La controversia sulla quale si è espressa la corte europea arriva dalla Spagna ed è nata in seguito al licenziamento di una lavoratrice in stato di gravidanza, nell’ambito di una procedura di riduzione del personale.

Nella causa intentata nel 2013 da Jessica Porras Guisado contro Bankia S.A., il tribunale europeo ha richiesto l’applicazione alla lettera della legge spagnola, nonostante i dubbi del giudice locale di secondo grado, giustificando il licenziamento per motivi tecnici economici o riguardanti l’organizzazione e la produzione dell’impresa.

Questo significa che, qualora l’azienda proceda a un licenziamento collettivo, nelle liste vi possono rientrare anche le gestanti. Nonostante il loro stato interessante, infatti, queste non hanno diritto a un trattamento privilegiato rispetto agli altri colleghi di lavoro.  Questa la decisione  presa  dalla Corte di Giustizia iberica, detta un principio perfettamente e potenzialmente applicabile anche in Italia nonostante la nostra legge vieti, anche in caso di procedura collettiva, il licenziamento della lavoratrice madre a meno che non chiuda l’intera azienda.

Questa sentenza va anche contro le stesse direttive dell’unione Europea che tutelano la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere ed in allattamento, per evitare rischi per il loro stato psico-fisico e, in primis, che possano scegliere l’aborto per mantenere il loro posto. Per prevenire questo rischio, sono previste pesanti sanzioni per tutti i provvedimenti che abbiano come presupposto lo stato personale della lavoratrice. Al contrario, osserva la Corte, la direttiva non vieta il licenziamento durante il periodo dall’inizio della gravidanza fino al termine del congedo di maternità, qualora l’atto sia fondato su motivi non connessi allo stato di gravidanza della lavoratrice. Nonostante dunque il divieto di licenziamento, alla cui violazione consegue la reintegra sul posto, secondo i giudici di Lussemburgo una legge nazionale che consente di licenziare la lavoratrice in stato di gravidanza nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo non è contraria al diritto comunitario.

Una sentenza questa degna del peggior Ponzio Pilato che  vede superate persino le dimissioni in bianco che ancora oggi moltissime donne sono costrette a firmare all’inizio di un rapporto di lavoro e si sposa perfettamente con l’introduzione in Italia del pareggio di bilancio in Costituzione, che introdurrà così ulteriori e maggiori tagli allo stato sociale, penalizzando in primis le donne.

Infatti in un paese come l’Italia – dove le donne vengono considerate ammortizzatore sociale in via d’estinzione; dove, se e quando hanno la fortuna di lavorare, lo fanno in condizioni di maggiore precarietà e ricattabilità, tra part-time obbligatori e dimissioni in bianco; dove il differenziale salariale raggiunge il 20%; dove attraverso il jobs act si continua impunemente a licenziare – non mancherà di certo chi strizzerà un occhio alla infame decisione della Corte europea e del tribunale spagnolo.

In questo contesto non stupisce che anche per le donne italiane la maternità rappresenti ancora un rischio concreto di fuoriuscita dal mercato del lavoro: secondo gli ultimi dati ISTAT IL 22,4% delle madri impiegate prima della gravidanza, intervistate dopo due anni avevano perso il lavoro. Un quadro questo decisamente impietoso della nostra situazione lavorativa.

Questi attacchi rispondono alla logica capitalistica e patriarcale di ricondurre le donne lavoratrici a strumento di sfruttamento e ricatto per aumentare i saggi di profitto.

 

Ylenia Gironella

Laureata in psicologia clinica e di comunità, con specializzazione nel metodo Montessori, educatrice, attivista di Non Una di Meno transterritoriale Marche. Vive a Recanati (MC).