Pubblichiamo un articolo a cura della rivista Marxpedía, che affronta il tema della privatizzazione e dello smantellamento della sanità pubblica. 


La spesa del Servizio Sanitario Nazionale rappresenta ancora una percentuale di gran lunga più alta sul totale della spesa sanitaria in Italia. Il pilastro “pubblico”, quindi, con il suo 77% di spesa nel 2014, sembra ancora essere quello preponderante rispetto agli altri. (TABELLA 8) Ma ciò non indica in alcun modo che le spese versate dal SSN vadano a rafforzare l’egemonia della gestione e del controllo pubblico rispetto a quello privato. Né che vadano a rafforzare l’interesse collettivo rispetto al profitto di pochi.

E’ piuttosto vero il contrario. Abbiamo già visto come il 70% delle risorse pubbliche investite in sanità finiscono nelle casse di enti terzi, cioè istituti privati per l’erogazione di servizi sanitari, multinazionali farmaceutiche o enti gestori di altri servizi.

Il personale, che un tempo era la principale voce di spesa per il SSN, si è ridotto, dal 2009 al 2014, di 30mila unità, con un taglio medio del 5%, che in alcune Regioni ha raggiunto il 15%[1]. A contribuire ai tagli della spesa sul personale, oltre al blocco del turn-over, ha avuto un peso importante anche il blocco della contrattazione nazionale, ferma ancora al 2009. In molte strutture pubbliche manca personale, e quello presente è spremuto come un limone.

Negli ultimi anni, al contrario, si è assistito ad un aumento esponenziale dei costi per l’acquisto di beni e servizi e di prodotti farmaceutici. (Tabella 9) Il privato vende, sia esso una multinazionale del farmaco, un’industria di complessi dispositivi medici, una cooperativa di servizi, una Casa di Cura privata, una Misericordia. Vende medicinali, macchinari, servizi di ristorazione, di lavanderia, di pulizia, di manutenzione. Vende visite, esami, percorsi di riabilitazione. E il pubblico compra. Buona parte di tutto ciò che passa oggi dal SSN è frutto di questo rapporto di compravendita.

L’altra colonna portante del sistema sanitario, individuata già dal governo Amato, è la sanità integrativa, quella cioè erogata attraverso la intermediazione di polizze assicurative e di fondi integrativi. Questi ultimi, in particolare, sono individuati come il settore principale su cui dirottare la domanda di servizi sanitari. Proprio per questo sono stati oggetto di numerosi interventi volti ad accrescerne il peso. Con la legge di stabilità del 2016 il governo Renzi ha introdotto norme che detassano le aziende che offrono ai loro dipendenti forme di assistenza mutualistica integrativa (il cosìddetto Welfare aziendale). In altre parole, da un lato si tagliano risorse al SSN, dall’altra si finanziano le mutue di categoria affinché forniscano i servizi sanitari a tutti i lavoratori di un determinato settore lavorativo. Le stesse prestazioni che un tempo avrebbe assicurato il SSN universalmente, vengono garantite così solo a gruppi di persone, sulla base della loro collocazione lavorativa. Tutto ciò, con la benedizione dei vertici di Cgil, Cisl e Uil, che stanno aprendo alla demonetizzazione del salario e ai fondi sanitari anche in categorie, come quella dei metalmeccanici, storicamente contrari alla privatizzazione della sanità. Con l’accettazione anche da parte della Fiom del fondo Metasalute, la percentuale degli aderenti a forme di assistenza sanitaria mutualistica in Italia sale al 19%, con il vantaggio “non dei lavoratori, destinati comunque ad ammalarsi […] piuttosto della grande intermediazione finanziaria, il grande potere assicurativo, la sanità privata che ora, nel momento più debole di quella pubblica, si riprende la rivincita come un mostro”.[2]

I lavoratori per curarsi sono incentivati a utilizzare canali privati poiché, grazie ai fondi sanitari, possono in tal modo essere rimborsati delle spese. Le persone che si rivolgono al SSN e riescono a trovare un appuntamento, si ritrovano spesso spinte tra le braccia delle strutture private poiché trovare un posto in struttura pubblica è diventato veramente difficile. Coloro che non riescono ad accedere in nessun modo a prestazioni tramite ticket, quando non sono costrette a rinunciare, finiscono per pagarsi di tasca propria la prestazione presentandosi direttamente in una struttura privata. In questo modo viene distrutto il SSN e si incentiva l’uso della sanità privata.

Il sistema che prende forma, quindi, è sì un sistema a tre pilastri, ma divisi in base al reddito e alla collocazione sociale di chi vi accede: un SSN minimale, per poveri, disoccupati e diseredati; un sistema integrativo per i lavoratori dipendenti; un sistema individuale, basato su carissime polizze, per le classi sociali più agiate.

Note:

[1] Nel 2016 il personale del SSN rappresenta il 21%  del personale pubblico impiegato in Italia.

[2] Ivan Cavicchi,  Mutua sanitaria, lo stato fa un regalo ai privatiIl Fatto Quotidiano, 16/03/2017, in http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/16/mutua-sanitaria-lo-stato-fa-un-regalo-ai-privati/3455275/

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.