Questo sintetico approfondimento della situazione attuale dell’UE nasce per un pubblico francese e dalla Francia parte per sviluppare la sua analisi: proprio la dimensione europea del discorso ci porta a non alterarlo né integrarlo minimamente.


Il caso della nave Aquarius e poi quello della Lifeline che hanno visto i governi europei scaricarsi le responsabilità dell’accoglienza dei migranti gli uni sugli altri, la legge sull’ asilo e l’immigrazione che ha fatto vacillare la maggioranza parlamentare del governo Macron-Philippe, lo sgombero forzato da parte della polizia dei migranti che occupavano la facoltà di Parigi VIII – Saint Denis e rivendicavano documenti ed un alloggio per tutti e tutte e infine la questione immigrazione che cristallizza le tensioni tra i paesi della zona euro alla vigilia delle elezioni europee giustificando persino la convocazione di un summit straordinario il 24 giungo a Bruxelles, tutti questi elementi impongono di essere analizzati alla luce della situazione globale di crisi organica del capitalismo.

 

Il legame tra politiche migratorie e crisi organica del capitalismo

Né i movimenti migratori né i discorsi xenofobi delle classi dominanti sono elementi nuovi nella storia dell’umanità, ma la veemenza con cui, nelle circostanze attuali, i politici borghesi si rivolgono nei riguardi dei migranti ha un legame stretto col contesto globale di crisi organica del capitalismo. Due elementi in particolare sono rivelatori dello stato di crisi della borghesia nei paesi europei, che possiamo considerare epicentro del capitalismo mondiale: in Italia, la formazione di un governo di coalizione tra il Movimento 5 Stelle (M5S), rappresentante della piccola borghesia, e la Lega Nord; in Germania, la spirale razzista delle posizioni del ministro dell’ Interno Horst Seehofer, che in questo modo risponde alle pressioni del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AFD).

In Francia i partiti borghesi di sinistra (il governo Hollande-Valls del Partito Socialista) e di destra (la linea maggioritaria di Wauquiez nel partito I Repubblicani) hanno deciso di far proprie le tesi del Front National contro l’immigrazione e sul controllo delle frontiere (e della moneta) portano avanti una linea sovranista all’interno dell’UE in modo da non consegnare all’estrema destra la propria base elettorale, disorientata dalla fine del bipartitismo e della supposta alternanza destra-sinistra. Il governo Macron-Philippe non sfugge a questa logica e in occasione del vertice europeo convocato d’urgenza a Bruxelles in 24 giugno, negozia una dura linea anti-immigrazione, linea dura che prevede, com’è noto, la creazione di hot-spot nei paesi dell’ Africa del nord, veri e propri campi di concentramento e di selezione, che delegano in questo modo il controllo delle frontiere ai paesi dell’altra sponda del Mediterraneo ed esentano i paesi dell’UE dai propri doveri di accoglienza nei confronti dei richiedenti asilo, tutto questo in cambio della collaborazione con la Germania per la creazione di un budget comune dei paesi della zona euro a partire dal 2021.

Questa maniera di rinviare continuamente la soluzione del problema e la tensione che suscita la questione dei movimenti migratori, segno del risveglio delle contraddizioni tra i differenti tipi di nazionalismo (soprattutto italiano e tedesco) dimostrano l’incapacità cronica dei politici borghesi di trovare una soluzione alla crisi del 2008. La crisi del 2008 ha rappresentato infatti il vero e proprio catalizzatore della crisi dell’egemonia borghese, che aveva riposato sul consenso globalizzatore sin dalla fine degli anni ’80, con la dissoluzione del regime sovietico e la collaborazione dei partiti e dei governi di sinistra alle politiche di austerità programmate dal Fondo Monetario Internazionale. Alcuni intellettuali e politologi borghesi annunciavano allora la “Fine della storia e l’avvento dell’ultimo uomo” [NDT: Francis Fukuyama, The End of History and the Last Man, 1992, pubblicato in italiano col titolo La fine della storia e l’ultimo uomo], per indicare un periodo di coesistenza pacifica tra le diverse borghesie imperialiste.

Oggi i capitalisti, i loro politici e i loro media non possono né pensare di spiegare le autentiche ragioni di questa crisi e della miseria che ne deriva e che colpisce duramente il proletariato, né di tollerare l’accoglienza delle masse di rifugiati che fuggono dalle guerre e dalle razzie imperialiste, saccheggi che sono la condizione sine qua non per la sopravvivenza della borghesia dopo la crisi del 2008, paragonabile per ampiezza solo a quella del 1929. La spiegazione di questa incapacità è ovvia: i borghesi non ammetteranno mai che la loro stessa esistenza si basa sullo sfruttamento e l’accumulo di ricchezza, che produce la più selvaggia competizione e il caos. Questo è il motivo per cui puntano il dito contro gli immigrati additandoli come coloro che verrebbero a rubare il pane dei lavoratori nazionali e convincere questi ultimi che la loro miseria non è dovuta allo sfruttamento capitalista ma agli stranieri.

A differenza del dopoguerra, quando la borghesia europea aveva bisogno di lavoratori e di una riserva industriale per ricostruire quello che la guerra aveva distrutto e per sviluppare infrastrutture industriali, e si organizzò per far arrivare manodopera a basso costo proveniente dal Maghreb e dall’Africa sub-sahariana, parcheggiandola in baraccopoli e altri HLM [NDT: Habitation à loyer modéré, allogi a canone moderato], nella fase attuale la produzione in Europa occidentale si è riconfigurata attraverso il trasferimento dei centri della produzione industriale e attraverso la riconversione dall’industria tradizionale al settore dei servizi. Il bisogno di manodopera riguarda oggi settori specifici e i cosiddetti lavori “non qualificati” (le realtà più precarie e più dolorose); la borghesia dispone ormai di una ampia riserva di lavoratori che possono essere impiegati a costo zero grazie alla disoccupazione di massa (circa 3,5 disoccupati di categoria A iscritti a Pole Employment nel 2018, in realtà molti di più se comprendiamo anche i non iscritti, i lavoratori a tempo parziale, quelli cancellati dalle liste…).

Questa congiuntura ed i suoi effetti si dispiegano su due linee. Dal punto di vista soggettivo l’attuale congiuntura economica gioca un ruolo determinante nella perdita di egemonia da parte della borghesia globalizzatrice che deve giustificare i suoi insuccessi agli occhi delle masse. Dal punto di vista oggettivo inoltre mette in evidenza l’incapacità dei capitalisti di risolvere il problema alla radice dal momento che la loro stessa sopravvivenza dipende dagli interventi imperialisti e perché l’economia di questi paesi capitalisti avanzati non può sostenere oggi l’integrazione di una così grande massa di lavoratori. I politici più filo-europei come Emmanuel Macron e Merkel sono costretti a trattare con i sovranisti come il tedesco Horst Seehofer che in Germania destabilizza il governo, minacciando di dimettersi nel caso non vengano adottate misure per l’ espulsione dei richiedenti asilo. In Baviera Seehofer deve confrontarsi con la AFD che cresce sulle rovine e sul fallimento delle politiche neoliberali e contro la quale non ha altro scelta che alzare il tiro o soccombere.

Come si può vedere, anche il più infimo dei politici può minare la stabilità di quello che è ritenuto il più solido governo europeo. La cristallizzazione delle tensioni si gioca sulla pelle dei migranti in fuga dalla guerra e dalla miseria. Potrebbe anche essere necessario esaminare il caso Trump negli Stati Uniti d’America, dove le tensioni commerciali che derivano dal rafforzamento delle frontiere attraverso l’aumento delle imposte sull’importazione di acciaio sono raddoppiate vanno di pari passo con una politica securitaria contro i migranti.

 

Dall’antirazzismo all’anticapitalismo: la strategia della contro-egemonia operaia

Il legame tra razzismo strutturale e bisogni economici del padronato viene eluso dalle analisi politiche dei riformisti, secondo i quali sarebbe possibile una diversa politica sull’immigrazione senza una trasformazione radicale dei rapporti di produzione e secondo i quali l’accoglienza dei migranti si riduce a un problema di razzismo senza alcun legame coi bisogni della borghesia. Questo emerge ad esempio dal coro di consensi rivolti alla Spagna che ha fatto attraccare a Valencia la nave Aquarius, lasciando così intendere che si tratterebbe solo di una questione di volontà. Il fatto che questo nesso strutturale non venga colto ci spiega anche le posizioni di coloro che si illudono di poter avere successo portando avanti rivendicazioni parziali, ad esempio verso una preside di facoltà come nel caso dell’occupazione della facoltà di Paris VIII, o verso un prefetto o verso un qualunque un governo borghese, senza costruire un rapporto di forze attraverso l’autoorganizzazione e l’azione concreta degli oppressi alla base.

Si può mettere in luce il carattere fallace di queste tesi facendo il bilancio delle citate esperienze, ma anche analizzando le recenti riforme, come la nuova legge su immigrazione e diritto di asilo del governo Macron-Philippe, che mira a controllare i flussi migratori. Infatti, oltre alle misure coercitive di controllo delle frontiere, per facilitare il fermo e le deportazioni e ridurre i costi del personale amministrativo preposto, leggiamo ad esempio l’articolo 24 che prevede “la regolarizzazione per alcune categorie di lavoratori da parte di imprese che ricevono un riconoscimento speciale da parte dello stato”, la prova che i borghesi sono interessati solo al profitto che possono trarre dalla difficile situazione dei migranti. E se il proletariato appare oggi diviso dal razzismo tra lavoratori francesi e immigrati, la classe operaia in Francia non è la stessa del 1950, e nella sua riconfigurazione comprende oggi molti lavoratori immigrati. Questa ricomposizione della classe operaia è di buon auspicio perché possano emergere un’organizzazione ed un programma rivoluzionari per unire la nostra classe.

Il secondo errore dei riformisti, quando separano antirazzismo e anticapitalismo, è di omettere di analizzare – volontariamente o meno – l’imperialismo come la radice degli attuali flussi migratori. L’esempio della guerra in Libia è un caso di scuola. Guidata da Nicolas Sarkozy con grande clamore nel 2011, questa guerra aveva come obiettivi quello di fermare lo slancio e la diffusione delle cosiddette “Primavere arabe” e quello di fornire alle grandi imprese francesi materie prime più economiche, unica prospettiva che i paesi imperialisti avevano a disposizione di fronte alla crisi, oltre all’abbassamento costo della forza lavoro.

E se la Libia era attraente per i capitalisti in virtù delle sue risorse petrolifere (nono paese nella classifica mondiale delle riserve petrolifere), dei suoi bassi costi di produzione e della sua vicinanza al mercato europeo, essa rappresentava una meta ambita anche per i migranti Africani che vedevano la possibilità di stabilirsi e lavorare in questo paese scarsamente popolato in relazione al suo immenso territorio e alla ricchezza che prodotta. La Libia ha assorbito i flussi migratori africani, costituendo la principale destinazione di migranti eritrei, etiopi, somali, sudanesi in fuga da dittature, disoccupazione e indigenza. La guerra civile, conseguenza diretta dell’intervento militare imperialista, poteva solo produrre movimenti migratori diretti verso il nord del Mediterraneo.

Ma anche al di là della creazione di un rapporto di forze sufficiente a soddisfare rivendicazioni immediate come la regolarizzazione di tutti i migranti privi di documenti, rivendicazioni che possono avere successo facendo leva sul potere economico e quindi attraverso lo sciopero dei lavoratori (molti dei lavoratori sono infatti privi di documenti), come possiamo affrontare la lotta contro la radice imperialista dell’attuale crisi migratoria, se non avendo come obiettivi l’espropriazione delle aziende e il loro controllo da parte dei lavoratori, soprattutto di aziende come Dassault, Pinault e Lafarge, che da questa complessa situazione sociale ed economica traggono beneficio? Come porre la questione dell’accoglienza dei migranti e dell’apertura delle frontiere se non attraverso la confisca delle abitazioni vuote e la condivisione dell’orario di lavoro, dal momento che oggi una parte dei lavoratori viene ora sfruttata più di quaranta ore a settimana mentre altri sono completamente esclusi dal sistema di produzione, privati ​​del lavoro e di alloggi per vivere? Tante occasioni per far breccia nelle crepe aperte da questo contesto di crisi organica del capitalismo e di ricomposizione della classe operaia…

Ghassan Kanafani

Traduzione di Ylenia Gironella da Révolution Permanente

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.