La sindaca Raggi, tra una lettera di distensione al Messaggero, giornale romano di proprietà del gruppo Caltagirone, per un periodo molto critico con i 5 stelle (di proprietà di Francesco Gaetano Caltagirone, uno dei palazzinari e imprenditori più potenti della città), e un’uscita scomposta sui fantomatici bandi riguardanti le assegnazioni di lotti di spiaggia del litorale romano in mano alla malavita, trova il tempo di riaprire, e questa volta sembra sia la volta buona, il dossier sgomberi del Campidoglio.

Dal documento partito direttamente dal gabinetto della sindaca si evidenziano sei stabili occupati, fra i quali anche occupazioni enormi, di cui ci si dovrà occupare prioritariamente, sei stabili in cui ad oggi alloggiano centinaia di famiglie fra operai e disoccupati, migranti e autoctoni.

Dopo gli sgomberi dell’agosto scorso a Via Curtatone con i seguenti giorni di lotta anche molto dura e un’eroica resistenza degli occupanti (tutti migranti e rifugiati in quel caso) e dopo le minacce di sgombero allo stabile del policlinico di novembre scorso continua la pressione delle istituzioni verso gli occupanti ed ora pare che, almeno a fidarsi della stampa tradizionalmente legata all’imprenditoria del mattone, le cose si stiano muovendo nuovamente. E si muovono nella direzione della guerra contro i poveri, come sempre.

A Roma non esiste nemmeno un censimento preciso delle migliaia di uomini, donne, anziani e bambini che vivono in occupazioni e d’altronde tale fenomeno non è affatto una situazione “emergenziale” come spesso si sente dire, in una città enorme, in cui le case popolari sono sempre più rare e i palazzi sfitti sono migliaia (e dove gli enti che fino a dieci anni fa davano appartamenti ad affitto popolare ora stanno vendendo gli stessi appartamenti a chi può permetterseli, come ad esempio l’Enasarco) questa situazione è la norma.

In questo caso, come in tutti i casi precedenti, il comune parla di sgombero solo successivo al censimento delle ormai tristemente famose “fragilità”, donne con bambini, anziani e disabili, che andrebbero ricollocati immediatamente. Abbiamo visto cosa significa per il Comune “ricollocare” le fragilità, significa nella realtà dei fatti smembrare nuclei famigliari, deportare in centri di accoglienza (che accoglienti spesso non sono affatto), o a decine o centinaia di chilometri di distanza donne e bambini, lacerando il tessuto sociale, le relazioni e la cosiddetta “integrazione” faticosamente costruita negli anni. Per esempio dopo lo sgombero di Piazza Indipendenza la proprietà dello stabile “offrì” la ricollocazione di alcune “fragilità” in villette in provincia di Rieti, ovviamente la gran parte degli ex occupanti (circa il 70%) rifiutò l’offerta, e come dargli torto, gli occupanti sono lavoratori, disoccupati, ragazzi, anziani, famiglie, non criminali da deportare e confinare lontano dal centro delle città per far finta che il problema non esista. Senza parlare delle famiglie divise, padri che non possono crescere i figli se non andandoli a trovare in centri gestiti in maniera spesso autoritaria e poco attenta alle esigenze degli ospiti.

Il censimento di tutte le situazioni, compreso il controllo dei documenti, dovrà concludersi entro l’estate, sempre secondo il dossier del Campidoglio, date le premesse non c’è da aspettarsi molto dalle soluzioni alternative per le “fragilità” e successivamente la parola passerà alle forze dell’ordine. Se l’estensione della manovra si confermerà come pare dai documenti del Comune c’è il rischio concreto che si vada incontro ad una nuova estate di guerra ai senza casa, lavoratori e disoccupati della capitale.

CM