Con cinque voti contrari in tutto e qualche decina di astensioni, la sera del 27 marzo gli eletti del MoVimento 5 Stelle hanno approvato il nuovo statuto del gruppo parlamentare. Il nuovo testo, ma buona parte delle regole sono note da dicembre, prevede tutta una serie di nuovi poteri assegnati al Capo politico, Luigi Di Maio, a discapito dell’assemblea degli eletti.

Il più controverso e oggetto di malumori nella base grillina è il primo articolo, che sdogana il cambio di casacca, aprendo una porta a tutti quelli che “siano incensurati, non siano iscritti ad altro partito, non abbiano già svolto più di un mandato elettivo oltre quello in corso, ed abbiano accettato e sottoscritto il Codice etico”.

Ma non era proprio Di Maio ad appellarsi, in continuazione e fino a pochissimo tempo fa, contro questa piaga immonda?

A questo giro, il voltagabbana è proprio Luigi Di Maio. Non poteva però essere altrimenti in un parlamento senza una coalizione vincente. In questa situazione, la meccanica del Camera-mercato, ovvero il passaggio di deputati e senatori a gruppi parlamentari diversi da quelli di elezione, sarà fondamentale nel definire gli equilibri del futuro governo.

Così, anche gli eletti allontanati dal gruppo parlamentare perché potragonisti di scandali, potranno presto farvi ritorno, visto che entrambe le parti hanno dato disponibilità.

Se i cinque stelle potranno accogliere chi vorrà unirsi al loro gruppo, continueranno a essere severissimi con chi lo lascerà per espulsione, abbandono volontario o dimissioni determinate da dissenso politico, con una multa di 100 mila euro.

Nel M5S trionfa il senso pratico borghese. Anche se con una tinta di democrazia diretta (ogni giorno sempre meno credibile), il partito rimane un’azienda. Se abbandoni per dissenso politico vieni sanzionato con ben 100 mila euro, semplicemente per indennizzare il Movimento dei costi sostenuti per l’elezione. Il candidato è un investimento il cui valore viene quantificato in modo preciso, con una somma a sei cifre.

Con il nuovo regolamento, i capigruppo avranno carica limitata a 18 mesi (poi 12) e revocabile in qualsiasi momento, ma solo da Di Maio. A nomimare i capigruppo è sempre Di Maio, e all’assemblea resta la ratifica. Ciò è tanto più importante se si pensa che solo i capigruppo esprimono la linea politica, che viene decisa da loro e da Di Maio, più gli eventuali grillini membri di Governo. All’assemblea resta poca roba, quasi delle formalità.

Agli eletti grillini non rimangono che timidissime critiche, che non riescono a trovare il coraggio di denunciare l’affermarmazione del verticismo. Così Di Maio risponde dicendo che si sapeva già tutto e che i reclami andavano presentati prima dell’adozione di queste regole in documenti del MoVimento.

Più il MoVimento si avvicina alla prova del governo, più abbandona ogni lascito dei tempi in cui si presentava come “antisistema”. La gestione verticistica, l’accentrarsi del potere nelle mani del capo politico che agisce in sintonia con la Casaleggio Associati, fanno ben intuire come il prossimo governo, che con ogni probabilità sarà formato dal M5S e dal centrodestra, continuerà o forse accelererà la progressione autoritaria che abbiamo visto negli ultimi anni della precedente legislatura. La costruzione di un fronte anticapitalista è la nostra proposta politica per affrontare oggi il clima nazionalista e razzista alimentato dai partiti “di governo” e i progetti di egemonia democratico-riformista e nazionalista di sinistra di PaP.

Gabriele Bertoncelli

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.