“Avevate paura della Guerra Fredda ai tempi dell’Urss? E ora non avete paura? La questione è seria e la tendenza a sottovalutarne la minaccia, è in crescita. […] Molto difficile prevedere cosa accadrà con il tramonto del trattato sui missili a medio e corto raggio. Certo, se i missili compariranno in Europa, la Russia saprà difendersi. […] Una cosa molto pericolosa, […] spero che la saggezza prevalga”.

Queste le parole di Vladimir Putin, presidente della Russia, alla conferenza di fine anno tenuta all’International Trade Center di Mosca davanti a ben 1702 giornalisti accreditati: un discorso segnato dalla tensione in crescita fra NATO e Russia sullo sfondo dell’escalation di forze militari NATO che sono schierate e compiono esercitazioni a ridosso delle frontiere con la Russia.

L’elemento che sta accelerando questa dinamica di tensione e che ha stimolato questa dichiarazione allarmistica di Putin è la possibile installazione di missili nucleari “a bassa potenza” nell’Europa orientale da parte della NATO.

Una “crisi dei missili” che in effetti ricorda situazioni da Guerra Fredda, come quando si sfiorò il conflitto nucleare durante la crisi dei missili cubana del 1962. Ma quale è la situazione precisa che sta provocando l’aumento della tensione politico-militare tra Russia e NATO?

 

Lo scenario instabile alimentato dall’amministrazione Trump

La presidenza Trump resterà nella storia, se non per altro, per la sua politica di revisione e rottura dei trattati e degli equilibri economici, militari, geopolitici consolidatisi durante il doppio mandato Dem di Barack Obama. Al grido di America First (“Prima l’America”), Trump ha incarnato la volontà di un settore della classe dominante statunitense di intervenire in modo dirompente per riconquistare un ruolo egemone degli USA in un mondo che, al contrario, da anni va verso una situazione più instabile, multipolare, con una rinnovata situazione di rivalità inter-imperialistiche e di crisi delle vecchie istituzioni e dei vecchi equilibri (di cui l’UE e il caso Brexit costituiscono un caso esemplare).

Sul piano militare, la politica Trump è ugualmente intervenuta in modo aggressivo, a volte più a parole che nei fatti, su un po’ tutti i fronti che rimanevano aperti: Corea, Medio Oriente, Cina, Libia, Russia… nell’ultimo caso, creando anche frizioni con gli stessi alleati NATO, invitati da Trump a sostenere una quota maggiore delle spese per l’aumento dello sforzo bellico alla frontiera con la Russia, in una contrapposizione che, più sul piano mediatico che su quello militare vero e proprio, ha messo in ombra la priorità data dagli strateghi USA al confronto con la Cina, potenza economica (e non solo economica) più rilevante della Russia, oggi.

Un aumento della tensione, quello tra USA e Russia, avvenuto nonostante il verificato favoreggiamento dell’amministrazione Putin verso Trump quando era candidato alle elezioni presidenziali: un candidato che sicuramente rappresentava un potenziale avversario meno inflessibile e determinato rispetto a Hillary Clinton. Fatto sta che la corsa agli armamenti sul fronte orientale è continuata, parallelamente peraltro al processo di scontro militare indiretto in Siria, in un territorio cruciale sotto molti aspetti per entrambe le potenze. Uno scenario che ha causato nelle poche ore un imprevisto non indifferente nel quadro politico generale dell’amministrazione Trump: dopo aver tentato inutilmente di convincere il presidente a non procedere col ritiro delle truppe di terra stanziate in Siria (perlopiù nel Kurdistan siriano), il Ministro della Difesa Jim Mattis si è dimesso, e sarà materialmente sostituito a partire dal mese di marzo.

 

INF, un altro trattato rotto da Trump

L’accusa di Putin rispetto a un’accelerazione pericolosa dell’aggresività NATO in Europa dell’Est non è derubricabile a fake news o a mera propaganda: Trump ha effettivamente annunciato, lo scorso 20 ottobre, di voler uscire dal trattato bilaterale che regola le procedure relative ai missili balistici di medio raggio. Il 4 dicembre, perlopiù il Segretario di Stato Mike Pompeo ha mosso contro la Russia l’accusa di mancato rispetto del trattato, ponendo allo stesso tempo una condizione politica: gli USA terminerebbero la sospensione unilaterale dell’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty se la Russia “tornasse alle condizioni del trattato entro 60 giorni”, cioè se smantellasse qualsiasi missile balistico e da crociera, con gittata dai 500 ai 5.500 chilometri, in suo possesso: condizioni firmate nel 1987 fra Michail Gorbačëv e Ronald Reagan.

Mosca ha definito questa mossa un pretesto per disfare il trattato: secondo Putin, gli USA non hanno fornito nessuna prova “della presunta violazione della Russia del Trattato sull’eliminazione dei missili a medio e corto raggio”; anzi, sarebbero gli USA a violare da tempo il trattato. D’altronde, l’accusa di violazione del patto era già stata mossa alla Russia durante l’amministrazione Obama, però senza attuare alcuna disposizione pratica, al tempo, per la rottura del trattato.

Rimane però il dato di fatto che, durante l’amministrazione precedente quella attuale, Putin ha promosso un programma di riarmo della Russia di notevoli proporzioni, che è culminato lo scorso marzo, a sole tre settimane dalle elezioni che lo avrebbero riconfermato, con l’annuncio dell’entrata nel parco missili della Russia, oltre ad altri modelli, di un nuovo modello intercontinentale, lo RS-28 Sarmat che, a detta del presidente russo, è in grado di penetrare le difese antimissili americane grazie alla sua velocità supersonica. Un missile a lunga gittata, dunque non regolamentato dal trattato con gli USA: un trattato che attualmente penalizza perlopiù questi ultimi sul piano internazionale, dato che esso non regola i rapporti con la Cina, la quale sta cercando di recuperare a tappe forzate (forte della notevole somma di denaro che può permettersi di investire in campo militare) il dislivello che la separa dagli USA (e, limitatamente, anche da altre potenze militari maggiori) in diversi campi dello sforzo bellico, missili compresi.

 

La mossa di Putin e la possibilità di una crisi

“Il mondo oggi sottovaluta il rischio di una guerra nucleare, la nostra superiorità nella difesa missilistica serve a mantenere la parità strategica, ma se arriveranno i missili in Europa, l’Occidente non squittisca se reagiremo”: così, in ultima istanza, Putin ha spiegato la necessità strategica di questa sua corsa all’armamento missilistico, e alla difesa della posizione di forza conquistata di fronte alle minacce di Trump e Pompeo. L’azzardo di Putin, in sé sicuramente pericoloso in un frangente geopolitico internazionale dove il Medio Oriente (altro scenario di intervento russo) non ha certo finito di produrre instabilità e crisi, si combina a un realismo di solito non riscontrabile nel suo rivale Trump: il russo confida ancora “nel buon senso dell’umanità per evitare il peggio” e segnala la concreta possibilità, col proliferare di missili balistici nucleari, di una “catastrofe che porterebbe alla morte la civiltà così come la conosciamo”. Uno scenario che in realtà è rimasto possibile, assolutamente non irrealistico, da quando, un mezzo secolo fa, l’umanità dispone di un numero sufficiente di bombe nucleari per devastare la superficie del pianeta e il suo ecosistema.

Ancora più netto e drastico era stato, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Dimitrij Suslov, stratega fidato di Putin e direttore del Centro di studi europei e internazionali della Scuola superiore di economia di Mosca: “Il clima è di scontro. […] Una cosa è certa: un piano americano di spiegamento di questi ordigni, per esempio in Polonia, per Mosca non sarebbe solo inaccettabile, ma sarebbe considerato dal Cremlino casus belli, un atto di guerra”.
Suslov ha usato parole così forti partendo dal presupposto che la Russia sarà disposta a rendere colpo su colpo a qualsiasi confronto “duro” degli USA, contando sul fatto che, in un mondo multipolare dove gli stessi USA non posso farsi monopolizzare dallo scontro con la Russia, gli interessi materiali della borghesia americana e della sua politica sono quelli che meglio servono la causa dell’intervento pronto e devastante, se necessario, in varie situazioni di guerra potenziali, con scenari ad alleanze e zone di conflitto variabili: incaponirsi su questo trattato missilistico non rientra nelle conseguenze logiche di tale situazione, se la priorità oggettiva immediata è contenere la Cina che continua ad espandersi a danno in primis degli USA.
Forse è presto per affermare che questa volta Russia e USA rischiano di andare oltre il “solito” scambio di accuse e messaggi infuocati sui media, e che la corsa agli armamenti rischia seriamente di andare fuori controllo, ma è innegabile che maturano sempre più le condizioni per una “crisi dei missili” in Europa dell’est, e per situazioni di tensione molto alta tra gli USA (e il blocco NATO) e la Russia, specie fintantoché Trump sarà al governo e cercherà di guadagnare consensi in patria a colpi di dichiarazioni da padre padrone pronto a farla pagare ai perfidi e pericolosi russi.
Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.