Tante sono state le speculazioni sul rapporto tra il dottor Jung e la sua paziente Sabina Spielrein dopo la riscoperta di alcuni scambi epistolari tra i due: “Prendimi l’anima”, di Roberto Faenza (2003), esplora questo “classico” della storia della psicanalisi.
Il film di Faenza è diviso in due piani narrativi: il presente, in cui una coppia di ricercatori accumulano informazioni a Mosca sulla vita della Spielrein, e il passato, in cui ci viene mostrata la vicenda tra Jung e Sabina.


Zurigo, 1904: i coniugi Spielrein, una facoltosa coppia di ebrei russi, decidono di internare la figlia Sabina presso la famosa clinica del dott. Bleuler, il Burgholzli. Subito Sabina viene affidata alle cure del giovane e fascinoso dottor Jung, pupillo di Freud. Jung decide, in un certo senso, di superare il maestro, applicando il metodo freudiano su una paziente (Sabina) affetta da psicosi (Freud aveva sperimentato il metodo solo su pazienti nevrotici). Con l’uso della parola, riemergeranno i fantasmi della giovane Sabina, il suo passato fatto di abusi ed incomprensioni. Essendo la psicoanalisi una tecnica ancora in fase sperimentale, Jung non calcola gli effetti del transfert e controtransfert, innamorandosi, così della propria paziente. L’amore è ovviamente ricambiato, dando vita ad una forte passione tra i due protagonisti.
Il film ha come unico punto di vista quello di Sabina, una donna che per troppo tempo è rimasta nel dimenticatoio negli studi di psicologia. Di fatti, dopo aver lasciato il Burgholzli, la Spielrein studia medicina specializzandosi in psichiatria. Lo stesso Freud si accorge del talento della ex psicotica, come si evince da varie lettere.

Tuttavia nel 1913 la relazione tra i Jung e Sabina finisce a causa di vari fattori: le continue pressioni di Emma (la moglie di Jung), la mancanza di etica del dottore che fungeva da senso di colpa e l’incontro di Sabina con un dottore svizzero che sposerà e da cui avrà una figlia.

 

Prima e dopo la rivoluzione

Sabina decide di rientrare in Russia ed aprire il suo personale ospedale, “L’asilo bianco”, in cui si prenderà cura di vari bambini (tra cui anche Jakov Stalin), dando un forte impatto sulla neuropsichiatria infantile. In piena Rivoluzione, l’asilo di Sabina è un grande faro di cultura ed ha con sè quell’aria da pioniere che tanto era ricercata all’inizio degli anni ’20 del ‘900. Nonostante la distanza, Jung e Sabina continuano a scriversi come “vecchi amici”, in lettere che raccolgono racconti dettagliati di rivoluzioni, scoperte scientifiche e anche di impulsi amorosi ancora presenti.
Sfortunatamente la Rivoluzione, per Sabina, finisce con la morte di Lenin. La Russia mostrata da Faenza non è più caratterizzata dalle pareti bianche e candinde dell’ospedale di Sabina, ma assume colori freddi, talmente freddi da oscurare anche il rosso del “comunismo” di Stalin. Ritenuti inadatti gli studi svolti nell’Asilo Bianco (in cui si esplora anche la sessualità infantile e l’impulso di morte) Sabina sarà costretta a strappare i propri trattati e a chiudere l’asilo.
Il film di Faenza si conclude con la morte della Spielrein, avvenuta nel 1942 durante il massacro compiuto dalle truppe naziste ai danni di rifiugiati politici ed ebrei.

In conclusione il film di Faenza vuole essere due cose: una storia d’amore ed una ricostruzione storica. Sabina, anche (se non soprattutto) nella sua versione psicotica, si rivela una donna molto cosciente e padrona della propria sessualità, con ideali molto forti, mentre Jung appare in tutta la sua umanità, del medico ne vediamo solo il camice. Tra i due personaggi, colui che deciderà di reindossare la maschera, non sarà Sabina, ma Carl Jung, il quale decide di sottrarsi al potere dell’Eros e dell’innamoramento per proseguire con la propria vita borghese. Purtroppo quando una passione viene interrotta così bruscamente è destinata a bruciare in eterno, come Faenza ci mostra lungo l’intera pellicola.
Nel 2010 David Cronenberg gira “A dangerous method” introducendo anche il personaggio di Freud come terzo protagonista della medesima vicenda e facendo diventare Jung voce narrante.
Il pregio del film di Faenza è quello di scavare all’interno della Storia stessa dal 1904 al 2003 dando visibilità ad una donna, una rivoluzionaria, rimasta troppo a lungo nascosto nell’ombra di due giganti quali Jung e Freud.

 

Sabrina Monno

 

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.