La Rivoluzione russa, iniziata in occasione della Giornata internazionale delle donne nel 1917, ha legalizzato l’aborto nel 1920 con cento anni di anticipo rispetto ai dibattiti di oggi. Ecco come si è svolta quell’esperienza.


Il diritto all’aborto in discussione oggi è legato alla salute ed alla vita delle donne. Questo dato fu compreso anche da coloro che guidarono la Rivoluzione russa ed ecco perché, pochi mesi appena dopo la fine della guerra civile, uno dei primi atti legislativi fu la legalizzazione dell’aborto. A distanza di tempo questo provvedimento si è rivelato essere uno dei più avanzati per quanto riguarda i diritti delle donne.

Nel decreto che stabiliva la legalizzazione era scritto: «Da dieci anni, il numero delle donne che hanno fatto ricorso all’aborto è in aumento nel nostro paese e in tutto il mondo. La legislazione di tutti gli altri paesi cerca di contrastare questo male punendo le donne che scelgono l’aborto ed i medici che lo praticano. E così facendo spingono le donne nella clandestinità e le rendono vittime di persone impreparate, che approfittano di questa situazione di clandestinità».

Questo significava anche che «per la legge sovietica, il feto non era considerato giuridicamente come persona e quindi soggetto di diritti. Una donna che avesse abortito a qualunque stadio della gravidanza, non veniva perseguita legalmente[1]». Un cambiamento radicale dunque rispetto alla precedente legislazione russa, che fino al 1885 definiva l’aborto come un atto di «omicidio premeditato» da parte della donna che l’avesse praticato.

 

Perché proprio cento anni fa in Russia?

All’inizio del XX secolo, la Russia era un paese profondamente in ritardo dal punto di vista economico e sociale. Analfabetismo, povertà diffusa, sistema di governo feudale, totale assenza di sistemi scolastico e sanitario; il potere era totalmente nelle mani dello Zar e della Chiesa ortodossa.

Prima della Rivoluzione, nessun diritto era garantito alla gran parte dei cittadini e dei lavoratori e ancor meno alle donne. La Prima Guerra mondiale, cui la Russia partecipò fino al 1917, spinse le donne ad entrare nel mondo del lavoro, dal momento che gli uomini erano impegnati al fronte. Questo significò che centinaia di migliaia di donne diventarono sarte, lavoratrici nei settori alimentare, tessile e sanitario, educatrici ed anche minatrici, telefoniste e impiegate in molti altri settori. Iniziarono così ad assumere un nuovo ruolo sociale: potevano organizzarsi nei luoghi di lavoro, riconoscersi e anche partecipare ai grandi avvenimento rivoluzionari che le attendevano. La Rivoluzione russa infatti, iniziata con uno sciopero che rovesciò lo Zar, prese il via con la mobilitazione delle operaie del settore tessile di Viborg, alla vigilia della Giornata delle donne dell’8 marzo.

Chi avrebbe potuto credere che un paese come la Russia sarebbe divenuto, in prospettiva, uno dei più avanzati per quanto riguarda i diritti delle donne? Trotsky ha affermato che “se vogliamo veramente trasformare la vita, dobbiamo imparare a guardare attraverso gli occhi delle donne” ed è questo che la rivoluzione ha fatto.

Questo ha comportato una trasformazione radicale in tutti gli aspetti della vita, specialmente per le donne. I bolscevichi presero allora le iniziative più rivoluzionarie del mondo, iniziative che erano espressione della precedente riflessione politica elaborata in seno alla Seconda Internazionale Comunista, guidata da Rosa Luxemburg e Clara Zetkin, quando, nel 1910, venne proclamata la Giornata Internazionale del donne, come mezzo di auto-organizzazione delle donne che lottavano per i propri diritti. Il governo sovietico istituì il Dipartimento femminile del partito bolscevico, Zhenotdel, per sviluppare politiche in materia di diritti delle donne, famiglia e figli.

La dirigente bolscevica Inessa Armand ha dichiarato: “Nonostante la disorganizzazione, il blocco, l’ininterrotta aggressione delle guardie bianche […], il potere sovietico garantisce già parzialmente il sostentamento pubblico dei bambini […] L’istruzione è completamente gratuita, dalla scuola elementare all’università e alle scuole superiori […] È vietato il lavoro dei minori di 16 anni […] Le madri lavoratrici entrano in congedo otto settimane prima del parto e restano in congedo altre otto settimane dopo il parto; e durante tutto questo tempo ricevono un salario identico […] Grazie alla creazione di sale da pranzo pubbliche poi, la cucina gradualmente scompare dall’economia domestica. La cucina di famiglia, così glorificata dalla borghesia, ma che dal punto di vista dell’economia non è affatto adeguata all’obiettivo (rivoluzionario), è una punizione intollerabile per le contadine e soprattutto per le operaie, un’attività che sottrae loro tutto il tempo libero, privandole dell’opportunità di andare alle riunioni, di leggere e partecipare alla lotta di classe […] Il regime sovietico è la transizione dal capitalismo al comunismo, un obiettivo impossibile da raggiungere senza l’assoluta emancipazione di tutti gli sfruttati, comprese le donne[2]”.

Il diritto all’aborto in questo contesto è strettamente legato alla necessità di prendersi cura della condizione delle donne. Il provvedimento di legalizzazione dell’aborto è stato adottato malgrado la Russia avesse contato nella guerra mondiale e nella successiva guerra civile circa 7,5 milioni di morti e questo perché malgrado fosse necessario ripopolare il paese, non lo si sarebbe potuto fare per imposizione e punendo le donne. Per i bolscevichi la legalizzazione dell’aborto costituiva una politica di salute pubblica di interesse superiore.

Alexandra Kollontai, una delle principali dirigenti bolsceviche, ha scritto che “nella nostra repubblica di lavoratori, dal 18 novembre 1920 abbiamo una legge che legalizza l’interruzione di gravidanza. […] Il nostro paese non è densamente popolato […] Perché mai dunque abbiamo legalizzato l’aborto in una situazione come questa? Perché fino a quando non saranno state assicurate soddisfacenti condizioni di vita alle donne, gli aborti continueranno ad essere praticati [….] Gli aborti sono praticati in tutti i paesi e nessuna legge può efficacemente prevenirli. Le donne possono ricorrere all’aborto in altri modi anche se esso è legalmente vietato, ma questa sorta di “aiuto segreto” contribuisce a distruggere la salute delle nostre donne […] Solo un aborto eseguito da un chirurgo in condizioni normali non comporta pericoli per la salute delle donne […]”. E aggiunge: “Noi abbiamo dato risposta ad una questione che in tutti gli stati borghesi è tutt’altro che risolta[3].

 

Come  fu concretamente attuato questo provvedimento legislativo ?

In Russia, le donne potevano abortire di propria iniziativa. Dovevano presentare una domanda ad un ufficio ministeriale, perché la legge stabiliva che l’aborto potesse essere praticato solo negli ospedali pubblici, per garantire le necessarie condizioni igienico-sanitarie. A causa delle risorse economiche limitate, l’ufficio stabiliva un ordine di priorità negli interventi tenendo conto di diversi criteri: “I criteri erano formulati secondo una scala gerarchica basata sulla posizione di classe e sulla vulnerabilità della donna [che aveva fatto richiesta]”, afferma Wendy Goldman nel suo libro.

Aggiunge Goldman: “Una volta ottenuto il permesso di abortire, l’operazione era relativamente sicura. Le donne raramente muoiono a causa di aborti in un ospedale. ” Quasi il 50% delle donne ha abortito per motivi economici, a causa delle condizioni di povertà che impedivano loro di prendersi cura di un bambino, il 15% perché aveva deciso di non avere un altro figlio e il 12% per problemi di salute. Oltre alle condizioni di estrema povertà in cui hanno vissuto dopo la guerra, una delle ragioni che portavano le donne ad abortire era la decisione di non avere più figli. Questa scelta era legata ai cambiamenti portati dalla rivoluzione rispetto alla condizione delle donne: i loro orizzonti si stavano allargando, non avevano più come unico scopo assolvere i doveri domestici e quelli della maternità, ma la nuova vita rivoluzionaria stava trasformando le loro aspettative. Potevano studiare, lavorare, partecipare alla politica ed essere parte della costruzione dello stato operaio.

A quel tempo non esisteva nessun metodo di contraccezione, quindi l’aborto era una pratica molto comune per tutte le donne. Attraverso questa legislazione i bolscevichi volevano evitare la clandestinità, che garantiva solo la morte delle donne. Gli aborti clandestini non scomparvero del tutto per l’impossibilità di accogliere tutte le domande che venivano presentate, ma in molte grandi città l’aborto legale venne massicciamente garantito nelle strutture sanitarie pubbliche.

Va detto che i bolscevichi pensavano che, grazie progresso della Rivoluzione, la necessità di ricorrere all’aborto sarebbe diminuita quando sarebbero migliorate le condizioni materiali di vita in modo da permettere alle donne che volevano diventare madri di avere figli in condizioni di vita migliori. Aborto, procreazione e assistenza all’infanzia erano concepiti come una questione sociale che doveva essere gestita dallo stato operaio, non come questioni che attenessero solo al singolo.

Quasi cento anni dopo, l’aborto è ancora una pratica quotidiana in tutto il mondo. L’esperienza della Russia si unisce oggi alle ragioni della lotta per l’aborto legale in Argentina e dimostra che è solo con la forza delle donne organizzate che possiamo raggiungere questo obiettivo: “educazione sessuale per decidere, contraccettivi per non abortire e aborto sicuro, libere di non morire “.

Ana Sanchez

Traduzione di Ylenia Gironella da Révolution Permanente

Note

[1] Wendy Goldman, La mujer, el Estado y la revolución, Ediciones IPS, 2010

[2] The Worker in Russia, Communist Bulletin, 1 ° anno, N° 17, 8 luglio 1920

[3] La donna nello sviluppo sociale, Guadarrama, Barcellona, ​​1976

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.