Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di un giovane compagno che ha vissuto l’esperienza del lavoro in nero, similmente a milioni di immigrati negli Stati Uniti, tra costi di vita insostenibile ed emarginazione.


Mi domando spesso quali siano per il soggetto politico le priorità di questa fase storica e di quanto sia complesso il mondo e le relazioni in cui siamo immersi. A mio avviso è necessario ricercare nell’immenso oceano di variabili che ci inondano ogni giorno, le costanti che ci mettono tutti a sistema: i nostri bisogni. E di conseguenza il tempo e i soldi che inevitabilmente servono per soddisfarli. Bisogni, tempo e denaro. Eccole qua, le nostre costanti. Ci servono per semplificare senza banalizzare, o almeno ci proviamo!

Questo tipo di premessa serve in generale ma soprattutto se si vive in una grande metropoli del mondo, anche se per un breve periodo, dove la densità abitativa e i flussi di capitale fanno emergere la vera faccia del capitalismo, l’alienazione. A New York ci ero già stato molti anni fa ma ancora la mia lente sul mondo era molto ingenua e sfocata, essendo ancora un ragazzino e con le “spalle coperte” della famiglia. Adesso, dopo qualche anno e nove mesi di permanenza nella grande mela, posso provare a delineare uno straccio di analisi sul feticismo e sullo sfruttamento che la società sta pian piano assumendo, specialmente nel paese a capitalismo più avanzato del pianeta. Il fiuto delle tendenze in atto in questo paese potranno servire in futuro (chissà quanto prossimo), ai movimenti sociali che dovranno prendere posizione rispetto al ritmo che il capitale sempre più ci impone. Anni addietro qualcuno diceva che il capitale è contraddizione in processo. Il nostro umile ed ambizioso compito è quello di anticipare gli scricchiolii che di giorno in giorno ci fanno sentire di stare vivendo un momento peculiare della storia. Un istante che nel bene o nel male potrebbe cambiare il corso degli eventi come non è mai successo prima: stiamo parlando della più grande cosa di sempre, in potenza, di una rivoluzione mondiale.

L’ingresso negli USA è garantito per tre mesi col visto turistico ESTA, dopo di che si deve uscire per non restare over-term; personalmente ho scelto di fare già tre ingressi intervallati da uscite sempre nel termine dei novanta giorni. Il tutto dipende da quanto tempo si resta fuori dal paese prima di rimetterci piede. La terza volta che sono rientrato sono stato fermato dalla polizia della dogana, mi hanno interrogato, chiesto perché dopo sei mesi di permanenza nel paese stessi rientrando ancora, temendo che vi lavorassi illegalmente. Ti guardano il telefono cercando foto o conversazioni che possono in qualche modo compromettere la tua posizione, vogliono vedere i tuoi conti correnti per essere certi che una volta lasciato entrare tu non commetta qualche reato per mantenerti in vita. Dopo qualche ora di battaglia psicologica hanno deciso di lasciarmi entrare facendomi capire che nel caso in cui fossi uscito di nuovo, sarei dovuto restare in Italia per diversi mesi prima di poter tornare negli USA, altrimenti si può rischiare di essere bannati per almeno 5 anni dal paese. La scelta che mi si porrà davanti la prossima volta che vorrò mettere piede nel paese sarà quella di far scadere il visto e di restare “illegale” per un periodo di tempo che mi permetta di accumulare un capitale sufficiente ad aprire un’ attività in Italia o a comprare un piccolo appartamento da mettere a rendita. Altrimenti se deciderò di restare nel paese e allo stesso tempo poter fare avanti e indietro con l’Italia non avrò altra scelta che sposarmi ed ottenere la famosa green card, sogno di tanti proletari in attesa di gloria economica.

Nel momento in cui scrivo ci sono nel paese qualcosa come undici milioni di persone “illegali”, gente che arriva da una base sociale ben più misera di quella di chi scrive e che è disposta a lavorare nelle cucine, nel delivering, nell’edilizia… anche per 500$ a settimana; sono pronto a scommettere che i soggetti più esposti possono arrivare anche ad accettare condizioni peggiori. Fanno sorridere amaramente questi numeri si si considera la più recente propaganda sull’immigrazione, in realtà ha perfettamente senso far restare enormi masse di disperati senza alcun tipo di tutela così che si possono sfruttare questi lavoratori, ad un tasso più alto rispetto a quello “medio” di quelli “legali”. Le cifre di questi salari possono sembrare allettanti per chi vive nel vecchio continente ma, se per un attimo si considerano i prezzi degli affitti nella grande mela, ci si ritrova di colpo con la pelle d’oca. Porto il mio esempio per cercare di far capire la proporzione rispetto al salario: vivo in un basement (sotto terra) a Brooklyn con lo chef del ristorante in cui lavoro e spendiamo 1500$ al mese con tutte le utenze incluse, nello specifico il quartiere si chiama Williamsburgh ed è uno dei più vicini a Manhattan, a venti minuti di metro da dove si trova il ristorante. Se invece si vuole vivere in superficie, basti pensare che l’appartamento sopra il nostro basement è affittato a 2800$ al mese, bollette escluse che possono variare tra i 300 e i 500$ mensili. I prezzi delle “case” a Manhattan sono fra i più alti al mondo, considerata anche la densità di miliardari che ci vivono e la domanda sempre eccessiva rispetto all’offerta. Cifre (dai 3mila$ in su per spazi minuscoli) che consentono di essere raggiunte solo se si fanno lavori da colletto bianco o comunque molto specializzati (banche, fondi investimento, studi di avvocati etcc). Per chi non è così abile o fortunato la soluzione è spostarsi abbondantemente verso la periferia, in questo caso però il denaro che si risparmia nell’affitto si è costretti ad investirlo nel tempo per andare e tornare da lavoro.

Con il mio visto, teoricamente, non avrei potuto lavorare regolarmente perché “turista” ma in realtà se si hanno delle conoscenze, l’hospitality ha sempre un posto a disposizione per te. Specialmente se hai dei contatti dall’Italia come me la strada è un po’ più spianata: lavoro assicurato, casa e una base di conoscenze da cui partire. Non importa se completamente a nero e senza nessun tipo di prospettiva, l’importante è sapere che alla fine della settimana avrai guadagnato fra i mille e i millecinquecento dollari. Cifre rispettose considerando che lavoro soltanto a cena dalle 16.30 alle 23. Negli anni la percentuale della mancia nei ristoranti si è stabilizzata sull’ordine del 18/20% del conto finale, una cifra che consente di vivere in maniera dignitosa se si ha un piede mezzo in Italia e mezzo negli Usa come chi scrive, non dovendo per forza sottoscrivere una delle costosissime assicurazioni sanitarie. Rispetto al messicano di turno che guadagna la metà, lavora molto più tempo e che abita ad una o due ore di treno dal luogo di lavoro, me la passo piuttosto bene. Non solo sono importanti dunque le distinzioni fra classi ma anche quelle all’interno delle singole.

La cosa magica che succede nell’hospitality americana è che il sistema di pagamento non è meccanicamente agganciato al tempo lavorato ma alle cosiddette tips, le mance.

È un sistema ancora in piedi e ben oliato che affonda le sue radici storiche nello schiavismo.

I primi neri che venivano liberati dai campi come ex-schiavi e che lavoravano nelle varie taverne e ristoranti, non erano ritenuti degni di ricevere un salario come i bianchi, ma di volta in volta, dovevano sottostare alla benevolenza del cliente che, alla fine del pasto, poteva lasciare un extra per il servizio ricevuto. Un “cottimo” deciso al momento insomma, la quintessenza del feticcio della persona, il valore del tuo tempo appeso al filo del giudizio altrui. La cosa interessante è che in questo meccanismo, il capitalista, alias datore di lavoro, si ritrova fornito di una forza lavoro sul floor (in sala) quasi gratuita rispetto alla cucina, alla quale deve invece corrispondere una paga oraria, quindi agganciata al tempo. Per sintetizzare, in America i camerieri vengono pagati dal cliente invece che dal padrone. Un grande vantaggio per quest’ultimo che si trova costi del personale dimezzati rispetto alle normali condizioni del mercato. Per non parlare della capacità di spesa delle persone che vivono a Manhattan: un piatto di pasta per far capire, includendo tasse e mancia media, arriva a sfiorare i 30$! Dal loro punto di vista il migliore dei business possibili, e dal nostro? Di conseguenza chi lavora in sala deve cercare di trattare il cliente nel migliore dei modi possibili, prostituendosi come con le forze dell’ordine in caso di posto di blocco. L’intimità da raggiungere con i clienti più “esosi” può raggiungere in alcuni casi tratti feticistici, pena una mancia più bassa nel caso di qualunque screzio.

I bisogni della nostra specie, e di tutte le altre, sono minacciati dal sistema stesso che ci siamo dati per soddisfarli; non riusciamo a costruire un qualcosa che ci faccia entrare in risonanza con l’unico elemento che fa da premessa a tutto il resto: il nostro splendido ed unico pianeta. E’ responsabilità di ognuno, a prescindere dal contributo che può fornire alla causa, dare una spinta in avanti alle lancette della storia per non restare schiacciati sotto il peso delle regole da noi stessi create. Partendo dalle priorità: bisogni, tempo e denaro. Cosa, sennò?

 

Lerricci

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