Viviamo in un paese, l’Italia, dove siamo quasi completamente circondati da acqua. Il mare per millenni è stato sfruttato per il trasporto delle merci e delle persone. È sempre stato utile, di conseguenza, alle classi dominanti per il commercio e per incrementare il proprio capitale. A distanza di tempo tutto questo non è cambiato, anzi, la borghesia è riuscita ad ingranare bene la marcia, affinché l’Italia diventasse una penisola importantissima per gli snodi commerciali via mare. Il porto di Trieste è al primo posto in Italia per traffico di merci, conteggiando il flusso delle stesse che transitano dal porto i dati in questione lo mettono al primo posto. A seguire c’è il porto di Genova, il primo per numero di linee di navigazione e per movimentazione container. Quindi si può constatare dalle informazioni che ci parlano di dimensioni e di movimentazione delle merci da parte dei portuali, che oltre ad essere uno dei più produttivi, il porto di Genova, è anche da considerarsi tra i primi porti italiani per sfruttamento sul lavoro. A seguire ci sono i porti di Cagliari e Livorno e poi tutti gli altri in cui il flusso di merci è molto più modesto.

Lo scorso 11 maggio i lavoratori portuali di Genova, coloro che movimentano la merce scaricando e caricando navi container e facendo tutto quello che riguarda le mansioni lavorative nel porto, hanno bloccato l’ingresso ai terminal impedendo l’ingresso ai camion stracolmi di merce da imbarcare. La protesta è scoppiata praticamente in contemporanea alla morte di un operaio 19enne a Massa Carrara. I lavoratori coscienti ed uniti, hanno preso atto della propria forza, svolgendo  un corteo, bloccando la viabilità cittadina, gridando ad alta voce le motivazioni della manifestazione arrivando fino alla sede della prefettura. Le motivazioni di tale sciopero ce le danno i lavoratori stessi attraverso un volantino “il ripetersi di azioni volte a eludere le regole e a mortificare il lavoro portuale a scapito della sicurezza. Il lungo e tragico elenco d’incidenti sul lavoro nei porti, spesso mortali, che annovera lavoratori dei terminal, delle compagnie portuali, delle imprese di autotrasporto, delle compagnie di navigazione deve essere interrotto”.

Lo sciopero nazionale indetto da tre sigle sindacali, filt cgl, fit cisl e uiltrasporti, ha avuto lo scopo di portare l’attenzione e una maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori e di opporsi alla diffusione dell’auto produzione. Con il termine auto produzione ci riferiamo a i lavoratori marittimi, che su ordini della compagnia per cui lavorano,  svolgono operazioni di rizzaggio e derizzaggio dei carichi a bordo delle navi, attività che però competono esclusivamente ai lavoratori portuali.

Anche in presenza di questo vincolo, i padroni della compagnia, impongono ai marittimi di effettuare tali operazioni per risparmiare tempo e soldi. I lavoratori marittimi, non sono formati per questo tipo di operazioni, conosciuto invece per esperienza e per mansione dai portuali. Con questo sistema si mette in pericolo  sia la salute dei lavoratori marittimi ma anche la sicurezza della nave, perché se nel momento del carico e della stabilizzazione delle merci, non fosse stata applicata la giusta disciplina del lavoro e l’applicazione di precise operazioni di carico (che conoscono i portuali e non gli operatori marittimi), durante la navigazione si  potrebbero subire dei danni e verificare incidenti.

Lo sfruttamento, l’inosservanza delle norme di sicurezza, stipendi al limite sindacale che, con il costo già alto dei generi alimentari e del costo complessivo della vita rendono difficile arrivare alla fine del mese, sono condizioni che vivono i lavoratori ogni giorno unita alla scarsa ispezione e attenzione dei sindacati  per la conseguente tutela dei lavoratori.

Il porto di Genova non è certo un caso isolato, lo scorso anno i lavoratori di un altro grande Porto, quello di Napoli, hanno picchettato e iniziato una lunga e difficile lotta sia sindacale che legale contro i tagli delle grandi società private Conateco e Soteco che hanno portato licenziamenti, ma anche contro le condizioni di lavoro pessime, stipendi da fame e, ancora, norme di sicurezza praticamente assenti.

A sua volta quello che succede nei porti è lo stesso sfruttamento che troviamo in altri luoghi di lavoro, le mansioni ovviamente cambiano, ma i problemi rimangono gli stessi: salari bassi, precarietà e condizioni di lavoro pericolose per la salute.

Il capitalismo d’altronde si basa su un punto fondamentale: i lavoratori vengono sfruttati e spesso anche vedono la propria vita messa in pericolo mentre i profitti da loro generati vengono risucchiati dalle grandi aziende private. Per i portuali vale la stessa regola degli altri settori, dai metalmeccanici ai magazzinieri della logistica: unirsi e lottare, perché i problemi sono gli stessi ovunque e provengono tutti dallo sfruttamento dei padroni sugli operai.

Di Vanja