E’ il 28 gennaio. Göteborg, la piu importante città portuaria della Scandinavia, è innevata. I bus dei lavoratori del porto si dirigono dalla periferia verso Stora Teatern, “uno dei punti più centrali della città, tra quelli raggiungibili”. Nonostante il gelo, la manifestazione per la rivendicazione del contratto collettivo (e contro le limitazioni al diritto di sciopero) ha ricevuto grande attenzione da parte di lavoratori e simpatizzanti. “La nostra capacità di influire sulle decisioni e i nostri diritti come sindacato devono esseri pari a quelli dei sindacati intercategoriali”, afferma Robert Lindelöf, portavoce del sindacato “Hamnarbetarförbundet”.
Di seguito riportiamo la traduzione italiana del reportage della giornalista Julia Lindblom.


Condizioni inaccettabili per qualsiasi sindacato

“Molti sono rimasti delusi quando Sveriges Hamnar (l’azienda portuale) ha dato il via alla sua politica di chiusura la scorsa primavera. Improvvisamente ci siamo trovati fuori da ogni tipo di dialogo e collaborazione. Specialmente in quei porti dove il rapporto con il datore di lavoro del posto era stato positivo, un simile cambio di passo arriva come una doccia fredda”. Questo il commento di Karin Hallberg, che lavora come addetta nel reparto quattro.
Karin si riferisce alla serrata (“lockout” in svedese e inglese) con la quale l’azienda ha risposto dopo l’annuncio delle rivendicazioni di sciopero del 27 e 28 Gennaio. Il provvedimento, che ha visto i lavoratori sindacalizzati di Hamnarbetarförbundet fuori dal proprio posto di lavoro, ha avuto come conseguenza una escalation del conflitto.
L’annuncio dell’azienda riguardo alla serrata implica che il porto di Göteborg chiuderà per il doppio del numero di ore scioperate dai lavoratori. Calcolando il numero di ore di sciopero in tutto il Paese si arriva fino ad ora a 393 ore.

“Se Sveriges Hamnar è davvero un nodo centrale dell’economia della Svezia, allora è sorprendente che scelgano di agitare gli animi e far esplodere il conflitto in questo modo.” E aggiunge: “molti hanno da programma alcune ore da coprire stasera, ma si fa a malapena in tempo a cambiarsi i vestiti che il turno è già terminato”.

A fine Gennaio numerosi scioperi si sono registrati nei porti di tutto il Paese. E il 28 Gennaio la forza di quel movimento ha raggiunto il centro di Göteborg. L’obiettivo del sindacato dei lavoratori del porto (Hamnarbetförbundet) è di ottenere un contratto collettivo di categoría. Solo lo scorso anno Hamnarbetarförbundet si è trovata ben sette volte attorno al tavolo delle trattative e l’ultimo tentativo di mediazione si è concluso proprio pochi giorni prima del 28 Gennaio.

“Come sindacato non possiamo comprometterci con chicchessia. La nostra capacità di influire sulle decisioni e i nostri diritti come sindacato devono esseri pari a quelli dei sindacati intercategoriali”, dichiara Robert Lindelöf, portavoce dei lavoratori del porto.

In una conferenza stampa, scrive Matthias Dahl, portavoce dell azienda: “il nostro obiettivo è porre fine allo sciopero. A tal proposito abbiamo proposto a Hamnarbetarförbundet un contratto alternativo che in teoria soddisfava tutte le loro rivendicazioni”. Ma Robert Lindelöf non ha alcun dubbio che abbiano fatto la cosa giusta rigettando la proposta alternativa e annunciando lo sciopero dopo la mediazione. La proposta infatti, come Lindelöf spiega, prevedeva la rinuncia da parte di Hamnarbetarförbundet della possibilità di stipulare accordi nei porti locali (su questioni che possono riguardare di tutto, dai turni al personale etc…).

“Se avessimo detto sì all’accordo alternativo, avremmo rinunciato al diritto di scegliere i nostri membri a livello locale e quello di fare appello al Tribunale del Lavoro in caso di necessità. Tali condizioni sono inaccettabili per qualsiasi sindacato.”

Al corteo del 28 Gennaio c’erano i lavoratori del porto, ma anche ex lavoratori in pensione, seguiti da simpatizzanti, famiglie e gran parte della sinistra locale.

Albert Aliti ha 26 anni e insegna in una scuola superiore. E’ uno dei lavoratori di altri settori venuto a portare solidarietà alla manifestazione.
“Penso che lo sciopero del porto sia super-importante, soprattutto dopo la nascita del nuovo governo. Ora che vogliono cambiare i diritti dei lavoratori e le leggi del mercato del lavoro, c’è un alto rischio che la legislazione sul divieto di sciopero sia accelerata. Inoltre, se questo divieto dovesse passare come legge, la libertà di associazione ne risulterebbe gravemente lesa: uno non potrebbe scegliersi il proprio sindacato. Nel mio settore abbiamo per esempio due sindacati: Lärarförbundet e Lärarnas Riksförbund.”

La manifestazione prosegue a Piazza Gustav Adolf dove i portuali si radunano davanti al palazzo della Borsa. A partire da Aprile il sindacato è stato escluso da ogni tipo di partecipazione al luogo di lavoro. Non meno di diciassette addetti alla sicurezza hanno perso il diritto di fare i routinari giri di controllo, il tutto a danno della sicurezza dei lavoratori. Erik Helgeson, uno dei leader del sindacato, sottolinea l’ipocrisia di Ylva Johansson, ministro del lavoro, che dichiara di voler ridurre il rischio di incidenti mortali sul posto di lavoro, ma al tempo stesso rende più difficile la vita degli addetti alla sicurezza mandati dal sindacato.

“Al porto di Älvsborg il 90 % della produzione è nelle mani dei nostri lavoratori, ma da Aprile siamo esclusi dai giri di controllo e dalle commissioni di analisi dei rischi e indagini sugli incidenti che avvengono.
Abbiamo avuto un sacco di pazienza e provato a risolvere questa situazione attraverso dialoghi e negoziati, che non abbiamo mai ottenuto nei tempi e nei modi stabiliti da noi, ma siamo stati invece costretti a richiamarci al decimo paragrafo della Medbestämmandelagen (una sorta di Statuto dei lavoratori svedese, conquistato nel 1976).”

Questo ed altro ha gridato Erik Helgeson al megafono nel corso della manifestazione.
Lars Henriksson è un altro operaio che ha preso parte all’iniziativa di protesta. Lars lavora alla Volvo ed è funzionario alla sicurezza del sindacato IF Metall.
“Il movimento operaio” grida al megafono “si basa sul principio di solidarietà tra lavoratori a dispetto della loro organizzazione di appartenenza. E’ da un po’ che va avanti il tentativo di minare il diritto di sciopero, il che avrebbe serie conseguenze per tutti i lavoratori.”

Al termine della manifestazione vengono raccolti gli striscioni. Molti stanno per tornare al porto, ma lavoreranno solo mezz’ora, a causa del blocco da parte dell’azienda.
Erik Helgeson fa notare come Hamnarbetarförbundet sia diventato un punto chiave nel dibattito sulla restrizione del diritto di sciopero.

“Sembra che si stia cercando di strumentalizzare la nostra lotta al fine di porre limiti al diritto di sciopero. Tuttavia, la nostra lotta non può essere ridotta alla questione del diritto di sciopero: ha senso discutere di questo infatti solo a partire da un contratto collettivo valido. Per il momento dunque in ballo non c’è solo il diritto di sciopero, che rimane al margine”
Dopo lo sciopero di Göteborg ci sono state manifestazione anche a Halmstad e Mönsterås e il 30 Gennaio le parti si sono riunite per un nuovo tentativo di mediazione. Allo stesso tempo il sostegno di altri settori di lavoratori è arrivato puntuale, come quello da parte dei ferrotranvieri francesi.
“La Svezia rimane un Paese democratico con libertà di associazione e l’autonomia dei salariati deve essere rispettata. Per questa ragione anche noi dobbiamo essere parte delle trattative sui posti di lavoro e su questo punto non cederemo” conclude Erik Helgeson. 


Questo reportage ritrae solo uno spaccato, seppure piuttosto ampio, della vicenda e che la solidarietà è giunta non solo dai ferrovieri francesi (ed è sempre positivo quando arriva da oltre confine), ma anche dai lavoratori svedesi del settore cultura che hanno espresso la loro vicinanza attraverso uno striscione e un intervento della portavoce Frida Klingberg che ha dichiarato che Hamnarbetarförbundet (il sindacato dei lavoratori del porto di Göteborg) è “una associazione che lavora attivamente per mettere la democrazia in pratica”.

Dai toni di quest’ultima dichiarazione, si può dedurre come il rischio di questa lotta sia quello di giocare eccessivamente «sulla difensiva», di rivendicare cioè il mero ripristino del funzionante compromesso socialdemocratico di qualche decennio fa, a nostro parere improponibile oggi che il capitalismo anche in Svezia comincia a mostrare il suo volto più feroce, e ci costringe ad accettare il peggioramento delle nostre condizioni al suo interno, oppure a rinunciare totalmente ad esso, passando ad un altro sistema economico, politico e sociale.

Questa lotta, nonostante i suoi limiti, rimane importante perché coinvolge un settore centrale dell economia scandinava (nonché quello più sindacalizzato), ma necessita di una prospettiva più ampia così come di connettersi ad altre istanze che, però al momento, risultano ancora dormienti nella società svedese (per esempio i problemi dei migranti segregati nelle periferie o quello delle espulsioni o degli alloggi, quest’ultimo riguardante anche i nativi svedesi).

Per quanto riguarda la rappresentanza politica poi, Ylva Johanson, menzionata nel reportage è stata ministra del lavoro del precedente governo socialdemocratico e, nonostante la batosta elettorale, continua ad esserlo nel nuovo governo di liberali, di centro e, di nuovo, socialdemocratico. Questo nuovo governo, oltre a continuare ad attaccare il diritto di sciopero, come si evince dal reportage, aumenterà l’età pensionabile e ha già escluso migliaia di disoccupati (nativi e non) dallo svolgere lavori di pubblica utilità che gli garantivano un sostegno temporaneo (attraverso la controriforma di Arbetsförmedligen).

Vänsterpartiet, la principale forza elettorale a sinistra dei socialdemocratici, ha sostenuto (sebbene criticamente) questo governo, e questo non va dimenticato.

E’ possibile che la grande speranza per il rovesciamento del capitalismo in Svezia risieda dormiente proprio in questo tipo di lotte, per questa ragione nonostante i limiti che abbiamo brevemente menzionato, le potenzialità di questo « piccolo » gruppo di operai (piccolo solo se comparato al resto della popolazione inerte) non vanno sottovalutate, così come non va sottovalutata la difesa del diritto di sciopero come parola d’ordine, ma bisogna anche andare oltre.

 

Traduzione a cura di Matteo Iammarrone

Nato a Torremaggiore, in Puglia, nel 1995, si è laureato in filosofia all'Università di Bologna. Dopo un master all'Università di Gothenburg (in Svezia), ha ottenuto un dottorato nella stessa città dove tuttora vive, fa ricerca e scrive come corrispondente de La Voce delle lotte.