Il governo giapponese, guidato da Shinzo Abe, ha fatto approvare dal parlamento lo scorso martedì il suo piano quinquennale per la Difesa, per un totale di 27.470 miliardi di yen, cioè 210 miliardi di euro, al fine di rinnovare il proprio equipaggiamento militare. Un aumento della spesa militare notevole, che però si inserisce in una serie di espansioni di questo settore di spesa dello Stato giapponese che dura da anni.

La flotta giapponese vedrà l’evoluzione delle sue due navi porta-elicotteri a vere e proprie portaerei, che mancavano all’arsenale del Sol Levante sin dai tempi della seconda guerra mondiale, dopo che aveva perso quella che era stata una delle flotte più formidabili del periodo. Il piano è quello di acquistare 42 velivoli stealth (progettati per eludere i radar e i sistemi di difesa terra-aria), oltre a 4 aerei di rifornimento Pegasus KC-46 della Boeing e due sistemi, adattati per l’uso a terra, del sistema di difesa aerea Aegis Ashore, di produzione statunitense, per proteggersi dalla minaccia dei missili balistici intercontinentali nordcoreani.

 

Venti di guerra nel Mar Cinese orientale: il Giappone cerca un nuovo ruolo

Il salto negli investimenti militari del Giappone – paese con un budget statale piuttosto limitato in rapporto al PIL, e con una spesa militare tradizionalmente bassa legata al ruolo di alleato militare minore degli USA dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale – è motivato dalle preoccupazioni verso l’aumento della presenza di navi militari cinesi nel Mar Cinese orientale, cioè quel lembo di mare su cui si affacciano Cina centrale, la Corea del Sud, il Giappone e Taiwan: un crocevia tra i mari del nord (dove incrociano anche Russia e USA) e quelli del sud, dove le contese territoriali, i traffici commerciali e la presenza di vicini si moltiplicano.

A fronte di uno scenario asiatico ben diverso da quello di settant’anni fa, con una Cina che è ora una potenza non solo economica e demografica, ma anche nucleare e navale (e una Corea del Nord imprevedibile che gode della sua protezione), il governo giapponese dà segno di voler superare definitivamente il “sistema di difesa nazionale” approntato nel 1945 sotto l’ombrello USA: anche il Giappone non è più il paese devastato dalla guerra e tutto da ricostruire, ma una potenza imperialista che, seppure in declino su vari fronti rispetto ai fasti di qualche decennio fa, non può accontentarsi di condurre la propria politica estera e militare come variabile dipendente di quella USA, che non sono più la grande potenza incontrastata degli anni Novanta.

In questo senso, un portavoce del governo giapponese ha rilasciato questa dichiarazione, in occasione dell’approvazione dello stanziamento di questi fondi: “Abbiamo bisogno di sviluppare capacità di difesa veramente efficaci, piuttosto che di estendere semplicemente le nostre capacità tradizionali. Assicureremo, sia in quantità che in qualità, i sistemi di difesa necessari per rispondere al rapido cambiamento delle nostre condizioni di sicurezza”.

La perdita d’egemonia degli americani, insomma, non solo corrisponde all’aumento di insidie geopolitiche e militari da più parti (Corea, Cina, Russia…), ma alla possibilità di un nuovo ruolo geopolitico, qualitativamente diverso, che il governo giapponese spera di potersi ritagliare, mettendosi alle spalle la “globalizzazione armoniosa”, pilastro dell’ideologia neoliberale schiantatasi contro la riemersione delle rivalità inter-imperialiste attorno al globo.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.