La rivoluzione del linguaggio cinematografico nella Russia degli anni 20

Un tempo, Lenin ha caratterizzato il socialismo come “il potere dei soviet più elettrificazione”; tenendo conto dell’importanza che lui stesso e tutta la direzione sovietica hanno concesso a questo nuovo strumento di “parola” chiamato cinema. Egli avrebbe potuto aggiungerlo alla sua definizione di propaganda.

Quando Trotsky affronta il tema nel suo libro “la Rivoluzione tradita” del 1936, dichiara che Lenin ha evocato la necessità di raggiungere come punto di partenza minimo per lo sviluppo del paese “almeno il livello di elettrificazione capitalista”. Egli denuncia che anche in quegli anni, vicino alla Seconda Guerra Mondiale, l’URSS era ancora molto lontana da questo obiettivo.

Mentre l’altro componente della formula, i soviet, erano presi da una burocrazia che parlava di socialismo solo per mantenere i loro privilegi.

Il cinema, che essenzialmente è luce, luci ed ombre, ha bisogno di elettricità per funzionare. Se l’URSS degli anni 20 ha messo a disposizione le prime grandi società che si occupavano di modernizzazione, e anche se era ancora lontana dal raggiungere il livello di elettrificazione e di tecnica capitalista, paradossalmente, era grazie all’utilizzo di questo dispositivo elettrico e le sue innovazioni che gli permettevano di superare quelle dei suoi rivali.

Con molta libertà e una coraggiosa scommessa di risorse basata sulla nazionalizzazione dell’industria cinematografica e fotografica, il potere delle idee è sfuggito alla limitazione tecnica.

“La nuova tecnologia” in sviluppo, il “dispositivo cinematografico” che ha provocato un cambiamento culturale nel mondo intero, ha effettuato nel paese dei soviet la sua rivoluzione; la scoperta e l’invenzione dei principi fondamentali che i nuovi media richiedevano. L’irruzione del concetto di “montaggio” come meccanismo fondamentale di varie ricerche artistiche di cui oggi si raggiunge l’apice.

 

Frammenti di una sceneggiatura colossale

Nel 1920, una ventina di treni e battelli d’agitazione partivano periodicamente verso il vasto territorio russo in piena guerra civile. Le prime esperienze hanno avuto luogo nel 1918. Erano dotati di una sala di proiezione, un teatro, una biblioteca e di un equipaggio di artisti e propagandisti rivoluzionari.

Nella pianificazione generale lavoravano quelli che sarebbero stati i grandi nomi del cinema sovietico: Vertov, Tisse, Kulesov, Poudovkine, Ejzenstejn. Ma anche delle donne editrici, cameramen e cineasti eminenti ma meno conosciuti, come Esfir Schub, pioniere degli archivi cinematografici e Elizaveta Svilova, una delle migliori editricii dell’URSS. Il coordinatore generale dei compiti dell’agitazione era il leader bolscevico Anatoly Lunatcharski, che ha anche scritto sceneggiature dell’Agitprop.

Gli studi statistici attestano che sono state tenute quasi 3000 conferenze e riunioni, 5000 riunioni con organizzazioni operaie e il partito, e il censimento di 1962 sessioni di cinema con 2.216.000 spettatori. Tuttavia, l’attività massiccia organizzata e la propaganda cinematografica sono in contrasto con ciò che è successo qualche anno fa. Nel 1917, in Russia furono girati 400 film, ma l’anno della rivoluzione, i bolscevichi hanno piuttosto dovuto difendersi dal cinema.

A febbraio, con la caduta dello Zar, i produttori privati hanno concordato con il governo provvisorio di continuare a produrre dei film in favore della guerra. A titoli come “Per la patria e la guerra fino alla vittoria finale”, ne hanno aggiunti altri contro Lenin e il suo partito, per esempio “Il rivoluzionario”, in cui un nonno pare convincere suo nipote bolscevico a fare la guerra alla quale lui si oppone. Già da agosto circolava “Lenin e Co.”, un film anti-bolscevico, molto diffuso, cosicché i comitati di partito richiedevano ai Soviet di prendere delle misure urgenti “dal momento che indesiderati eccessi potrebbero essere prodotti da parte di lavoratori indignati”. Oppure “Lenin, la spia e le sue avventure”, contro il quale essi raggiungono una risoluzione del Soviet di Mosca, che ha permesso di fermare la sua diffusione a causa del suo carattere “diffamatorio”.

Ad Ottobre, tutta l’industria cinematografica si unisce alla reazione o fa parte dell’emigrazione anti-bolscevica. Nella loro fuga, hanno smantellato i centri di studio, e distrutto le basi produttive, mentre i produttori e operatori che sono rimasti nel paese, hanno reagito boicottando o speculando su materiale vergine. In questa situazione drammatica, una scena tragicomica mostra l’importanza  che i bolscevichi hanno dato al cinema. Come racconta Leyda, nel suo libro Kino, nel 1918, l’importante figura politica di Evgenij Alekseevič Preobraženskij presiedeva il Comitato cinematografico di Mosca (che fungeva da doppio potere prima del settore privato). Un importatore si è presentato e ha offerto i suoi servizi per viaggiare nel Stati Uniti e riportare materiali, Jacques Roberto Cibrario, un italiano lavorava per il noleggio e la vendita di film e forniture. La proposta ha incuriosito il comitato ed anche Preobraženskij .

Entusiasti, hanno redatto una lista comprendente 20 telecamere, 1500 proiettori scolastici, fotocopiatrici, titolatori, apparecchiature elettriche, milioni di metri di film negativi e positivi , tra gli altri. Per questi importanti acquisti, le autorità sovietiche hanno depositato 1 milione di dollari a New York. Il problema era che la canaglia di Cibrario ha comprato dei vecchi materiali e film scaduti a basso costo, poi ha preso il bottino ed è scappato. A Mosca non è arrivata nessuna spedizione e a causa dello scandalo, Preobraženskij ha dovuto lasciare il comitato. Ma la dimensione della scommessa era equivalente alla dimensione della truffa.

La storia racconta che passarono solo due anni tra la presa di potere e il 1919 quando Lenin ha firmato il decreto sull’esproprio dell’industria cinematografica e fotografica. Questa misura di nazionalizzazione, di requisizione e di controllo, ha permesso di eliminare tutti gli ostacoli del settore. Con ciò, i futuri cineasti sovietici che stavano eseguendo varie funzioni sul campo di battaglia, potevano finalmente avere l’industria nelle loro mani per  sviluppare come mai prima, un nuovo linguaggio di massa.

Nel mezzo di loro, due sono cresciuti al di sopra della loro generazione: Dziga Vertov nel documentario e Sergei Ejzenstejn nella narrativa.

 

E all’improvviso, la vita

Nella metà degli anni 30, perseguitato e censurato dallo stalinismo , il documentarista Dziga Vertov, scrisse ricrodando Majakovski (che si era suicidata qualche anno prima), “il problema è quello dell’unità di forma e di contenuto. Il problema è di astenersi dal disorientare lo spettatore offrendogli un trucco o una procedura che non è generata dal contenuto o richiesta dal bisogno”.

Nel 1944, nel suo diario, ha continuato a riaffermare i suoi principi: “Non c’è evoluzione senza violazione delle regole. Se lo dimentichiamo, ci ritroviamo in un vicolo cieco.”

Tuttavia, nel 1918, Vertov ha goduto della libertà creativa ed è entrato nel mondo del cinema come leader dell’informazione sulla guerra civile. Inizialmente con Kino-Nedelya (settimana del cinema) poi Kino-Pravda (formato cinematografico del quotidiano Pravda). Con diversi viaggi sul fronte, nel 1921, ha pubblicato la Storia della Guerra Civile. Guardare attraverso l’obiettivo una rivoluzione in tempo reale porta al risultato seguente: il campo visivo è la vita, il materiale di costruzione per l’assemblaggio è la vita, le decorazioni sono la vita,  gli artisti sono la vita”.

Con pochi mezzi a disposizione, il suo compito di raccogliere, selezionare e assemblare documenti di autori diversi e regioni diverse glifece riflettere sul modo di dare un senso ai documenti frammentati. Allora la vita è apparsa all’improvviso senza sceneggiatura. In questa pratica, ha lavorato con Elizaveta Svilova, una eccellente editrice e sua futura compagna. Con l’aggiunta di suo fratello, il cameramen Mikhail Kaufman, hanno fondato nel 1922 il “Consiglio dei Tre”, che sarà l’autore dei manifesti per la formazione del movimento “Cinema-occhio” (Kinoglaz in russo). Considerando le nuove tecnologie cinematografiche come un’estensione dei sensi umani limitati, essi dichiarano che “se noi non possiamo migliorare i nostri occhi, possiamo migliorare infinitamente la macchina da presa”. Vertov, spesso utilizza il termine “Cine-occhio” riferendosi alla macchina da presa, ritenendola molto più precisa e perfetta dell’occhio umano. I tre insieme, provano a costruire un laboratorio di creazione collettiva. Creare uno spazio per archiviare i file registrati dai KINOKI , operatori provenienti da tutte le parti del territorio, permetterebbe di inviare le loro registrazioni e gli editori potrebbero avere materiale per film diversi. In particolare i “Kinoki” sono un gruppo di operatori messi insieme dallo stesso Vertov, con il compito di riprendere da vicino nella loro quotidianità , la vita dei Soviet.

Di fronte ad una realtà che viene loro presentata più ricca di qualsiasi scenario di finzione prodotto da un regista, essi rigettano radicalmente la “cinematografia artistica” per donare al “montaggio” un valore diverso, essi lo ritengono come “l’organizzazione del mondo visibile”. Ma la complessità della “vita”, includeva anche i registi e l’artefatto che aumentava i loro sensi. Questo vortice rappresenta ciò che si avrà nel 1929 nell’icona del documentario “L’uomo alla macchina da presa”, che avrebbe potuto anche essere chiamato  “La donna del montaggio”, poiché l’edizione è stata realizzata da Svilova e costruisce un elemento fondamentale del film.

Attribuendo all’apparecchio cinematografico e al suo nuovo linguaggio un valore di distruzione della tradizione artistica, il film è diventato “un tentativo di presentare i fatti in un linguaggio al 100% cinematografico” rigettando totalmente “le procedure del teatro e della letteratura”. Il risultato è un vero e proprio documentario poetico, dove la realtà è la prima materia creativa per una costruzione in grado di espandere i sensi.

Nella teoria di Vertov, sistematicamente frammentate in un’esplosione di manifesti d’avanguardia , il problema “dell’unità della forma e del contenuto” sembra trascendere lo schermo. L’impulso contro il singolo produttore, derivato dalla proiezione della possibilità di moltiplicare, migliaia di registi interconnessi, in tutte le fasi della realizzazione, in Russia e in tutto il mondo.

Raggiungere un sistema in rete, che possa cambiare “stabilendo una relazione visiva tra tutti”. Da questo deriva il suo interesse per i progressi nella ricerca sulla radio trasmissione di immagini, la televisione.

“In un futuro prossimo, l’uomo potrà trasmettere simultaneamente in tutto il mondo attraverso la radio, i fatti visivi e sonori registrati da una “radio-camera”, dobbiamo prepararci a mettere queste invenzioni del mondo capitalista al servizio della loro stessa distruzione”.

Lontano dall’utopia, il passo in avanti del “Consiglio dei Tre” è stato di immaginare altre forme culturali possibili per la tecnologia  nascente del cinema e per l’idea della televisione. L’approccio era realista, dal momento che tutte le nuove tecnologie di comunicazione , come ad esempio Internet oggi, possono essere utilizzati in tanti modi diversi, determinati dalla società. E la società nella quale essi vivono non ha ancora risolto il dilemma: rivoluzione/contro-rivoluzione.

 

L’immagine esiste solo attraverso il montaggio

Nel suo testo “il senso del cinema” del 1942, Sergei Ejzenstejn ritorna sulla sua storia e riesce a tradurre la sua profonda concezione di “montaggio” come alla base del linguaggio delle immagini. Fin da molto giovane, le sue riflessioni si sono separate dal manifesto puro per tentare di creare un sistema di scrittura audiovisivo che avrà un impatto sul mondo intero, coscientemente o incoscientemente. Il suo lavoro cinematografico sarà nutrito da questa teoria, in particolare quella degli anni ’20, mentre quest’ultima subirà lo schiacciamento del “realismo socialista”.

Ejzenstejn cita qualche nota di Leonardo da Vinci per una rappresentazione pittorica del “diluvio”. Il testo completo è una descrizione viva, “audiovisiva”, di un’intera scena o descrive la pioggia impetuosa, le acque e le barche scosse, le reazioni umani, le montagne sullo sfondo, il vento, i lamenti e le impressioni di Leonardo stesso. In conclusione, non si tratta di un poema o di un trattato letterario, si tratta di una lunga descrizione, come il piano non realizzato di un dipinto, cioè di “un’immagine”.

Questa scoperta lo porta a rinforzare un’idea che è la sintesi delle sue elaborazioni precedenti. “Un’immagine” non può mai essere considerata nel suo significato letterario, come una “scena” o una fotografia. Un’immagine può esistere solo attraverso il montaggio, perché solo la frammentazione  di più piani visivi e sonori, e la sua deframmentazione in un film, crea la possibilità di trasmettere un’esperienza basata sulle emozioni, motore della scrittura audiovisiva.

Venti anni prima, nel 1923, il giovane Ejzenstejn, ha pubblicato sulla rivista KinoFot il testo “Il montaggio delle attrazioni” che, pur essendo presentato come un “manifesto Circondato dalla tempesta delle possibilità che offre il montaggio, egli propone un uso aggressivo, al confine della causa e dell’effetto, dove il regista teatrale è al centro e dove provoca lo spettatore. Ma lo strumento teatrale non gli ha permesso la polivalenza necessaria per applicare le sue teorie, e migrerà definitivamente al cinema dopo aver realizzato “Lo Sciopero” dove il regista si pone al di là della questione tra film a soggetto e film senza soggetto creando un film in cui abbiamo delle forti scene di scontro; e la “Corazza Potemkin” nel 1925. Nei due film, egli costruisce dei contrasti, dei simboli e delle metafore visive che hanno un grande impatto. Ejzenstejn parla di “cine-pugno”, in contrasto con il “cine-occhio” di Vertov: “Non credo al cine-occhio, io credo al cine-pugno. Rompere la testa con il cine-pugno”. In particolare quando egli parla di cine-pugno riferendosi  al cinema, paragona quest’ultimo ad un aratro in grado di arare a fondo la mente degli spettatori e provocare una perdita di coscienza portandoli in una dimensione di “estasi”. Questo stabilisce le differenze con il documentario per mettere l’asse nella costruzione attraverso l’edizione, nel piano, nei punti di vista della telecamera e nello shock tra i piani. Il montaggio sarà una scrittura consapevole del regista immaginario, che costruisce un discorso e forma un significato.

Con la Corazzata Potemkin, acquista il riconoscimento internazionale. In particolare con la scena dei passi di Odissea che era allo stesso tempo il detonatore del film,il cui piano iniziale era in realtà una “serie” di film del 1905 richiesti dal governo.

Ejzenstejn incarna il regista dell’industria cinematografica a scopi rivoluzionari. Le possibilità di mettere “le masse” in scena, affidandosi a risorse industriali, gli consentiranno di essere il direttore di “Ottobre”, il film che è allo stesso tempo l’inizio della fine della libertà creativa, perché era stato costretto a tagliare i tre quarti d’ora del film in cui appariva Trotsky.

Pensando all’unione rivoluzionaria dell’arte e dell’industria, il suo lavoro è nutrito dagli ultimi progressi nel mondo sul linguaggio cinematografico. Nei suoi primi anni, egli scopre nel cinema americano di Griffith delle idee alle quali  egli donerà un’altra qualità, rigettando “l’espressionismo tedesco” come oscuro, deprimente e scettico. Nel 1929, è stato mandato ad esplorare le possibilità del cinema sonoro ed è stato assunto a Hollywood dove non riuscì a realizzare alcun film per aver rifiutato l’interferenza dei produttori. “Ejzenstejn, il messaggero dell’inferno a Hollywood”: è stato intitolato un pamphlet diretto contro di lui, definendolo un “cane rosso” e accusandolo di contaminare il cinema americano con la propaganda comunista.

Forse la sua evoluzione sulla teoria dello spettatore è uno dei più grandi esempi del suo genio. Nel Film: la sua forma, il suo significato, ripercorrerà i suoi passi per mostrare lo spettatore come un essere pienamente attivo, lontano da un “ricevitore” che può essere guidato emotivamente senza alcun ostacolo. Al contrario, lo spettatore era un personaggio emancipato e inafferrabile, che ha ricevuto l’immagine traducendola dalla sua esperienza personale e collettiva, motivo per cui il regista è sempre sull’orlo del fallimento. Se il regista ha un’immagine nella sua testa, come “il Diluvio” di Leonardo da Vinci, dovrebbe essere in grado di frammentarlo in diversi piani, poi incoraggiare lo spettatore a percorrere questo viaggio di rappresentazioni che, una volta completato, potrebbe avvicinarlo all’esperienza dell’autore.

Per lui, questo metodo è stato ispirato da Marx, dice citandolo: “ Non solo il risultato ma anche il metodo fa parte della verità. L’investigazione della verità deve essere vera di per sé; la vera investigazione è la verità spiegata in cui i membri dislocati si uniscono nel risultato.

per il teatro”, ha posato le basi per le sue successive preoccupazioni. Dopo aver partecipato alla Guerra Civile sui treni e sui battelli di agitazione, è diventato capo decoratore di Proletkult.

Nel manifesto, ha evocato la necessità “di orientare lo spettatore nella direzione desiderata (lo stato dello spirito)”, tanto che:  Lo strumento per raggiungere ciò, è dato da tutte le parti costituenti l’apparecchio teatrale, riportato, in tutta la sua varietà, ha una sola unità che legittima la sua presenza: la sua qualità di attrazione.

A proposito dell’attrazione , egli dice che:

“… ogni momento aggressivo dello spettacolo, tutti gli elementi che sottomettono lo spettatore ad un’azione sensoriale o psicologica, verificata sperimentalmente e calcolata matematicamente per ottenere dei disturbi emotivi dello spettatore, disturbi che, a loro volta, li portano, tutti insieme, alla conclusione ideologica finale.”

 

100 anni dopo..

Un secolo più tardi, è quasi impossibile capire cosa significasse partecipare alla scoperta e all’invenzione di un nuovo linguaggio. Sebbene l’esperienza di Internet sia una rivoluzione innegabile, è un nuovo dispositivo che modifica sostanzialmente le lingue preesistenti, mentre il cinema era una novità che doveva a sua volta crearne una, che prima non esisteva, in un dialogo con la letteratura, la musica o il teatro.

Questo retaggio di cineasti sovietici è strettamente legato alla possibilità che avevano di unire l’arte e l’industria partendo dall’esproprio e della nazionalizzazione del settore. Questo “programma” continua ad essere necessario nel 21esimo secolo se vogliamo affrontare seriamente il potere dell’industria culturale capitalista che standardizza e sovrascrive l’enorme diversità di linguaggi che l’immagine può esprimere.

 

Bibliografia

  • Kino. Historia del film ruso y soviético, Jay Leyda.
  • Memorias de un cineasta bolchevique, Dziga Vertov.
  • El sentido del cine y La forma del cine, Sergei Eisenstein.
  • El montaje cinematográfico, Vicente Sánchez-Biosca.
  • www.cinesovietico.com.

 

Violeta Bruck e Javier Gabino

Traduzione di Annalisa Esposito da Révolution Permanente.

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.