Il bonapartismo e il cesarismo sono due termini molto utilizzati nella tradizione marxista, a cominciare da Marx ed Engels così come da Trotsky, Gramsci e altri. Essendo concetti operativi per pensare analiticamente e strategicamente l’evoluzione dei regimi politici, il loro uso include sia analisi precise e ben fondate, sia un uso che potremmo dire più d’occasione e meno rigoroso. Al di là degli esempi storici specifici ai quali più aderiscono queste categorie, le tendenze autoritarie crescenti nelle democrazie che vanno degradando sembrano permettere una generalizzazione del loro uso per analizzare le pratiche più varie, dal governo per decreto al ricorso alle forze armate e/o a forze di sicurezza private per esercitare il potere. Proprio questo tipo di generalizzazione, che sembra mostrarsi utile, finisce per sminuire la forza di questi concetti.

Su questi temi, presentiamo un’intervista di Juan Dal Maso, autore tra gli altri di “El marxismo de Gramsci“, a Francesca Antonini, ricercatrice e studiosa del pensiero gramsciano.


Il tema del bonapartismo e del cesarismo ha generato diverse polemiche dentro e fuori il marxismo. La prima domanda è: il bonapartismo e il cesarismo sono termini equivalenti? Qual è la differenza?

Le categorie di cesarismo e di bonapartismo sono nate nella Francia della metà del XIX secolo ed inizialmente avevano un significato distinto. Mentre ‘bonapartismo’ era riferito ai seguaci di Napoleone Bonaparte, ‘cesarismo’ indicava una forma di potere fondata sul sostegno della forza militare che subentra alla monarchia ereditaria in situazioni di crisi. Poco dopo la loro comparsa, tuttavia, questa distinzione è venuta meno e i concetti sono stati utilizzati, di fatto, come sinonimi, finendo per descrivere più genericamente una forma di politica autoritaria e monocratica. Tale formulazione ‘decontestualizzata’ si rintraccia, ad esempio, già nei testi di Proudhon (cfr. in particolare Idée générale de la révolution au XIXe siècle e Révolution sociale démontrée par le coup d’État, scritti all’indomani del colpo di Stato di Luigi Napoleone), che fa del cesarismo uno dei due poli della sua concezione teleologica ‘dilemmatica’, vedendovi cioè la sola alternativa al non governo e all’anarchia, nonché l’unica possibilità di produzione di una situazione rivoluzionaria (!). Inoltre, fra XIX e XX secolo, ‘bonapartismo’ e ‘cesarismo’ sono stati impiegati tanto come categorie storiografiche quanto come strumenti di polemica politica contingente: ciò è al tempo stesso causa del grande successo delle categorie ma anche della confusione che (sino ad oggi) le circonda. All’interno della tradizione marxista queste categorie hanno goduto di una particolare fortuna sulla scia del Diciotto Brumaio di Marx, ma anche questo impiego in senso marxista non è affatto immune alle ‘difficoltà’ più generali connesse all’uso delle categorie – nonostante Marx, nella famosa prefazione alla seconda edizione del Diciotto Brumaio (1869), metta in guardia dall’utilizzare la «frase scolastica, ora così corrente […], del cosiddetto cesarismo», è lo stesso Engels ad utilizzare la categoria per descrivere la natura del dominio politico di Bismarck (cfr. Gewalt und Ökonomie bei der Herstellung des neuen Deutsches Reiches, 1896). Sulla scia della formulazione engelsiana il modello cesaristico-bonapartista diventa quindi un Leitmotiv del marxismo successivo, venendo applicato a svariati contesti storico-politici (e, in primis, dopo la prima guerra mondialeal sorgere del fascismo e del nazismo).

Quanto è importante la questione del bonapartismo nel pensiero di Marx e particolarmente nella sua riflessione sulla conformazione dello stato moderno?

La riflessione di Marx sul bonapartismo (così come si articola nelle opere storiche marxiane, dalle Lotte di classe in Francia, passando per il Diciotto Brumaio, fino alla Guerra civile in Francia, solo per citare gli scritti principali) è strettamente connessa alla sua riflessione sulla natura dello Stato, tanto in un’ottica storica quanto teorica. Da quest’ultimo punto di vista, l’analisi della dittatura bonapartista di Luigi Napoleone fornisce una chiave di lettura preziosa del pensiero marxiano su struttura e superstruttura, proponendo un’interpretazione in parte diversa da quella contenuta in altri testi ‘classici’ di Marx, dal Manifesto in avanti. Sinteticamente, la tematica del bonapartismo pone la questione dell’autonomia o dell’eteronomia della politica rispetto alla dimensione economica, e in quanto tale è stata oggetto di un acceso dibattito all’interno del marxismo (nonché fra marxisti e non marxisti).

Hai fatto uno studio sull’utilizzo dei concetti di bonapartismo e cesarismo negli scritti precarcerari di Gramsci. Come definiresti quest’uso e le sue trasformazioni?

Nei suoi scritti precarcerari Gramsci usa innanzitutto la categoria di bonapartismo per sottolineare (in maniera estremamente polemica, grazie anche all’avvicinamento alla figura di Cadorna) la distanza fra dirigenti e diretti, prima dall’interno, quindi dall’esterno del PSI. La formula dell’‘equilibrio delle forze di classe’ (strettamente connessa al modello bonapartistico-cesarista nella riflessione marxista otto-novecentesca) si intreccia quindi alla questione dell’adozione (e, poi, dell’abbandono) del modello terzinternazionalista della crisi catastrofica del capitalismo. Per quanto riguarda specificatamente il cesarismo, prima dei Quaderni questa categoria è di fatto marginale all’interno del pensiero gramsciano – egli usa questa terminologia solo in maniera polemica in riferimento al fascismo. Ad un’analisi del nascente regime fascista sono poi dedicate diverse analisi della seconda metà degli anni Venti in cui il modello marxiano del Diciotto Brumaio ha un ruolo importante. Nel complesso si può affermare che, nella produzione giornalistica precarceraria di Gramsci, il modello bonapartistico-cesarista ha uno spiccato significato polemico (comprensibile, d’altra parte, vista la tipologia dei testi considerati), ma nel contempo si va facendo strada anche un uso più propriamente concettuale-interpretativo che troverà poi ampio sviluppo nelle note del carcere (pur con alcune significative differenze fra scritti carcerari e precarcerari).

Parlando dei “Quaderni del carcere”. Tu scrivi che dobbiamo analizzare la questione del cesarismo e del bonapartismo in stretto rapporto con le concetti di rivoluzione passiva e crisi organica. Perché?

Nella mia indagine sulle categorie di cesarismo e bonapartismo nel pensiero di Gramsci ho adottato un rigoroso metodo filologico, cercando di far emergere “il ritmo del pensiero in isviluppo”, secondo la metodologia sviluppata dalla critica gramsciana più recente. Lavorando in questa maniera sui Quaderni del carcere ho potuto notare come il sorgere ed articolarsi della riflessione sul cesarismo fosse strettamente collegato all’indagine di Gramsci sulle caratteristiche peculiari del panorama socio-politico tardo ottocentesco e inizio novecentesco. In particolare è emersa una stretta connessione con la tematica della crisi organica (o crisi di egemonia, o crisi di autorità), di cui il fenomeno cesarista è al tempo stesso manifestazione e ‘soluzione’, nella misura in cui il ‘Cesare’ si pone come alternativa super partes (o apparentemente tale) agli schieramenti tradizionali in difficoltà. Per quanto riguarda invece il rapporto fra cesarismo e rivoluzione passiva, le due categorie trovano una radice comune nella riflessione sulle forme della transizione storica così come teorizzata da Marx nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica, su cui ci si sofferma ampiamente nei Quaderni. A partire da questa base, è possibile identificare alcuni elementi comuni alle due categorie, che mettono in evidenza una fitta rete di relazioni concettuali all’interno del pensiero gramsciano.

Trotsky ha formulato molteplici riflessioni sulla questione del bonapartismo in Europa (Germania e Francia specialmente), l’URSS e l’America Latina. Pensi che sia possibile lavorare teoricamente attorno a una convergenza di quelle elaborazioni e quella di Gramsci?

Tanto la riflessione di Gramsci quanto quella di Trotsky si inseriscono all’interno di un medesimo filone di indagine in chiave marxista, e, nello specifico, cesaristico-bonapartista, del panorama politico europeo del primo dopoguerra e del sorgere dei fenomeni dittatoriali (anche se la prospettive di Trotsky è più ampia, tanto dal punto di vista cronologico quanto da quello geografico). A questa linea interpretativa possono essere ascritti anche altri pensatori dell’epoca, tutti o quasi riconducibili ad un marxismo in senso lato ‘eterodosso’, come ad esempio Otto Bauer o August Thalheimer. È senza dubbio possibile evidenziare dei punti in comune fra le diverse interpretazioni proposte e dall’analisi storiografico-concettuale possono sorgere interessanti spunti di riflessione teorica più generale, anche in un’ottica attualizzante. Rientra d’altra parte fra i miei progetti di ricerca futuri un’indagine della storia delle categorie di cesarismo e di bonapartismo nel XX secolo (entro cui si colloca dunque anche un’analisi di questo filone marxista), con un occhio ai riflessi di questa storia nella teoria politica contemporanea e, in particolare, con riferimento alla categoria di populismo di cui i concetti di cesarismo e di bonapartismo sono in un certo senso i ‘precursori’.

Possiamo utilizzare i concetti di bonapartismo e cesarismo per analizzare fenomeni politici come quelli che rappresentano Trump, Bolsonaro o Salvini?

Anche alla luce della domanda precedente credo sia legittimo utilizzare categorie come quelle di cesarismo e di bonapartismo per studiare le tendenze politiche contemporanee e in particolare i fenomeni populisti che avanzano in varie parti del mondo (Europa, Nord America, America Latina). Sono però anche convinta che questi concetti non vadano ‘appiattiti’ sulla contemporaneità, e che debba essere sempre tenuta in considerazione la loro dimensione storica, ovverosia il contesto in cui sono nate e si sono sviluppate. Se così non si fa, il rischio è infatti quello di cadere in una polemica ideologica sterile e fine a sé stessa.

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Francesca Antonini è attualmente ricercatrice postdoc presso il LabEx COMOD (Université de Lyon) e l’UMR 5206 Triangle (ENS de Lyon). Ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2015 presso l’Università di Pavia ed è stata borsista della Fondazione Luigi Einaudi di Torino. Si è occupata a lungo del pensiero di Antonio Gramsci, della storia del marxismo e del comunismo, della storia del pensiero politico del primo Novecento. Fra le sue pubblicazioni più recenti si segnalano il saggio Gramsci, il materialismo storico e l’antologia russa del 1924 («Studi Storici», 2, 2018, pp. 403-435) e la curatela (con G. Guzzone) del numero monografico su Gramsci della rivista «Materialismo storico» (L’estensione dell’ideologia: folclore, religione, senso comune, buon senso, filosofia). È inoltre co-curatrice di un volume in corso di pubblicazione presso Brill/HM Book Series (Revisiting Gramsci’s Laboratory: History, philosophy and politics in the “Prison Notebooks”). Sempre presso Brill/HM Book Series è di prossima uscita la sua monografia sulle categorie di cesarismo e bonapartismo nel pensiero di Gramsci (Bonapartism and Caesarism in Gramsci’s Thought).

Nato a Buenos Aires nel 1977, vive a Neuquén. Membro del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS) dal 1997, è autore di "Il marxismo di Gramsci. Note sui quaderni del Carcere" (pubblicato in spagnolo, portoghese e italiano) e "Hegemonía y lucha de clases. Tres ensayos sobre Trotsky, Gramsci y marxismo" (Ediciones IPS, 2018), oltre a vari articoli su temi della teoria marxista.