Quando si pensa alla Svezia, sopratutto nella mente di certa sinistra, compare immediatamente l’immagine di un popolo solidale e di uno Stato tollerante, aperto e inclusivo. Un sistema perfetto espressione di una società innocente e candida come la neve. Più di una volta qui su lavocedellelotte ho denunciato, in qualità di compagno, studente e lavoratore residente in Svezia, come quest’immagine sia in larga parte una costruzione propagandistica e come, se negli scorsi decenni i pregiudizi “positivi” sulla Svezia avevano avuto un qualche fondamento, col passare degli anni questo terreno diventa sempre più scivoloso e la realtà svedese più complessa (vedi fenomeni migratori) e incapace di tenere in piedi un compromesso soddisfacente tra libero mercato ed elementi di “socialismo”. 

Non è la prima volta che denuncio la falsità di questa costruzione ideologica (vedi: https://www.lavocedellelotte.it/it/?s=Svezia). Attraverso l’articolo di oggi ho deciso che questo processo di decostruzione non può non menzionare una storia di cui malvolentieri si parla: la persecuzione del popolo sami. Recentemente il film Sameblod (Sangue Sami, 2016) ha portato alla luce una parte di questa storia, raccontando la vicenda di una teenager sami degli anni ’30 strappata alla propria famiglia per essere mandata in una scuola svedese nel tentativo di “civilizzarla” (questo tentativo è ovviamente visto come un diritto-privilegio che le viene concesso e il “prezzo” per la sua irriconoscenza o incapacità di comprendere questo privilegio è ovviamente la discriminazione).

Non è chiara l’origine del popolo sami, ma si stima si sia stanziato nell’area compresa tra Norvegia, Svezia e Finlandia almeno 5000 anni fa. Nel capitolo dedicato ai Sami di  “Colonialism in the Margins”, Gunlög Fur li presenta come una società pre-capitalistica di cacciatori-raccoglitori in forte analogia con gli Indiani del Nord America (di cui lo stesso Fur si era occupato nel 1993). Le ricerche di Fur come una goccia d’acqua nel deserto spezzano la narrazione dominante (nella mentalità comune come negli ambienti accademici) di una Svezia innocente.

In realtà la Corona Svedese ha sempre avuto gli stessi interessi e ambizioni territoriali degli altri monarchi europei. A partire dal diciassettesimo secolo questo portò al tentativo di “civilizzare” i Sami (con le buone o con le cattive).

Roger Kvist, uno studioso del dipartimento di Studi Sami all’Università di Umeå, nel suo paper “The Racist Legacy In Modern Swedish Saami Policy” dimostra una continuità nel trattamento dei Sami tra quel “lontano” diciassettesimo secolo o la socialdemocrazia del ‘900.

Negli anni ’80, anche dopo che in Norvegia era stata approvata una legislazione favorevole ai Sami, i socialdemocratici non riescono a farne approvare una simile in Svezia, evitando persino di firmare la Convenzione 169 della International Labor Organization (ILO) riguardante indigeni e popolazioni tribali all’interno di Stati sovrani. Ironia della Storia, a dispetto dei “teatrini” dei socialdemocratici a difesa dei più deboli e delle minoranze oppresse, sono stati governi non-socialdemocratici a fare di più per i sami (o per essere più precisi a “fare meno peggio” limitando i danni). 

Ma tutto ciò è solo una punta dell’iceberg di ciò che potrebbe venir fuori scavando. 

É interessante segnalare ad esempio un articolo del Washington Post del 1997: “How Sweden Sterilized Thousands of ‘Useless’ Citizens for Decades” (Come la Svezia ha sterilizzato migliaia di inutili cittadini per decenni”): le vittime erano per lo più giovani donne giudicate ribelli e/o promiscue. Il prete di una di loro, ad esempio, decise che non aveva imparato a sufficienza la lezione della “confirmation” (la “comunione” dei protestanti) e che perciò doveva essere punita. Un’altra non era in grado di leggere quanto scritto su una lavagna e perciò giudicata “ritardata”. 

I programmi di sterilizzazione erano sostenuti dallo Stato svedese come parte del processo di costruzione di una società progressista, informata dalla “scienza” e dal welfare illuminato. Dal 1934 al 1974, 62.000 svedesi sono stati forzatamente sterilizzati come parte di questo programma (che fondava la sua “copertura ideologica” sull’“evidenza scientifica” della biologia razziale, un’esempio post-nazistico di riscoperta dell’eugenetica). I programmi, oltre che i Sami (e specialmente alcune donne sami), prendevano di mira i Rom.

Articolo a cura di Matteo Iammarrone.

Fonte: https://louisproyect.org/2015/07/07/swedish-colonialism-part-1-the-persecution-of-the-sami/

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.