“Chiamami col tuo nome” tratto dall’omonimo romanzo di Andrè Aciman, è il nuovo film del regista italiano Luca Guadagnino, iai cinema dallo scorso 25 gennaio, tassello finale della trilogia da lui chiamata “trilogia del desiderio”, composta da “Io sono l’amore” e “A bigger splash”.


Nord Italia, 1983: Elio è il figlio di una facoltosa famiglia di studiosi. Ha 17 anni e, come tutti gli adolescenti, si rifugia nei propri interessi: musica, corse in bicicletta e bagni in piscina. Nell’estate del 1983, in famiglia arriva Oliver: un giovane americano, dottorando in lettere classiche, ospite del padre del protagonista. Oliver ha il corpo di una statua greca, un viso talmente bello da sembrar dipinto. Ben presto, farà perdere la testa a tutte le ragazze della città e, come ben presto scopriamo, farà innamorare Elio.
A differenza della maggior parte delle pellicole definite LGBT, il film di Guadagnino fa sì che la passione si insinui nei protagonisti (e così nello spettatore) con lentezza, come un fuoco che inizia ad ardere lentamente. Elio, inizialmente, sembra non apprezzare la presenza di Oliver; lo trova brusco, maleducato, distaccato. In realtà quest’odio cela un’attrazione che prenderà vita dopo quasi un’ora di film.
Elio ha 17 anni, Oliver 24. Il soggetto da trattare è estremamente delicato, soprattutto a causa del pericolo censura che ancora opprime i cineasti del pianeta. Guadagnino imposta la narrazione dal punto di vista di Elio. Noi scopriamo il corpo di Oliver, le sue labbra, i suoi gesti e le sue carezze, tramite gli occhi di Elio. Oliver non verrà mai dipinto come il predatore pronto a sfruttare l’infatuazione di un adolescente, anzi! Oliver esiterà fino all’ultimo, cercherà costantemente di respingere Elio. Tuttavia la passione, ed in seguito l’amore, non può essere assopito, ha bisogno di esplodere presto o tardi.
L’importante, sembra dirci il film (tramite la voce del padre di Elio) è viverla sempre la passione e, soprattutto, è di vitale importanza saper cogliere l’attimo.
Il passare del tempo è il secondo protagonista della pellicola. Nonostante le afose giornate estive sembrino tutte uguali, appena Elio prende coscienza dei propri desideri, il tempo inizia a scorrere in maniera differente. La narrazione è più veloce, i respiri diventano importanti, tanto da dilatare il tempo diegetico. Ed eccolo lì: l’importanza dell’attimo. Non si tratta di un attimo alla Carpe Diem de “L’attimo fuggente”, l’attimo di Guadagnino è l’attimo dell’epifania, della rivelazione. Basta analizzare due scene di “Chiamami col tuo nome” che, di fatti, si sussegono: il tentativo di Elio di perdere la verginità con Marzia e l’approccio fisico con Oliver. Durante una colazione, Elio annuncia al padre di aver “quasi fatto sesso”, ma di non esserci riuscito, non avendo avuto il coraggio di infilare le mani nelle mutandine di lei. Elio ha perso l’attimo. Il giorno successivo Elio ed Oliver si baciano. Elio sembra volere di più quindi, per non ripetere lo stesso errore, tocca i genitali dell’americano. Cerca, in certo senso, di recuperare l’istante perso con Marzia. Oliver respinge Elio: non si può cogliere lo stesso attimo due volte.

La regia di Guadagnino è pregna dello stile di registi, suoi maestri, che lo hanno preceduto: l’estetica dell’erotismo e del sapere tipica di Bertolucci, le partite di tennis nel mezzo della natura italiana mostrate da De Sica ne “Il giardino dei Finzi-Contini” e l’indugiare su dettagli d’arredamento e dinamiche dell’alta “aristocrazia” (cioè della borghesia di oggi) tipico di Visconti. Il continuo esplorare i corpi dei protagonisti, facendo scivolare la macchina da presa su di loro, non fa altro che creare un’analogia tra questi corpi esteticamente desiderabili e la natura (ripresa con campi lunghi) primordiale intorno e dentro di loro. La passione, tuttavia, è destinata a finire, come l’estate deve cedere il passo all’inverno. In quell’estate, Elio ed Oliver riescono a cogliere l’attimo fino all’addio in stazione. Notevole è il discorso del papà di Elio, il quale non si rivelerà ostile verso l’esperienza omosessuale del figlio. Gli starà accanto, asciugando le sue lacrime e consolandolo con queste parole: “Stai male e ora vorresti non provare nulla, forse non hai mai voluto provare nulla, ma ciò che ora provi io lo invidio… Soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta, così tanto che a 30 anni siamo già prosciugati e ogni volta che ricominciamo una nuova storia con qualcuno diamo sempre di meno, ma renderti insensibile così da non provare nulla, è uno sbaglio…”.
Il cerchio si chiude, anche politicamente parlando. Il 1983 è l’anno dell’ascesa di Craxi, l’anno che chiude definitivamente il sipario sulla mancata rivoluzione del ’68 e sul decennio di lotte che la seguono, i cui figli sono i genitori di Elio che tentano di trasmettere alla prole un sapere non solo nozionistico, ma anche emotivo.

 

Sabrina Monno

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.