Pubblichiamo la prima parte (domani la seconda) dell’interessante editoriale dei compagni di Marxpedia: questa prima parte si concentra sulla situazione economica internazionale, segnata dalle grandi tensioni e incognite su debito pubblico e finanza, a partire dalla quale si trova ad operare il governo italiano.


1. I segnali di recessione internazionale si moltiplicano. Gli economisti ufficiali discutono del “quando” e del “come”, non del “se” avverrà la prossima crisi. Ne cercano i segnali come gli stregoni dell’antichità guardavano i segnali in cielo. Osservano con preoccupazione la curva del differenziale tra i tassi Usa a 10 anni e quelli a 2 anni. Se il tasso di interesse sul rischio “a breve” (tassi a 2 anni) si avvicina a quello del rischio “a lungo termine” (tassi a 10 anni) vuol dire che sta calando la fiducia sullo stato dell’economia. L’abbassamento del differenziale tra i due tassi ha preannunciato puntuale ogni crisi recente. [Grafico 1]

 

Grafico 1

 

2. Un’altra curva sotto osservazione è quella del rischio di prestito interbancario, data dalla differenza tra il Libor (il tasso di interesse a cui un campione di banche dichiara di essere disposta a prestare denaro) e Ois (un tasso con la stessa scadenza del Libor ma privo di rischio). L’allargamento della forbice tra i due indica una minore propensione a prestare denaro, una maggiore paura delle insolvenze e dei fallimenti. [Grafico 2]

 

Grafico 2

 

3. In verità basterebbe guardare ai macigni su cui poggia l’intera economia mondiale. Il debito mondiale è arrivato a toccare 247mila miliardi di dollari nel primo trimestre del 2018 (318% del Prodotto Interno Loro mondiale). Un terzo di questo debito è stato creato negli ultimi 10 anni, con le cosiddette politiche monetarie espansive. Si è stampato e prestato denaro per riavviare l’economia. Oggi questa montagna di debito rischia di schiacciarla nuovamente. Le aziende sono tra l’altro quelle che hanno aumentato di più il proprio indebitamento in termini relativi [Grafico 3]. 

 

Grafico 3

 

4 . Si è usato il credito facile per sostenere la ripresa. Questo lo rende inefficace in caso di crisi. Il mondo galleggia già su un mare di liquidità. Come un drogato di lungo corso, l’economia mondiale è già assuefatta ai tassi di interesse bassi.  Ancora peggio: ogni minimo segnale di rialzo dei tassi genera nuovi squilibri. L’economia Usa è in espansione. La Federal Reserve, la banca centrale americana, ha rivisto addirittura al rialzo le previsioni di crescita del Pil per il 2018, portandole al 3,8%. Un’economia in espansione dovrebbe permettere di allentare la politica creditizia espansiva. E così è: la Fed a settembre ha nuovamente ritoccato al rialzo i tassi. Questa lieve stretta del credito ha però generato crolli nel mercato azionario, per il timore della diminuzione di liquidità monetaria. Siamo al paradosso: la Borsa cala perché l’economia va bene.

5. L’economia è cresciuta sulla base del credito facile e dell’indebitamento. E senza di questi, non può continuare a crescere. Basti pensare che negli Usa il debito delle società non finanziare ha toccato il 45% del Pil, la stessa soglia del 2008 [Grafico 4]. L’aumento dei tassi rende più costoso rifinanziare tale debito.

 

Grafico 4

 

6. La fine del credito “facile” può incidere a sua volta sui consumi e ad andare ad aggravare i già pesanti segnali di sovrapproduzione. Si pensi al mercato dell’auto. Nel 2014 si calcolava una sovrapproduzione di 25 milioni di auto annue. Eppure nel 2015 e nel 2016 si sono segnalati record di vendita. La curva del credito Usa sull’acquisto di automobili ci può dare qualche indicazione su come questo sia accaduto: il debito per comprare automobili,ha toccato il picco di 1.160 miliardi di dollari a fine 2016 [Grafico 5].

 

Grafico 5

 

7. Al restringersi della torta, aumentano le tensioni su come dividerla. Comprensibile quindi l’aumento di tensioni protezionistiche e di guerre commerciali. Le quali a loro volta si trasformano in ulteriore fattore di crisi. Si prenda ad esempio la Turchia: la lira turca ha perso il 40% del proprio valore ad agosto in pochi giorni. Una caduta scatenata dalla rivalutazione del dollaro americano, che spinge nuovamente i capitali a spostarsi verso il mercato americano, e dai dazi doganali minacciati da Trump.

8. “Il mondo non ha imparato le lezioni dalla crisi finanziaria del 2008” scrive l’Economist. Sarebbe come chiedere ad un individuo di imparare a non respirare. L’intero processo è dato dalle contraddizioni inerenti al sistema. Tutte le misure “anticicliche” messe in piedi dopo la crisi del 2008 si sono tramutate nel proprio contrario: in potenziali inneschi della prossima crisi. La quale però non sarà una mera ripetizione del 2008. Ne sarà un approfondimento. Essa scaricherà ancora di più i propri effetti sul rapporto tra le classi e tra le nazioni.

9. Il record del debito mondiale coincide con il record mondiale di spesa in armamenti: 1739 miliardi di dollari nel 2017. Debito e armi: entrambe misure anticicliche, entrambi sfoghi necessari alla crisi del capitale, entrambi contemporaneamente medicina e malattia del sistema.

Gli Usa detengono il 35% della spesa in armamenti, mentre la Cina il 13%. La Cina però nel 2010 spendeva per l’intero bilancio della difesa appena 78 miliardi di Euro, contro i 685 degli Usa. Oggi spende 175 miliardi di dollari, contro i circa 700 degli Usa. Le tensioni tra Usa e Corea del Nord non sono che un lontano e grottesco riflesso di questo processo. Così come gli annunci buffoneschi di Trump sono nulla rispetto alle potenziali guerre commerciali future.

10. Un contesto internazionale destinato a ridurre ancora di più i margini di manovra del governo giallo-verde in Italia, ad accelerarne le instabilità interne, a evidenziarne senza pietà i tratti farseschi, chiarendone invece i tratti duraturi. Quello che rimarrà di questo Governo sarà un clamoroso sdoganamento delle peggiori politiche xenofobe. Tali politiche rispondono a un profondo fatto della lotta di classe: il sistema in avvitamento deve fomentare la guerra tra poveri per ritardare la lotta tra le classi. Il resto – i balconi, le dirette, le manine, e presunte misure progressiste – sarà presto un ricordo surreale. Ma di questo tratteremo poi.

 

Marxpedia

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.