Dopo due mesi di impasse istituzionale, siamo ormai alle ultime battute della partita che potrebbe condurre lunedì alla formazione di un governo formato da Lega e MoVimento5Stelle.

Si tratterebbe del primo esecutivo “esplicitamente populista” in un “paese fondatore dell’Unione Europea”, denuncia Giannini su Repubblica, interpretando le perplessità della classe dominante rispetto a forze politiche che non hanno ancora dimostrato di poter essere compatibili con le linee strategiche tradizionali dell’imperialismo italiano (in primis la UE). Salvini e Di Maio sono infatti debitori sotto il profilo elettorale dell’ostilità di massa nei confronti dell’austerità e delle misure filo-padronali dell’ultimo decennio, quindi del tracollo delle forze politiche che le hanno promosse e alle quali la borghesia si è affidata per gestire il paese a partire dagli anni 90. Da parte sua, però, quest’ultima sembra tirare un sospiro di sollievo di fronte all’alternativa di un ritorno alle urne. Peggio di un esecutivo trainato da Di Maio e Salvini c’è solo la prospettiva di nuove elezioni che rischiano di liquidare ulteriormente i partiti tradizionali e di rafforzare ulteriormente i “populisti” (sui quali invece è oggi ancora possibile esercitare pressioni facendo leva, ad esempio, sul nesso Forza Italia-Lega, fortissimo a livello di amministrazoni locali). Serve peraltro al più presto un governo che tranquillizzi Confindustria, preoccupata da una congiuntura segnata dal perdurare della crisi strutturale del capitalismo mondiale e dei suoi risvolti politico-economici internazionali, particolarmente deleteri per l’imperialismo “nostrano”, anche se, come vedremo, un governo Lega-5stelle non sarà certo in grado di garantire una configurazione istituzionale stabile.

 

La borghesia italiana è ancora in difficoltà

L’economia vive ancora una fase di crescita, ma l’Italia è fanalino di coda nell’eurozona e si fa sempre più forte il pericolo di un nuove turbolenze finanziarie a livello internazionale, come ha ammesso anche l’FMI il mese scorso. Dal punto di vista dei padroni, è dunque urgente accelerare il percorso verso l’unione bancaria europea, alla quale però la Germania si oppone a causa dell’elevato indebitamento dello Stato e degli istituti di credito italiani. In questo solco le frazioni egemoni della nostra borghesia non vogliono rinunciare alla strategia – inscritta nell’articolo 117 della costituzione e nell’adesione ai trattati europei – di mantenere una stretta disciplina di bilancio da mettere sul tavolo dei “partners” per ottenere concessioni; questo a maggior ragione in un contesto in cui l’apertura delle discussioni sui dazi USA all’Ue impone di evitare frizioni con Bruxelles, Parigi e Berlino per evitare di risultare penalizzati in trattative nelle quali ognuno ha la sua agenda, come peraltro in nord-Africa e Medio-Oriente, dove in questi giorni la decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo con l’Iran rischia di far perdere all’imperialismo con base a Roma oltre 30 miliardi di commesse con Teheran.

I “tagli” necessari per rispettare i vincoli di bilancio, del resto, li pagano sempre i lavoratori con la propria pelle e con il proprio salario indiretto, mentre i vari Marcegaglia, De Benedetti e soci hanno ancora molto da grattare nel barattolo del capitalismo di Stato italiano, giustificando un’altra abbuffata (vedi: privatizzazione di poste e ferrovie) con la necessità di reperire i fondi utili ad azzerare il deficit. Nel frattempo, bisogna far saltar fuori 12 miliardi per evitare l’aumento dell’IVA di due punti percentuali nel 2019 (concordato da Monti con la commissione europea come garanzia del rispetto del patto di stabilità); pena deprimere il sensibile aumento dei consumi sui quali si basa buona parte della debole ripresa del PIL e dover trovare il modo di far digerire ai lavoratori e ai settori popolari una misura sulla quale sarebbe difficile “gettare fumo”.

Un governo Lega-5stelle sarebbe insomma chiamato a proseguire la traiettoria di politica economica approfonditasi da Monti in poi e nonostante Di Maio e Salvini non abbiano abbandonato le parole d’ordine chiave della campagna elettorale (Reddito di Cittadinanza, Flat Tax e abolizione della Legge Fornero), hanno fatto di tutto negli ultimi mesi per dimostrare la propria compatibilità di fondo con i disegni di lungo periodo della classe dominante. Come hanno notato alcuni osservatori, l’“Europa” (nel senso di Unione Europea) e l’Austerità sono stati infatti i grande assenti della campagna elettorale ed entrambi i movimenti hanno ripudiato da tempo la rivendicazione di un referendum sull’euro e sui trattati UE. Addirittura, venerdì scorso Borghi e Bagnai, deputati in quota lega diventati famosi come economisti fautori del ritorno alla lira, hanno dichiarato che “uscire dall’euro non è una priorità”, mentre Di Maio ha più volte ripetuto che i vincoli di bilancio non verranno messi in discussione, arrivando perfino a ventilare come punto del contratto di governo con la Lega la riduzione del deficit di bilancio all’1,5%! Una traiettoria del genere non è però casuale, né il risultato di un “tradimento”…

 

La natura di classe di M5S e Lega

La disponibilità mostrata da Di Maio a giungere a qualsiasi compromesso pur di andare al governo il prima possibile – segnalata dal fatto che il prossimo esecutivo nascerà con la benedizione di Berlusconi! – è infatti il portato della natura piccolo borghese del progetto politico a 5 Stelle”, il quale, se è vero che da un lato riesce ad accogliere contenuti “anti-sistema”, dall’altro rende il MoVimento del tutto incapace di giocare un ruolo indipendente dal grande capitale.

L’impianto interclassista del programma grillino – una proposta articolata attorno ad astratte parole d’ordine anti-casta e alla tesi tipicamente piccolo borghese della “fine delle ideologie” – ha insomma permesso di far affluire nel movimento segmenti di ceti “notabili” del meridione, burocrati di stato tra i quali anche vertici dell’esercito, professionisti e professori universitari a loro volta legati a potentati di provincia, magari penalizzati dalla contrazione della spesa pubblica con la quale hanno gestito storicamente le clientele di riferimento, stuoli di carrieristi appartenenti agli strati superiori della piccola borghesia, eccetera.

Tutto questo ha creato le basi per l’ascesa fino alla candidatura a premier di Di Maio, forte anche del patrocinio dalla Casaleggio Associati, proprietaria del marchio del partito e delle varie piattaforme online, la quale pur essendo una piccola impresa, non per questo è aliena ai “salotti buoni” della finanza e della politica. Così, posto che nemmeno nuove elezioni potranno garantire un governo monocolore, posticipare l’ascesa a posizioni di governo del M5S rischierebbe di innervosire le varie clientele sulle quali il “deputato di Pomigliano” si appoggia, magari spingendole ad abbandonare la nave, con il risultato di ribaltare i rapporti di forza interni alla formazione grillina a vantaggio delle anime più “movimentiste”. Significativa a tal proposito la seguente osservazione di Cazzullo: “Di Maio si è rivelato abile; ma non riesce a dissolvere del tutto l’impressione di recitare una parte mandata a memoria. Di sicuro è saldo il suo asse con Davide Casaleggio, l’azienda, la piattaforma, l’algoritmo; ma Luigi non può fallire, perché ha Grillo, Di Battista e l’ala dura appollaiati sulla spalla, pronti a riprendersi la scena”.

Per quanto riguarda la Lega si dimentica invece troppo spesso che si tratta di un partito coinvolto più volte in esecutivi di centrodestra e che tutt’ora amministra con Forza Italia le regioni dove sono concentrati i principali interessi economici del paese, in primis la Lombardia. In effetti, si può intravedere un contrasto tra la Lega di Maroni, più marcatamente borghese, e quella di Salvini che – mentre punta a coinvolgere notabili, fascisti e paramafiosi del Sud terrorizzati dalla crisi di Forza Italia – tramite la retorica della “flax tax”, dell’anti-europeismo nazionalista e la propaganda contro la riforma Fornero, interpella artigiani, piccoli commercianti, imprenditorucoli legati al mercato interno, o schiacciati da politiche fiscali a vantaggio del grande capitale, agricoltori penalizzati dalla politica agricola comunitaria e strati di aristocrazia operaia Lombarda, Veneta etc. Come però mostra un’altra interessante inchiesta dell’Espresso dello scorso 11 febbraio, i principali sponsor finanziari di Salvini sono grandi imprese esportatrici del nord penalizzate dalle sanzioni alla Russia (vedi, per dirne una “familiare”, Amica Chips), ma che non hanno nessun interesse a retrocedere dalle controriforme degli ultimi anni e a compromettere i rapporti dell’Italia con l’“Europa”. Una parte rilevante dei gruppi imprenditoriali nei distretti del settentrione dove ha trionfato la lega deve essere inoltre affascinata dai toni duri che il leader leghista promette di adottare con la Merkel. Tuttavia se è vero che negli ultimi due decenni è aumentata – a scapito, ad esempio, del “nostro” settore meccanico – l’importazione di componenti cinesi in Germania e l’importazione di macchinari “Made in Germany” in Italia, l’industria delle regioni settentrionali rimane fortemente legata al cordone ombelicale rappresentato dalle catene del valore e dal mercato tedeschi. Non c’è dunque da stupirsi se la retorica anti-europeista della lega si smorza ogni giorno che il partito si avvicina al governo, mentre sarà difficile che i capitalisti del nord rinunceranno agli incentivi di industria 4.0 – necessari per guadagnare (o non perdere) posizioni nelle filiere produttive dominate dal capitale tedesco – solo per accontentare lavoratori e piccolo borghesi straccioni.

 

La crisi organica della borghesia, lo Stato e la lotta di classe

Lega e M5S potranno dunque pure inserire nel contratto di governo il reddito di cittadinanza, la flat tax e l’abolizione della riforma Fornero (errata corrige: la revisione), tuttavia, nel quadro del rispetto delle attuali compatibilità capitalistiche, ciò li obbligherà a reperire i fondi imbastendo un attacco ai lavoratori e alle classi popolari su altri fronti, oltre ad entrare in conflitto riguardo a quale misura dare la priorità e a dover fare i conti, in particolare nei 5 stelle, con un aumento delle tensioni tra l’area “movimentista” e quella “governista”. Peraltro, un esecutivo giallo-verde nascerà solo dopo che Mattarella avrà messo pesantemente mano alla squadra di governo, sopperendo alla penuria “quadri affidabili” dei quali difettano soprattutto i pentastellati, ma facendo sì che il bacino dei malumori accumulati tra i due partiti della maggioranza e tra le rispettive fila sia già quasi colmo a poche ore dall’ottenimento della fiducia. Ancora, provvedimenti come ad esempio il Reddito di Cittadinanza – che in realtà già da tempo non è più concepito dai 5Stelle come una “misura universale”, ma come un vero e proprio attacco ai diritti dei lavoratori – non sono assolutamente in grado di far fronte al massacro sociale e alla crisi occupazionale accumulatesi negli ultimi anni, mentre gli strali contro Job Act e Buona Scuola comparsi a sprazzi durante la campagna elettorale sono completamente spariti negli ultimi mesi. Di fronte all’inevitabile calo di consensi derivante dall’incapacità dei “populisti” di mantenere le promesse, o in termini scientifici: di mediare tra i disparati interessi sociali interpellati, il futuro governo giocherà la carta del giustizialismo e del razzismo, proseguendo, del resto, la traiettoria già intrapresa dal PD e da Minniti, i cui decreti forniscono un’ottima base giuridica anche per un approfondimento dell’autoritarismo. Tuttavia, anche qui, si rischierebbe di generare discordie nella coalizione e nei ranghi delle forze che la compongono, considerati i diversi bacini elettorali e sensibilità dai quali pescano lega e 5stelle.

In termini più concisi, la tendenza alla crisi organica dello Stato borghese non verrà affatto frenata da un governo sostenuto da Salvini e Di Maio, che in ogni caso rischia di cadere nel giro di pochi mesi (anche per causa del Berlusconi “benevolo”), oltre a non poter beneficiare delle relazioni con le burocrazie sindacali come, invece, gli ultimi governi sostenuti dal PD. Se poi la borghesia riuscisse a uscire dall’impasse di un governo lega-5stelle – magari approfondita da qualche turbolenza finanziaria – tramite un governo tecnico in grado di racimolare voti dall’implosione dei “populisti” e dalle “forze moderate”, sarebbe difficile per la Camusso (e per chi prenderà il suo posto dopo il Congresso della CGIL) spiegare ai lavoratori che è necessario dare prova di responsabilità dopo l’esperienza degli ultimi 8 anni. E’ evidente che una situazione del genere apra spazi oggettivi per uno sviluppo della lotta di classe, il quale tuttavia non può essere inteso come il semplice frutto del disincanto di milioni di lavoratori nei confronti dei “tecnici neutrali”, dei “populisti” e in particolare dei 5Stelle, risultati il partito maggioritario tra i giovani e i salariati. I margini di manovra di un governo giallo-verde sarebbero infatti molto ridotti, ma non è da escludere che tramite misure cosmetiche, come ad esempio un ritocco della riforma Fornero, o sfruttando al massimo l’attuale clima di passività per fomentare l’odio nei confronti degli immigrati, la coalizione possa guadagnare tempo. Inoltre, se è vero che essa non godrà della special relationship della quale hanno beneficiato i governi del presidente da Monti in poi con le burocrazie sindacali, queste ultime – quasi del tutto scaricate dal PD di Renzi – hanno come prima opzione quella di cercare nuovi interlocutori istituzionali, e non certo quella di imporre sul terreno del conflitto l’agenda della classe operaia in un contesto nel quale la borghesia non riesce ad imporre la propria.

È allora necessario che la sinistra di classe e le organizzazioni che aspirino a rappresentarla non traggano come lezione quella della necessità di “stare fermi ed aspettare la rivoluzione”, oppure di potersi limitare ad adottare le parole d’ordine “anti-europeiste” – o apparentemente progressiste come il reddito di cittadinanza -abbandonate da Lega e M5S; magari chiamando a raggrupparsi attorno a progetti politici piegati alle stesse posizioni neo-riformiste che stanno già dimostrando tutti i propri limiti in Grecia, Spagna e Francia. L’imperativo è invece quello di impegnarsi a promuovere l’intervento indipendente della classe lavoratrice sulla scena sociale e politica, smascherando non solo Lega e M5S su ogni fronte, ma anche proponendo una piattaforma di lotta in grado di dare battaglia alla passività delle burocrazie sindacali in una prospettiva anticapitalista, superando dunque tanto le pose settarie, quanto il tranello dei generici inviti all’unità della sinistra.

 

Redazione de La Voce delle Lotte

 

 

 

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.