Ylva Johansson, ministro del Mercato del Lavoro del governo svedese a guida socialdemocratica, afferma senza mezzi termini che “la situazione nel Porto di Göteborg è un esempio di come il modello svedese non funziona come dovrebbe […] sono perciò pronta ad agire nella misura in cui la legislazione vigente me lo consentirà”. In altre parole, una restrizione del diritto di sciopero è necessaria per la risoluzione del conflitto (di classe) che si è manifestato nel Porto. (Fonte: https://www.svt.se/nyheter/lokalt/vast/s-minister-inskrankning-av-strejkratten-behovs-i-sverige-pa-grund-av-hamnkonflikten-i-goteborg).

La dichiarazione riceve le lodi del gruppo dei “Moderaterna”  (Moderati “di centro”) che chiedono però di accelerare i tempi e, possiamo inferire, l’approvazione più o meno entusiasta di gran parte dei Socialdemocratici svedesi così come del PES europeo (Party of European Socialists), notoriamente il principale mezzo dei capitalisti in Svezia, in Francia, in Germania e in Italia (sotto forma di PD).

La vicenda a cui il ministro fa riferimento è quella della lunga battaglia tra il sindacato dei lavoratori del porto (Hamnarsbetaförbundet) e l’azienda che gestisce i container. Le trattative si protraggono ormai da quasi un anno. In ballo ci sono le condizioni dei lavoratori e la richiesta, da parte del sindacato, di firmare un contratto collettivo. L’azienda rifiuta la proposta, lamentando il fatto che il sindacato avrebbe firmato un contratto collettivo già un anno fa. Nel frattempo i portuali si sono mobilitati negli scorsi mesi in diverse giornate di lotta che hanno bloccato le merci, provocando ingenti “danni economici” all’azienda. Media e benpensanti ovviamente fanno eco agli interessi dell’azienda criminalizzando i lavoratori per lo scandalo delle perdite economiche e il possibile impatto per l’economia cittadina e nazionale (il porto di Göteborg rappresenta infatti un nodo importante dell’economia svedese).

Erik Helgesson, membro del sindacato, denuncia come l’azienda stia utilizzando questa lotta per spingere il governo a prendere provvedimenti legislativi contro i lavoratori:  “L’industria reclama già da tempo questa legislazione, in cui è possibile che un datore di lavoro faccia riferimento al fatto che esiste già un contratto collettivo sul posto di lavoro. Il fine è ovviamente quello di ottenere un accordo più vantaggioso per l’azienda e una controparte sindacale piegata e “compassionevole” “, ha affermato Erik Helgeson, membro del consiglio di amministrazione Hamnarbetarförbundet.

Ammesso che ce ne fosse la necessità, una vicenda come questa dimostra ancora una volta come, persino in un Paese come la Svezia, gli spazi per il riformismo e per i compromessi tra interessi in verità inconciliabili, si sono ristretti fino ad esaurirsi.  In futuro, in questo senso, sarà sempre peggio. Ecco perché è necessaria una rottura, la fine di compromessi impossibili e un’alternativa radicale: è necessario organizzare in Italia, in Svezia, in Europa e nel mondo la fine del dominio capitalistico.

Corrispondente dalla Svezia, Matteo Iammarrone.

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.