Pubblichiamo la terza di tre parti di un dossier specifico a cura di Révolution Permanente sull’Arabia Saudita a partire dalla morte, per mano di agenti del governo saudita, del giornalista Jamal Kashoggi, sequestrato nel consolato saudita a Instanbul. Al di là dei dettagli dell’efferato omicidio perpetrato da un regime ultrareazionario, la morte di Khashoggi potrebbe avere conseguenze geopolitiche importanti per la Turchia, per l’Arabia Saudita e per il suo principale alleato, gli Stati Uniti. Qui la prima e la seconda parte.


Con la sua dichiarazione, Donald Trump ha dimostrato che gli Stati Uniti sono pronti ad intervenire nella questione dell’Arabia Saudita, giudicando credibile l’ipotesi della “rapina finita in omicidio” o degli “assassini-canaglia”, cioè l’ipotesi avanzata in un primo momento da Riyadh riguardo alla morte del giornalista Kashoggi. La domanda ora è se la Turchia farà lo stesso. Le due potenze sono in effetti rivali regionali in lotta per l’egemonia sui musulmani sunniti. Erdogan ha promesso di “rivelare tutta la verità” sull’omicidio del giornalista, ma si tratta più che altro di un tentativo di flettere i muscoli per non dare all’opinione pubblica internazionale un’immagine debole di sé e del proprio paese. In realtà, benché rivali, nessuna delle due potenze, Turchia ed Arabia Saudita, ha un diretto interesse geopolitico in una grande crisi diplomatica.

Una storia di rivalità regionali e di tensioni recenti

Dopo aver consolidato il potere a seguito del fallito colpo di stato del 2016, Erdogan sta cercando di ridare alla Turchia il ruolo di leader regionale in Medio Oriente. E per raggiungere questo obiettivo la Turchia intende contare, tra gli altri, anche sull’Islam politico, presentandosi come leader del mondo sunnita, un titolo cui aspira anche l’Arabia Saudita, per costruire alleanze strategiche in Medio Oriente. Questa rivalità tra Turchia ed Arabia Saudita è bene espressa dalle diverse posizioni che i due paesi hanno rispetto all’alleanza dei “Fratelli Musulmani” una importante corrente dell’Islam politico.

Come scrive “Geopolitical Futures”: “Le tensioni tra sauditi e turchi derivano in parte anche dai legami di Ankara con i Fratelli musulmani, un’organizzazione islamista sunnita a cui Riyadh in passato ha già aderito, ma cui ora si oppone. I Fratelli Musulmani promuovono la partecipazione dei cittadini alla vita politica e questo non può che rappresentare un problema per il regime saudita. Il sistema politico e istituzionale dell’Arabia Saudita si basa su una sorta di contratto sociale con il quale i cittadini sauditi rimangono al di fuori della politica e degli affari governativi, e in cambio ricevono generosi benefici statali. I sauditi sono pertanto diffidenti nei confronti dei Fratelli Musulmani perché di fatto promuovono quel tipo di attività politica che potrebbe minacciare la presa della monarchia saudita sul paese“.

Recentemente sono emerse nuove tensioni tra i due paesi a seguito al blocco imposto dall’Arabia Saudita al Qatar, paese che si sta lentamente avvicinando alla Turchia ma anche allo storico rivale iraniano. La manovra del principe bin Salman si è dimostrata un completo fallimento.

Ma in realtà, a dispetto di queste tensioni, nessuno dei due paesi ha un immediato interesse geopolitico ad indebolire l’altro e ad aprire una grave crisi diplomatica. Già impegnata nella costosa guerra in Siria – costosa in termini economici ed in termini di vite umane -, la Turchia non può permettersi di aprire un conflitto con l’Arabia Saudita. Sul fronte interno, il potere di Erdogan appare più fragile e vulnerabile a seguito della caduta della lira turca: il crollo della valuta e l’alta inflazione hanno reso il paese uno degli anelli deboli nel sistema finanziario globale.

Da parte sua il principe ereditario bin Salman affronta le difficoltà interne per riformare la struttura economica e politica del proprio paese ed è impegnato nella disastrosa guerra contro lo Yemen.

Se infine le due potenze sono tra loro rivali per l’egemonia regionale sul mondo musulmano sunnita, esse hanno però un importante interesse strategico nell’opporsi all’Iran, nemico comune.

Erdogan promette «tutta la verità»: mossa di facciata o manovra geopolitica?

Stando alla ferma dichiarazione del presidente Erdogan, Ankara non sarebbe disposta a lasciare impunito l’omicidio di un giornalista avvenuto sul proprio territorio. Tanto più che Koshaggi aveva stretti legami con la Fratellanza Musulmana, organizzazione sostenuta dalla Turchia. Un messaggio chiaro: la Turchia non permette che i suoi alleati vengano uccisi impunemente. Ma senza scivolare verso la crisi diplomatica.

Erdogan ha infatti dichiarato di “non avere alcun dubbio sulla sincerità di re Salman” che ha fatto arrestare i 18 membri dell’organizzazione responsabile dell’omicidio Kashoggi. Nei giorni scorsi la Turchia ha creato un gruppo di lavoro congiunto con l’Arabia Saudita per indagare sulla morte del giornalista, una strategia che dovrebbe evitare di infiammare ancor più la situazione e gettare i due paesi in una crisi diplomatica.

Le dichiarazioni di Erdogan mostrano insomma che almeno per il momento l’omicidio Kashoggi non metterà in discussione i principali interessi geopolitici che legano e oppongono i due paesi, due potenze regionali impegnate coi problemi derivati da costose guerre interne, ma il cui interesse comune contro il nemico iraniano impedisce di indebolirsi a vicenda.

Max Demian

Traduzione di Vera Pavlovna da Révolution Permanente

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.