Matteo Salvini è stato uno dei pochi politici europei ad esultare per la “vittoria” di Sverige Demokraterna, il partito populista reazionario che vorrebbe chiudere le frontiere a tutti i migranti, abolire l’educazione di genere, l’aborto, i diritti delle donne e quelli LGBT. Nell’analisi dei risultati delle elezioni svedesi è necessario partire, però, dai dati e da una constatazione intellettualmente onesta, che i dati stessi supportano: la “socialdemocrazia” (come sta accadendo ovunque) è in crisi (e le ragioni sono probabilmente analoghe, seppure non identiche, a quelle di altri Paesi, come l’Italia o la Germania), tuttavia, la sua crisi non ha un peso numerico elevato quanto quello dell’Italia o della Spagna, dove i risultati per i partiti di centro-sinistra sono stati “catastrofici”. Da un lato allora non è intelligente cedere alla propaganda di Salvini di una Svezia “ex modello della sinistra” che ora si è stancata ed è diventata “salviniana”, dall’altro è altrettanto importante non usare l’attacco a questa rappresentazione come mezzo per difendere le politiche di socialdemocratici e riformisti che, a convenienza, cercano di sostenere l’immagine di una “Svezia socialista” che, purtroppo, non esiste (ancora). Allora bisogna raccontare le cose per quelle che sono, ed è quello che cercherò di fare qui partendo da questi dati: lo scorso 9 Settembre Vänsterpartiet, Socialdemocratici e Mijöpartiet (blocco “rossoverde”) hanno ottenuto in totale 144 seggi (40.7%), Liberalerna, Centerpartiet e Moderaterna (“Alleanza”) 143 seggi (40.2%) e Sverigedemokraterna 62 (17.5%).

Sverige Demokraterna

Come si evince, a dispetto della propaganda salviniana, “Sverigedemokraterna” non ha vinto né trionfato, ma si è invece affermato terzo partito del Paese (nonchè quello che è cresciuto di più rispetto alle scorse elezioni, +4.6%). Come già segnalato nel precedente articolo la composizione dell’elettorato di questa formazione travalica i confini delle classi sociali (esattamente come accade per Lega e 5Stelle in Italia), ma raccoglie perlopiù piccoli e medi imprenditori, pensionati e lavoratori nativi (impoveriti dai tagli al welfare e traditi dai socialdemocratici così come da Vänsterpartiet). Guardando ai risultati per territorio, tuttavia, non è possibile stabilire una correlazione tra aumento dei consensi a questa formazione e presenza di classe operaia/poli industriali. Al contrario, i seggi conquistati da Sverigedemokraterna su scala nazionale sono quasi tutti concentrati nelle aree rurali della regione meridionale di Skåne (dove abbondano piccoli e medi proprietari terrieri e fattorie a conduzione familiare). Malmö e Lund, i due centri più importanti dell’area, sono in quel territorio quelli in cui sono presenti gli unici seggi allineati con la media nazionale, cioè dove i socialdemocratici hanno continuato ad essere il primo partito. Un’eccezione è rappresentata tuttavia da alcuni distretti periferici di Malmö, considerate zone off- limits da alcuni giornali, ad alta presenza migratoria. In quei casi Sverige Demokraterna ha superato gli altri partiti.

Socialdemocratici

I socialdemocratici perdono tre punti rispetto al 2014, ma rimangono il primo partito e si risparmiano così (in termini numerici) la batosta elettorale subita dal PD italiano. Tuttavia i numeri non vanno considerati mai in termini assoluti, ma relativi. Allora sebbene Löuven non abbia perso tanti consensi quanti ne ha persi il PD (“appena”

-2.7%), la crisi politica dei Socialdemocratici svedesi potrebbe tuttavia essere profonda quanto quella del PD italiano, anche considerando il fatto che questo del 2018, come stanno ribadendo tutti i giornali svedesi, rimane il peggior risultato della loro Storia, in un Paese in cui la socialdemocrazia ha governato per larghissima parte dai primi del Novecento ad oggi.

Göran Persson

Ma quali solo le ragioni di questa sconfitta e perché i voti dei lavoratori si sono in parte spostati verso Sverige Demokraterna (sebbene non “in massa”, come abbiamo visto), in parte verso altre forze di destra (come Moderaterna)? La crisi di quello che era probabilmente il più grande partito socialdemocratico del globo comincia almeno negli anni ’90, con l’inizio dei tagli e delle privatizzazioni sotto i governi Carlsson e Persson (privatizzazione delle ferrovie e abolizione del contratto collettivo). Da quel momento in poi i profitti hanno iniziato ad aumentare nelle tasche della borghesia nazionale e i lavoratori ad abbondare i socialdemocratici, sia nella partecipazione “militante” alla vita del partito (nel 1990 si contavano 1.034.000 membri in un Paese che allora contava 8.5 milioni di abitanti, scesi vertiginosamente a 259.000 membri nel 1991, dopo l’abolizione del contratto collettivo) sia elettoralmente (prima del 1994 S era quasi sempre al di sopra del 40/45%, dopo il 1994 si fermerà sempre al 30/35% fino ad arrivare alla sconfitta di quest’anno).

Nel 2014 dopo due governi dell’Alleanza (le destre), contro le aspettative di alcuni ingenui che speravano in una sterzata a sinistra, con il “Piano per un mercato del lavoro sicuro” vengono aboliti i requisiti per il contratto collettivo degli appalti pubblici e legalizzato il licenziamento via sms. In quegli anni Löuven annuncia la fine della “politica del blocco rosso-verde” e la disponibilità alla collaborazione con Centerpartiet e Liberalerna.

Oggi la borsa di Stoccolma ha dividendi per 251 miliardi di corone (dati 2017). I 187 miliardari svedesi possiedono più dell’intero Stato svedese (incluso il sistema pensionistico). La crisi degli alloggi di studenti e lavoratori imperversa (per approfondire), i nuovi migranti non hanno gli stessi diritti di coloro che possiedono la cittadinanza (es. gratuità delle visite mediche e “salario” studentesco) e il presente stato delle cose non riesce più a garantire ai giovani svedesi le stesse opportunità di “indipendenza” di cui avevano goduto i loro genitori. Di tutto questo i maggiori responsabili sono coloro che hanno governato per conto del padronato: proprio i socialdemocratici la cui ministra del mercato del lavoro Ylva Johansson, lo ricordiamo, si era schierata contro i lavoratori in lotta al porto di Göteborg la scorsa primavera minacciando, col sostegno di tutti i socialdemocratici e le lodi delle destre, di abolire di fatto il diritto di sciopero (per approfondire). Alla luce di questo sintetico ex cursus storico non è difficile immaginare perché i lavoratori e le lavoratrici non abbiano più illusioni circa la socialdemocrazia: e se la sconfitta non è stata così disastrosa come è avvenuto ad esempio in Italia, è stato probabilmente solo per il timore di un trionfo dei reazionari di Sverige Demokraterna o ancora perché il livello dell’aggressione ai lavoratori non è stato forse potente quanto quello messo in atto dal Pd renziano. Non va dimenticato che la classe dominante laddove i lavoratori hanno ottenuto conquiste particolarmente avanzate, come quelle della Svezia, non può permettersi, per una questione strategica di sopravvivenza, di cancellarle in un colpo solo, e quindi il processo di “arretramento” delle conquiste ottenute è probabilmente in questo Paese più lento, ma la china è la stessa degli altri Paesi.

Dopo il duro colpo di queste elezioni Löuven tentenna, ma per ora non molla. Dalla notte delle elezioni i lavoratori svedesi sono costretti a vederlo arrampicarsi sugli specchi per giustificare il calo di popolarità, difendere il fatto che tutto sommato “siamo ancora il primo partito” ma sopratutto vederlo impegnato in una competizione verbale a colpi di numeri con il carismatico destro Kristersson, portavoce di Moderaterna (centro-destra), secondo partito vincente e primo partito nell’area di Stoccolma. Kristersson, infatti, reclama il diritto di formare il nuovo governo: “Alliansen si configura come la più grande e credibile alternativa di governo, molto più dei Socialdemocratici”. Löfven dal canto suo fa capire di voler quindi collaborare, ma senza rinunciare a partecipare al governo di cui ha diritto essendo ancora il primo partito, in questo senso Löfven fa appello alla famosa “responsabilità nazionale”: “tutti i partiti devono prendersi la responsabilità per il futuro della Svezia. In questo processo nessuno deve tirare l’acqua al suo mulino, ma attraverso la collaborazione possiamo fare molto di più per il nostro Paese”. I vaghi riferimenti ai “ricchi capitalisti” e, di tanto in tanto, alla “classe lavoratrice” che Löuven aveva fatto in campagna elettorale, come possiamo ben notare da queste dichiarazioni, sono totalmente scomparsi, nel tentativo di elemosinare la partecipazione a un potenziale governo con le destre. Questo richiamo alla responsabilità da parte di Löuven è nelle sue intenzioni una strategia per evitare che le destre tradizionali costruiscano un governo con Sverige Demokraterna (e in quel caso, tornando ai meri calcoli numerici, avrebbero una maggioranza schiacciante e arginerebbero il problema attuale di avere un seggio in meno rispetto al blocco rossoverde). A proposito di quest’ultima possibilità (più che concreta), parte dello show è stato l’ultimatum lanciato da Åkesson, il leader di Sverige Demokraterna, a Kristersson (il leader dei Moderaterna): “che Kristersson scelga tra me e Löuven. Cosa risponde?”. Kristersson ha risposto che gli ultimatum non gli piacciono, sembra dunque voler prendere tempo, vorrebbe evitare i socialdemocratici, ma anche di rovinarsi la reputazione con Sverigedemokraterna (percepiti come “estremisti” non credibili e al di fuori dell’establishment della “borghesia tradizionale”). Ma non è possibile, dovrà scegliere. In entrambi i casi sappiamo bene che saranno i lavoratori a pagare.

Vänsterpartiet

Vänsterpartiet ha conquistato l’8% dei consensi, crescendo di 2.2 punti percentuale rispetto alle scorse elezioni (rimanendo tuttavia un po’ al di sotto delle aspettative dei più ottimisti che lo davano al 10/11%). A conferma del fatto che non è un partito a base operaia, ma piccolo-borghese radicale, non ha conquistato nessuno dei distretti industriali del Paese. Ha conquistato la maggioranza solo in alcuni sparuti seggi del nord della Svezia (tradizionalmente di sinistra, ma dove non esistono poli industriali importanti) e in alcuni distretti di Göteborg (Majorna-Lineegatan, Högsbogatan e Haga, quartieri a maggioranza proletaria fino agli anni ’70-’80, ma oggi trasformatisi in aree “hipster-bohemienne” non più operaie come conseguenza di processi di gentrificazione).

Jonas Sjöstedt, il segretario, festeggia e in uno dei commenti a caldo si dice sollevato e gioioso per la “vittoria”. Una volta che gli entusiasmi dell’8 per cento si sono placati, termina di dirsi sollevato e cominciano le preoccupazioni. Le preoccupazioni sono quelle di ritrovarsi un governo in cui Sverige Demokraterna abbia un ruolo di peso. Ma sono anche quelle di fare “da stampella” (come accade da anni a questa parte) ai socialdemocratici. Sia Sjöstedt che alcuni altri esponenti di Vänsterpartiet stanno in queste ore cercando di convincere la politica, gli svedesi e l’opinione pubblica che le pretese dei socialdemocratici di governare sono legittime e che senza il “successo” di Vänsterpartiet, Löuven non avrebbe mai potuto accampare simili pretese.

Che fare?

Nel “teatrino” della politica borghese, sia essa scandinava o no, non c’è posto per le ragioni della classe lavoratrice e tutti i giocatori in campo si rivelano nemici (socialdemocratici e destre) oppure, come minimo, inadeguati (Sjöstedt). Löuven, come forse accadrebbe al Bersani o al D’Alema di turno, si trova ancora nella posizione di voler difendere l’indifendibile appartenenza del suo partito al movimento operaio, affossando la crisi profonda della sua formazione politica e della sua ideologia socialdemocratica. Sjöstedt e Vänsterpartiet, dall’altro canto, difendono l’indifendibile della volontà di conciliare interessi inconciliabili e di “salvare il salvabile” di un partito e di un programma totalmente inadeguato e per nulla all’altezza della sfida. Il portavoce di V. “preferirebbe un governo senza partiti borghesi, ma” , continua, “bisogna ora fare i conti con la realtà” (N.B. in Svezia nel dibattito politico mainstream si usa l’espressione “borgerliga partierna”/“partiti borghesi” per indicare tutte le formazioni a destra dei socialdemocratici e cioè quelle storicamente estranee al movimento operaio). La realtà è che Vänsterpartiet ha come obiettivo da diverso tempo quello di fare da stampella ai socialdemocratici che, come abbiamo visto, hanno a loro volta come obiettivo quello di perseguire le politiche padronali e allearsi con le destre. Inoltre, dal punto di vista della composizione, della militanza e dell’organizzazione, Vänsterpartiet non è un partito operaio (e non intende esserlo). Il partito dei lavoratori in Svezia come altrove va costruito per scacciare a tutti i costi i governi socialdemocratici di oggi così come quelli reazionari di domani e costruire al loro posto la rivoluzione socialista.

Articolo a cura di Matteo Iammarrone

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.