Has the world had its fun?
Yeah they’ll make such a hassle
And they’ll build you a castle
Then destroy it when they’re done (…)
So fight on as you are
My American princess

(Sufjan Stevens – Tonya Harding)

 

La produzione cinematografica contemporanea ha mostrato, tante o forse troppe volte, la propria inclinazione dnel produrre film noti come biopic: cioè pellicole che portano sul grande schermo la vita di personaggi più o meno noti.
“I, Tonya” fa parte di questo categoria. Forse alla maggior parte degli italiani il nome di Tonya Harding non dirà molto; forse solo gli appassionati di pattinaggio sul ghiaccio sapranno la sua storia.
Tonya Harding divenne famosa negli USA per due motivi: per essere stata la prima pattinatrice americana a svolgere un triplo
axel, e per l’aggressione ai danni della pattinatrice rivale Nancy Kerrigan.
Il film di Craig Gillepsie, in questi giorni nelle sale ripercorre le varie tappe della vita di questa controversa atleta. Tonya inizia a pattinare ad appena 4 anni, con grande insistenza di una anaffettiva e violenta madre. La bimba dimostra un talento fuori dal comune, tanto da vincere la prima gara proprio a 5 anni. Tuttavia, la situazione famigliare degenera. Il padre, figura alquanto marginale, va via di casa quando Tonya ha appena 12 anni. Gli unici insegnamenti che tramanderà alla propria figlia, sarà la strabiliante abilità nell’usare armi da fuoco e cacciare.
A 15 anni, Jeff irrompe nella vita dell’aspirante atleta. Il loro amore (scandito dalle note di “Romeo and Juliet” dei Dire Straits) mostra da subito quella che, in definitiva, sarà sempre il rapporto di Tonya con l’amore, l’affetto o, più generalmente, con il mondo esterno: baci e botte. Ad ogni bacio corrisponde uno schiaffo.

Aldilà dell’intreccio cinematografico però, in quale contesto storico prende forma la vita di Tonya?
Nonostante l’innegabile talento atletico, la giuria si mostra sempre restia quando si tratta di concedere a Tonya punteggi alti, che le permetterebbero di gareggiare in competizioni più elevate, come le Olimpiadi. Ci troviamo nell’America di Reagan, il cui liberalismo avrebbe dovuto far tornare a splendere il sogno americano, distruggendo la povertà urbana (o, semplicemente, celandola) per una specie di “secondo New Deal” all’incontrario, fatto di privatizzazioni. In una tale propaganda pubblicitaria, portare alla ribalta un personaggio come Tonya Harding avrebbe costituito una crepa nella facciata splendente di questo salvifico neoliberalismo. In una scena, la protagonista affronta uno dei giudici di gara chiedendogli il perché di voti tanto bassi. La risposta del giudice sarà: “Noi dobbiamo rappresentare un certo tipo di buona famiglia americana”. Con un primo piano struggente, la risposta di Tonya è : “Ma io non la ho una buona famiglia americana. Perché non potete giudicare semplicemente come pattino?”
Il talento va in secondo piano, la “meritocrazia” si rivela una bugia. Tonya Harding fa sognare gli americani quando, a dispetto delle male lingue, diventa la prima atleta americana ad eseguire un Triplo Axel. Tonya diventa una superstar, tutti le sorridono, tutti la amano.
Tuttavia, l’aggressione verso la Kerrigan,distrugge tutto, anzi: chi l’ha amata distrugge tutto, concedendole quello schiaffo che, almeno in questa occasione, la Harding credeva di poter evitare. Dalle indagini, risulta che l’artefice e il mandante dell’aggressione sia stato Jeff, il marito di Tonya, che voleva aiutare la moglie eliminando la concorrenza durante le Olimpiadi del 1994. Nonostante la confessione dello stesso Jeff, la Harding sarà cacciata definitivamente dalla Federazione.
In conclusione, cosa mostra realmente questo film? Tonya Harding è l’America. Ne incarna tutte le contraddizioni, tutti i dolori, tutte le maschere. Tonya è figlia della povertà, figlia di contadini ed operai mal pagati, sfruttati, che osservano da lontano questo fantomatico “American Dream”.

Non riesce ad essere l’eroina che la retorica neoliberale cerca, così come gli USA di quegli anni non erano il paradiso delle opportunità per ognuno, come raccontavano d’essere.

 

Sabrina Monno

 

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.