Lo scorso 6 gennaio abbiamo assistito alla 76esima edizione dei rinomati Golden Globes; premio cinematografico che lascia intuire chi saranno i vincitori dei tanto osannati Premi Oscar. Nella categoria “miglior attrice femminile in un ruolo drammatico”, ha trionfato Glenn Close, una maestra dell’arte drammatica, troppo spesso sottovalutata. L’attrice stringe il globo grazie alla sua interpretazione nel film “The wife” firmato dal regista svedese Bjorn Runge, ruolo che le permette di regalarci un meraviglioso discorso di ringraziamento, di cui riporto uno spezzone:

Ho imparato da tutta quest’esperienza che noi donne siamo viste come allevatrici. Questo è ciò che si aspettano da noi. Abbiamo i nostri figli, i nostri mariti, se siamo abbastanza fortunate, i nostri partner… Ma dobbiamo trovare la soddisfazione personale. Noi dobbiamo seguire i nostri sogni. Noi dobbiamo dire, ‘Ce la posso fare’ e dovrebbe esserci permesso di farcela.

“The wife”, di fatti, parrebbe proprio un film sull’emancipazione femminile. La pellicola narra la storia del professore e scrittore Joe Castelman (Jonathan Pryce) e di sua moglie Joan (Glenn Close), una coppia solida e ancora molto innamorata, nonostante l’avanzata età. All’inizio del film, il professore riceve una telefonata di congratulazioni in quanto vincitore del Premio Nobel per la Letteratura. I coniugi celebrano la lieta notizia con una festa e poi si preparano per raggiungere Stoccolma e partecipare alla premiazione. Li seguirà il giornalista Nathaniel Bone, da sempre sulle tracce della coppia, perché in cerca di conferme su svariate speculazioni che riguardano il vero autore dei libri di Joe Castelman. In più occasioni, di fatti, Joe non riesce a sostenere analisi critiche sulla trama dei propri romanzi, arrivando persino a non ricordare i nomi dei personaggi da lui creati. Arrivati nella capitale svedese, la coppia di innamorati che tanto pareva essere solida, comincia lievemente a sgretolarsi. Joan è irrequieta, tenta il più possibile di trascorrere del tempo lontana dal marito e dai fasti delle prove per il Nobel. Un pomeriggio Joan decide di prendere un drink con Nathaniel, lasciandoci intuire che i romanzi di Castelman nascondono qualcosa di non detto. Nathalien è vicino allo scoop ma, al momento della domanda diretta :- È lei l’autrice dei libri, Mrs Coleman? – Joan risponde con una risata e va via.

Finalmente arriva il giorno della premiazione. Durante tutta la mattinata Joan è intrattabile, quasi non sopporta la vicinanza del marito, tanto da chiedergli di non ringraziarla durante il discorso di ringraziamento. Ovviamente Joe non obbedisce e le dedica un lungo elogio, nel quale le parole madre e moglie rimbombano su un volto pronto tuonare della stessa Joan. I coniugi tornano in albergo, dando inizio ad una lite furiosa, in cui viene fuori tutta la verità: Joan è la vera ed unica autrice dei libri.

 

Una mancata emancipazione

In pieno #metoo, una trama simile non può far altro che destare la curiosità di tutt* noi. Tuttavia il film non regge il compito affidatoli. Durante il litigio finale, Joe è colto da un infarto, morendo. Joan e suo figlio tornano in America. Sull’aereo del ritorno Nathalien approccia la scrittrice chiedendole il permesso di rivelare pubblicamente la verità. Quale sarà la scelta di Joan? La signora Coleman impedisce al giornalista di annunciare il vero, per non nuocere alla memoria del defunto marito.

Joan Coleman, come una moderna Clara Schumann, scegliere di restare nell’ombra e di continuare ad interpretare il ruolo di moglie di un uomo geniale.

Durante lo scorrere della pellicola, assistiamo anche all’incontro tra i due protagonisti, tramite l’uso di flashbacks. Joan era l’alunna più dotata del corso di scrittura creativa del brillante ed affascinante professor Coleman. Il docente la corteggia, anche se unito in matrimonio con un’altra donna, la elogia fino a sedurla definitivamente. I due si sposano, lei viene assunta come segretaria in una casa editrice, riuscendo a proporre il manoscritto del marito. Tuttavia quel manoscritto, che inizialmente è privo di qualsiasi struttura o idee, diventa degno di pubblicazione perché riscritto da Joan. Il loro matrimonio sarà tutto così: Joan reclusa nello studio a scrivere e Joe con i bambini e il proprio nome stampato sui libri e sulle mille recensioni che lo esaltano a genio della letteratura. Joan è sempre stata vittima di un uomo che esercitava un tipo di potere sociale (prima come docente, poi come marito) decidendo di non ribellarsi mai, perché il ruolo di una donna è quello di madre e moglie.

Perché, quindi, non assistiamo ad una rivalsa di questa donna? Alcune recensioni parlano dell’impossibilità di tornare indietro per l’età avanzata e l’accettazione del proprio destino. Questo tipo di messaggio è tutto ciò che andrebbe evitato in un clima politico come quello odierno, nel quale ogni donna, fanciulla o anziana, ha il diritto e il dovere di alzare la testa e combattere per le proprie ambizioni. I 72 anni di Joan non devono essere un ostacolo, ma lo diventano, in un film la cui blanda sceneggiatura è sorretta solo dalle maestose interpretazioni di Glenn Close e Jonathan Pryce.

Restiamo stupiti anche davanti alla scelta dell’attrice protagonista. Glenn Close è una signora che incarna personaggi femminili forti ed emancipati sin dalla nascita della sua carriera cinematografica, si pensi ad “Attrazione fatale”, “Le relazioni pericolose”, “Amleto” o “La tentazione di Venere”. Nel 2018 la ritroviamo in un ruolo del genere, che soffoca tutti i personaggi da lei precedentemente interpretati. L’unico momento in cui davvero assistiamo ad un atto di ribellione da parte di Joan, avviene durante il discorso di ringraziamento per il Nobel, momento in cui la telecamera dedica un primo piano alla protagonista. Quel volto crucciato, che pare essere preso a schiaffi da ogni sillaba pronunciata dal marito, riassume tutto ciò che Joan ha passato e che vorrebbe distruggere, e potrebbe farlo, proprio lì, in quella sala colma di critici ed intellettuali. Potrebbe ma, come già visto in questa recensione, non lo fa.

In conclusione, questa pellicola ha la sua pietra d’angolo proprio nel volto di Glenn Close, un’attrice ingiustamente ignorata dall’Academy, tenuta troppo tempo nell’ombra, proprio come Joan Coleman.

Sabrina Monno

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.