La giornata del 1° maggio ha visto in Italia poche mobilitazioni, nessuna di questa massiccia. La burocrazia dei principali sindacati dei lavoratori evita oramai già da qualche anno di portarli nelle piazze. Se prima utilizzava la classe operaia come una pedina in una partita a scacchi, oggi la burocrazia la tiene imbrigliata nel vertenzialismo al ribasso evitando qualsiasi tipo di “contaminazione” politica che possa farla uscire dal recinto aziendale e proiettarsi verso l’unità con altri settori.

Complice l’attuale crisi di governo dei padroni, la burocrazia si trova nel limbo dell’incertezza sul da farsi: riposizionarsi armi e bagagli nel primo partito, ossia il M5s – garantendosi così la continuità del proprio ruolo di funzionari parassitari – oppure continuare a mantenere gli storici legami con le organizzazioni padronali sorte dalle ceneri del vecchio PCI. Fatto sta che attende notizie dal governo della borghesia per mantenere il suo ruolo di quinta colonna dei padroni nel movimento dei lavoratori.

I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Susanna Camusso (D), Annamaria Furlan (C) e Carmelo Barbagallo (S) durante le celebrazioni del Primo Maggio per ricordare le vittime dell’eccidio di Portella della Ginestra, a 70 anni dalla strage, 01 maggio 2017. ANSA/ MIKE PALAZZOTTO

Intanto, si limita a comizi simbolici, sempre più spesso organizzati con politici borghesi, sindaci, ministri, esponenti della Confindustria, alti prelati (come l’arcivescovo di Bologna Mattia Zuppi, anch’egli paladino della concertazione e del volemose bene). A Prato, dove hanno sfilato insieme i segretari di CGIL, CISL, UIL, ci sono stati accorati appelli allo Stato e ai partiti presenti in Parlamento perché migliorino un po’ la situazione, un poco imbarazzante per i capi sindacali, di ben tredicimila morti sul lavoro negli ultimi dieci anni senza che questi stessi sindacati facciano qualcosa di concreto mettendo in campo la forza dei propri iscritti contro questo macello senza fine che i padroni impongono volutamente per risparmiare in investimenti e concessioni alla sicurezza dei lavoratori. Senza che il Jobs Act, una grande vittoria della Confindustria nel togliere diritti e salario, venga nemmeno menzionato.

In questo quadro, appunto, la burocrazia sindacale lavora attivamente per rimuovere qualsiasi protagonismo dei lavoratori, per mantenere ed aumentarne la passività: in mancanza di una lotta generalizzata e prolungata, si manifesta in un vuoto quasi pneumatico dell’iniziativa, fosse anche soltanto simbolica, quando le necessità immediate del movimento operaio sono quelle di una risposta massiccia di lotta al peggioramento generale delle condizioni di lavoro e di vita della classe lavoratice che continua senza sosta, un governo dopo l’altro.

Nessuna lotta, ma molta copertura mediatica per il diversivo per eccellenza a quella che dovrebbe essere una giornata di lotta e sciopero per la riduzione della giornata lavorativa: il concertone del primo maggio – che è organizzato non a caso proprio dai sindacati confederali. Se l’anno scorso il vincitore del festival di San Remo Francesco Gabbani, dal palco del concertone, aveva affermato: “”Sì al diritto al lavoro! Ma bisogna anche averne di voglia di lavorare!”, cioè dando degli sfaticati ai giovani come già aveva fatto il ministro Elsa Fornero, quest’anno la provocazione è stata ancora più becera e classista, col musicista trap Sfera Ebbasta che orgogliosamente sfoggiava due orologi Rolex al polso, vantandosene poi anche su Twitter.

Così, il primo maggio è diventata una data disertata (quasi) del tutto dai maggiori sindacati, con soltanto alcuni sindacati combattivi a spingere ancora nella direzione di mettere al centro del dibattito politico le ragioni dei lavoratori e degli oppressi.

Non è un caso, infatti, che le più importanti mobilitazioni della giornata di ieri siano stati i cortei promossi a Milano (circa 5.000 persone, diversi sindacati e realtà di movimento presenti, aperto dai rider) e Bologna (mezzo migliaio di persone), caratterizzate principalmente dalla presenza dei lavoratori della logistica legati al SI CoBas, che – forte dell’effervescenza delle lotte di classe nella logistica italiana – riesce a mobilitare quello che è oggi il settore più combattivo del movimento operaio del Paese, disponibile a muoversi su un terreno di battaglia che va oltre la dinamica di lotta in azienda.

A Napoli, settori in prevalenza di disoccupati assieme a lavoratori organizzati col Si Cobas, hanno costruito un’iniziativa di lotta simbolica di occupazione dei binari ferroviari per poi prendere contatto coi proletari immigrati richiedenti asilo dei quartieri popolari del centro storico della città, mobilitando alcune centinaia di persone.

Un settore – quello della logistica – che rappresenta ad oggi quella che come corrente politica usiamo definire “fortezza”, cioè una roccaforte del movimento operaio da rafforzare per allargare il dinamismo odierno agli altri settori ancora non scesi nella lotta del resto dei lavoratori e della classe operaia.

Immagini al corteo del Primo Maggio.

Per questo motivo, come Frazione Internazionalista Rivoluzionaria ieri eravamo presenti in queste tre città ai cortei portando la proposta programmatica della riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di paga per la redistribuzione del lavoro esistente fra tutti i disoccupati.  Una battaglia che caratterizzò le prime mobilitazioni storiche del movimento operaio nel 1 maggio e che mantiene ancora oggi un valore fondamentale. Primo. Abbassare l’orario di lavoro permette di portare i disoccupati a lavorare, unendo il fronte degli sfruttati. Secondo. Questa battaglia unisce i lavoratori e i disoccupati evitando l’abbassamento dei salari e quella che oggi viene definita “guerra fra poveri”. Terzo. Abbassare le ore di lavoro, inoltre, significa per la classe operaia recuperare tempo di vita da dedicare all’organizzazione della lotta politica e al coltivare passioni.

Non una rivendicazione astratta, ma un piano di battaglia per la lotta nei posti di lavoro: ciò si traduce anche in termini pratici nel modo in cui si conducono le trattative coi padroni su orari, ritmi, salario, etc. – e pure nel resto della società, sul piano politico generale, costruendo attorno alle ragioni di un’alternativa socialista la mobilitazione delle masse e di alleanza tra il proletariato e il resto degli oppressi su un programma anticapitalista.

Portiamo questo metodo nelle battaglie forti dell’intervento quotidiano che svolgiamo nella classe dei lavoratori nei diversi sindacati in cui questi sono organizzati sfidando le direzioni burocratiche e il settarismo.

Per costruire la più larga mobilitazione degli oppressi significa inevitabilmente lottare contro la burocrazia sindacale e contro le posizioni riformiste conciliatrici coi padroni, che si esprimano nei sindacati confederali o nel cosiddetto sindacalismo di base, così da costruire un fronte unitario dei lavoratori a partire dalle loro avanguardie più risolute, coscienti e disponibili alla lotta. Ciò poiché la lotta sul piano della difesa passiva sindacale è perdente in sé e qualora conquista parziali vittorie il suo carattere circoscritto sarà la condizione della sua sconfitta futura.

In Italia la burocrazia sindacale  blocca i lavoratori nel terreno aziendale e spesso li porta sul binario cieco dello scontro tra apparati di funzionari interessati a difendere i propri interessi di casta sindacale. Sono entrambi metodi che lavorano alla divisione del fronte dei lavoratori. Entrambi vanno sconfitti negli interessi del movimento complessivo. Non c’è organizzazione sindacale che potrà sostituirsi ai compiti politici dei lavoratori. L’emancipazione dei lavoratori dal capitalismo è opera dei lavoratori stessi, non di questa o quella organizzazione.

Per questo, un fronte unico anticapitalista degli sfruttati rappresenta il modo migliore per rispondere oggi alle politiche del governo e delle sue bande armate statali e/o fasciste, ed è la proposta che facciamo nel dibattito pubblico delle organizzazioni del movimento operaio, tra le donne in lotta, nel movimento studentesco, tra gli immigrati oppressi da Stato e padroni.

Lavorare meno per più soldi! Redistribuire il lavoro fra tutti i disoccupati!

Parità di salario e diritti civili, sindacali e politici tra lavoratori italiani e immigrati, uomini e donne.

Costruiamo assemblee territoriali per decidere come affrontare i padroni, il governo e le bande neofasciste, discutendo ed elaborando un programma per il potere della classe lavoratrice!

Lanciamo un dibattito tra lavoratori e militanti anticapitalisti sulla necessità di un Partito nel quale operai, giovani, donne, immigrati combattivi e risoluti si organizzino per sviluppare una direzione rivoluzionaria della classe alternativa a burocrati sindacali e politici, ai riformisti e alle organizzazioni della borghesia, con l’obiettivo di abbattere il dominio economico-politico della borghesia, cancellare il sistema capitalistico e dunque lo Stato e il mercato dominato dai monopoli, riorganizzare la società in modo razionale sulla base del governo dei liberi produttori sulla produzione.

 

Frazione Internazionalista Rivoluzionaria

La FIR è un'organizzazione marxista rivoluzionaria, nata nel 2017, sezione simpatizzante italiana della Frazione Trotskista - Quarta Internazionale (FT-QI). Anima La Voce delle Lotte.