Nell’area industriale di Prato si è sviluppata, nelle scorse settimane, una lotta, l’ennesima, che ha messo in discussione una delle tante realtà di sfruttamento selvaggio e totalmente deregolamentato che costellano tutti i settori produttivi del paese.

Stavolta la rabbia degli operai (tutti immigrati originari del Pakistan) organizzati nel SI Cobas è esplosa in una tintoria, la DL: proprietari cinesi, turni da dodici ore, sette giorni su sette, furti regolari in busta paga, nessun giorno di ferie e largo utilizzo di lavoro nero.

Trenta lavoratori entrano in sciopero per giorni, chiedono contratti regolari, inquadramenti decenti, la fine dei furti di tredicesima e tfr in busta paga e iniziano a presidiare i cancelli della tintoria facendo sentire la propria voce. Dopo due settimane di scaramucce in cui intervengono, come succede di solito, anche le forze dell’ordine viene concesso un primo tavolo di trattativa che si conclude con un nulla di fatto. Come accade spesso i padroni utilizzano la trattativa più per fermare una lotta che sta diventando scomoda e sconveniente che per trovare un accordo con i lavoratori e regolarizzarne la condizione.

Il 16 aprile avviene il momento di rottura, la polizia interviene in forze sul presidio (determinato ma pacifico) e trae in stato di fermo tre partecipanti che vengono portati di peso in questura. Lavoratori e solidali organizzano un presidio per richiederne la liberazione e la sera stessa vengono tutti rilasciati. Il giorno dopo, appoggiati da lavoratori provenienti anche da altre aziende della zona il picchetto è così partecipato e combattivo che la DL è costretta a concedere un ulteriore tavolo e un accordo che regolarizzi le condizioni di lavoro all’interno della fabbrica.

Tutto ciò che è accaduto di fronte a questo impianto ricalca la storia di tante altre vertenze sparse su tutto il territorio, in tutte le zone industriali. Realtà di sfruttamento totalmente fuori da ogni limite legale placidamente accettate dagli organi teoricamente preposti al controllo, organi che non si muovono di un millimetro fin quando non sono gli stessi operai che, esasperati da condizioni di vita e lavoro brutali, non decidono di buttare via la paura e organizzarsi. A questo punto, scoperta la selva di illegalità, l’ordine pubblico prende di mira i lavoratori che si ritrovano ad affrontare un padrone inflessibile che a volto scoperto vuole solo massimizzare i propri profitti e la polizia che non si fa scrupoli a colpire lavoratori e militanti sindacali come se da loro derivasse la situazione di illegalità all’interno dell’azienda di turno. Una situazione che svela in maniera cristallina la collusione tra Stato e padroni e la linea sottilissima tra metodi legali ed illegali nella gestione aziendale di molte piccole, medie e grandi imprese.

🔴 BOTTE DELLA POLIZIA AGLI OPERAI CHE CHIEDONO DIRITTI. TRE FINISCONO IN CELLA.➡️ È successo davanti alla Tintoria DL…

Pubblicato da Firenze dal Basso su Martedì 16 aprile 2019

I media borghesi, quando ne parlano, tendono a raffigurare le lotte più avanzate e radicali dei lavoratori come lotte guidate da militanti estremisti ed avventuristi, affezionati ideologicamente alla lotta di classe (o allo scontro con le forze dell’ordine) ma la realtà è ben diversa: sono i padroni che sanno benissimo come farla, la lotta di classe, e che armi usare per sfruttare meglio i lavoratori ed estorcergli quanto più possono, finché possono, con la copertura dello Stato. Quel “finché possono” è sempre dettato dal coraggio e dall’organizzazione dei lavoratori che, quando decidono di non accettare più tutti i soprusi che quotidianamente gli cadono in testa iniziano a lottare, non perché qualcuno glielo suggerisca, ma perché gli scioperi, i picchetti e le occupazioni, sono le armi storiche che da sempre si da la classe operaia, le armi che gli consentono di battersi ma anche gli consentono, partendo da una piccola vertenza, di svelare il mondo al rovescio costruito sul profitto dei capitalisti e preservato dalla “legge” dello Stato, quella che da una parte, ipocritamente ed in teoria, condanna lo sfruttamento, dall’altra lo difende a spada tratta ogni volta che un lavoratore la mette in discussione.

CM