Non possiamo non scrivere due righe (e anche più) in difesa dei cinque attivisti torinesi coinvolti in una vicenda assurda e surreale: Davide Grasso, Maria Edgarda Marcucci, Jacopo Bindi, Paolo Andolina e Fabrizio Maniero hanno eroicamente combattuto l’Isis in Syria nelle fila dell’YPG curdo e sono stati per questo considerati dalla Digos italiana “un pericolo per la sicurezza pubblica”.

 

La notizia, che sta facendo il giro del web e dei social con post di solidarietà che circolano tra i compagni, arriva a distanza di diversi mesi dal contributo alla guerra. Nel frattempo nessuno di loro aveva fatto mistero di quella ”missione”: molti avevano infatti colto l’occasione per fare del contributo militare un contributo giornalistico da una prospettiva ”indipendente” (uno di loro, Davide Grasso ha anche scritto e presentato più volte ben due libri sul tema: Il fiore del deserto e Hevalen. Perché sono andato a combattere l’Isis in Siria). 

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Ma per il magistrato Emanuele Pedrotta, le esperienze maturate in Siria sono tali da rendere i soggetti potenzialmente pericolosi (specialmente in virtù del loro attivismo politico e sociale in Italia): una vera e propria repressione preventiva nonché l’ inizio di un processo alle intenzioni fondato su insinuazioni, pregiudizi e supposizioni faziose (politicamente interessate). In particolare la Procura di Torino ha notificazio una richiesta di sorveglianza speciale, il che vuol dire, qualora venga accolta, ritiro della patente e del passaporto, divieto di iscrizione ad ogni albo professionale, divieto di incontrare più di 3 persone per volta, di stare fuori casa dopo una certa ora, di incontrare persone con condanne (valgono anche occupazioni, picchetti, blocchi stradali…) e infine alcuni obblighi, come quello presentarsi alle autorità di sorveglianza nei giorni stabiliti e ogni qualvolta venga richiesto.

Le principali:

a) Una improbabile analogia tra contesto di guerra siriano e quello dell’attivismo politico torinese e la conseguente supposizione (fondata su cosa?) che le conoscenze militari acquisite sul campo in Siria potrebbero essere adoperate in Italia. 

b) L’accusa di aver violato leggi italiane in un Paese straniero dove in un stato di guerra in teoria non vige nessuna legge.

c) L’accusa di una supposta ”pericolosità” dovuta all’aver appreso l’arte militare sul campo di battaglia potrebbe essere applicata in egual modo a tutti quei cittadini italiani che sono stato sottoposti a un qualche tipo di addestramento militare (e sono milioni di uomini se pensiamo a coloro che hanno partecipato al servizio di lega obbligatoria e migliaia se si pensa a coloro che attualmente sono nel corpo militare per non parlare di quelli che sono in missione). Perché non viene fatto?

Ancora una volta, la giustizia borghese è disposta a fare delle eccezioni alle sue stesse garanzie quando si tratta di ”temi caldi” perché troppo politici (i primi tre attivisti menzionati in alto sono infatti riconducibili al CSO Askatasuna, gli altri due sono anarchici del Barroccio Occupato).

Nonostante la solidarietà incondizionata agli attivisti colpiti da queste misure e l’ammirazione per il loro eroismo rivoluzionario, dobbiamo però precisare alcune questioni riguardanti la questione siriana e l’YPG per cui hanno combattuto.

Le milizie curde sono politicamente legate al PPK e al tempo stesso collaborano con gli Stati Uniti (non a caso Trump ha tentato di marginalizzare il ruolo del PPK). La cooperazione con gli Usa, sebbene militarmente tattica, è rischiosa da un punto di vista politico. La direzione del movimento curdo non è attualmente guidata da un programma socialista e le strutture consiliari del Rojava sono istituzioni cooperative con un mandato politico, non sono soviet. In altre parole, la questione in Siria non è solamente militare, ma anche organizzativa e programmatica, in altri termini politica. Per dirla con Trotsky, il problema è che il “contenuto sociale del potere” non è nelle mani dei lavoratori e dei contadini, per una reale indipendenza dagli imperialismi, dall’ISIS così come da Erdogan e Assad i curdi devono dotarsi di un programma socialista.

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Matteo Iammarrone

 

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.