta la giornata. A parteciparvi sono state 16 sigle sindacali e più di 30 mila lavoratori (in un paese di soli due milioni di abitanti). Migliaia di dipendenti della PA, della sanità, della cultura e dell’istruzione hanno marciato di fronte ai palazzi del potere, rivendicando la fine delle finte misure di austerità e aumenti sullo stipendio dal 16 al 20%.

Il piccolo Stato (di cui in Italia si parla poco ma che è direttamente confinante col Friuli) nel 2012, in un momento di grave crisi finanziaria che nel 2013 ha portato la Slovenia sulla soglia della bancarotta, ha imposto un fermo sulla crescita degli stipendi. L’economia ha ripreso a crescere l’anno seguente, ma le norme di “risparmio” non sono state ritirate.

Il ragionamento è chiaro: il 2017 si è concluso con una crescita del 4,4% e per il 2018 se ne prospetta una del 3,8%. I dipendenti pubblici hanno deciso di non sopportare più una crescita economica che premia i pochi, come manager della PA e dirigenti scolastici i cui stipendi sono stati aumentati l’anno scorso. Insegnanti, poliziotti e infermieri hanno dichiarato di essere pronti a proclamare scioperi anche a febbraio nel caso il Governo non accetti gli aumenti.

La lotta è stata avviata in prossimità delle elezioni parlamentari, con l’obiettivo di mettere sotto pressione il governo di Miro Cerar e ottenere quanto rivendicato.

I lavoratori del pubblico impiego in Italia hanno visto un blocco contrattuale durato quasi dieci anni, terminato con un aumento misero che a fatica copre l’inflazione, in primis a causa di burocrazie sindacali complici di processi che tendono alla privatizzazione a tutto vantaggio dei padroni. La lotta dei lavoratori sloveni deve servire da esempio per il superamento dell’atteggiamento ultra-passivo e concertativo diffuso in primis tra i dipendenti statali e sfruttato dalle burocrazie sindacali concertative: come per lo sciopero sloveno, un ampio fronte unico intersindacale basato sulla lotta e con rivendicazioni chiare e unificanti è il metodo necessario per poter mettere in campo la forza dei lavoratori e non rassegnarsi a continue controriforme e peggioramenti delle nostre condizioni di vita.

Gabriele Bertoncelli

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.