Quando i fratelli Lumière inventarono il Cinematografo, nel lontano 1895, dichiararono più volte: “Il cinema è un’invenzione senza futuro”.


Considerando l’importanza che questo medium ha avuto nel corso degli anni, si potrebbe dire che l’ipotesi dei due imprenditori si sia dimostrata completamente errata. Nel 1921 il critico cinematografico Louis Delluc tenne una conferenza al cinema Colisée, iniziando il discorso dicendo: “Signore e signori, il cinema non esiste ancora!”. Considerando, ancora, il periodo storico in cui venne pronunciata tale frase, nuovamente il ragionamento pare essere errato. Negli anni ’20, già si parlava di linguaggio cinematografico, di montaggio delle attrazioni, di montaggio alternato ma, soprattutto, si parlava di avanguardie artistiche. Tutte le arti, parvero fondersi nel cinema, creando vere e proprie “correnti” ( impressionismo, espressionismo, verismo poetico…). I futuristi vedevano nel cinema l’emblema dell’arte pura, perché capace di creare un connubio tra: arti (teatro, pittura, scultura, musica, letteratura, architettura) movimento e tecnica. Quindi: il cinema è un’arte? O meglio, è stata un’arte?

“Mi sembra che oggi il cinema rischi una vera e propria regressione, trasformandosi in un intrattenimento puramente infantile””, ebbe a dire il grande regista western Sergio Leone. Seguendo questo immaginario collettivo, il cinema, oggi, è solo un’industria. Peggio ancora, un’industria del reale. Il cinema nasce come arte popolare, perché ritenuto uno specchio della società, un modo innovativo per far scoprire nuovi mondi a gente povera, per istruire le masse, per dare una voce a chi una voce non l’ha mai avuta.

Il cinema è lo specchio di una società: cosa riflette, oggi, questa “arte industriale”? Una Hollywood che investe i propri capitali in film di guerra, supereroi o commedie romantiche. Un’Europa i cui film raramente durano più di una settimana nelle nostre sale, distrutta dalla spietata concorrenza americana e dai colossi USA che dominano il botteghino. Il cinema ci intrattiene, ci regala svago e popcorn, ma cosa accade quando, finito il film, abbandoniamo il buio della sala? Nulla. La vita continua e quelle due ore, quel film, paiono non averci lasciato niente. Il cinema riflette il vuoto: il vuoto delle idee (non sono un caso questi continui reboot, sequel, prequel…), il vuoto di attori o personaggi ( o incontriamo sempre gli stessi interpreti, o gli interpreti diventano così tanti da perdere ogni tipo di importanza, finendo nel dimenticatoio collettivo), la mancanza di un ricambio generazionale, la mancanza di voci nuove. Se l’America della Grande Depressione o l’Italia del secondo dopoguerra furono capaci di mutare disagio e disperazione di un’epoca in pura arte cinematografica (o arte in genere), oggi siamo talmente anestetizzati da non percepire nemmeno la necessità di trasformare questo ridondante horror vacui in uno sfogo artistico.

Quindi, che il cinema sia veramente un’invenzione senza futuro? Siamo stati capaci di annullare un eventuale avvenire per questa ibrida creatura? Considerando le tecnologie di cui disponiamo, la cultura che abbiamo sempre più a portata di mano e quel briciolo di sensibilità umana rimasta negli aspiranti artisti, forse, si potrebbe aiutare il cinema (e l’arte nella sua complessità) a (ri)nascere e ad esistere. Il cinema è figlio del tempo che lo produce: un tempo e una società migliori daranno futuro al cinema.

Sabrina Monno

 

 

Nata a Bari nel febbraio del 1996, laureata presso la facoltà DAMS di Bologna e studentessa presso Accademia Nazionale del Cinema, corso regia-sceneggiatura. Lavora prevalentemente in teatro, curando reading di lettura e sceneggiature.