Si apre domani il XIX Congresso nazionale della CGIL a cui sarà interverrà anche la premier Giorgia Meloni, una partecipazione che conferma la linea “compatibilista” nei confronti del governo voluta da Landini e che rischia di spaccare in due la burocrazia sindacale. Nel percorso che ha portato all’elezione dei delegati per il Congresso, l’opposizione di sinistra in CGIL ha riportato un risultato deludente che evidenzia la necessità di cercare forme di organizzazione politica alternative e autonome per i lavoratori sindacalizzati. Anche per questo motivo sarà centrale essere tutti il 25 Marzo a Firenze per difendere GKN.


 

Tra il 15 e il 18 marzo si terrà, a Rimini, il XIX Congresso nazionale della CGIL. Com’è da tradizione, a distanza di quattro anni dall’ultimo Congresso, si riuniranno quindi delegati, funzionari, dirigenti e, non da ultimo, iscritti del più grande sindacato d’Italia per discutere l’indirizzo programmatico dell’organizzazione nell’immediato futuro.

La prima fase congressuale si è svolta dal 30 settembre al 10 dicembre 2022: si sono tenuti 43.211 congressi di base, di cui 37.220 sul posto di lavoro e 6.011 territoriali.

Poi è stata avviata la seconda fase, in particolare dall’11 dicembre 2022 al 24 febbraio 2023. In questo caso sono stati 1.939 i congressi svolti. Il percorso congressuale ha eletto al congresso nazionale 986 delegate e delegati.

L’ultimo Congresso (gennaio 2019) ha visto l’elezione dell’attuale segretario generale, Maurizio Landini, succeduto a Susanno Camusso. Nel complesso, il profilo che era emerso in quell’occasione era (almeno a parole) quello del sindacato “di opposizione”, apertamente critico nei confronti del governo di allora, guidato da Lega e M5S. 

Si tratta di una premessa importante, soprattutto alla luce delle notizie dell’ultima ora che hanno annunciato la partecipazione di Giorgia Meloni al Congresso di Rimini. La leader di FdI sarà il primo premier ad intervenire al Congresso CGIL dopo 27 anni, e il primo premier di destra in assoluto. Un fatto che stupisce non solo per l’eccezionalità dell’accostamento, ma anche per la legge di bilancio che il governo Meloni ha appena varato, una legge che reintroduce i voucher per giovani precari e istituisce una flat tax per i lavoratori autonomi che di fatto scarica sulle spalle dei lavoratori dipendenti il peso della fiscalità nazionale. Per non parlare delle misure sui fringe benefit a vantaggio dei redditi più alti e che quindi inevitabilmente frammenteranno ancora di più la classe lavoratrice.


Leggi il nostro articolo sulla legge di bilancio 2023 qui.


A questo si aggiunge l’aggressione che la sede della CGIL di Roma ha subito in data 9 ottobre 2o21 ad opera di forze neofasciste che, se non sono direttamente legate a Meloni, le sono per lo meno “culturalmente affini”. Ricordiamo inoltre che, al tempo dell’aggressione, l’attuale ministro del governo Meloni Piantedosi ricopriva la carica di Prefetto di Roma. Suo commento di fronte all’attacco di matrice fascista era stato: “la cornice di sicurezza predisposta era adeguata”.

Non è da escludere che, con lo spostamento a “sinistra” (pur sempre all’interno del recinto social-liberista) del PD, Landini cercherà di assorbire il malcontento nei confronti del governo in operazioni di piazza espressive, sul modello delle passeggiatone per la pace o della manifestazione antifascista costituzionale di Firenze. L’invito della premier al congresso, fa emergere però chiaramente quanto l’idea di costruire una reale opposizione al governo, sul terreno dello scontro sociale, non sia nell’agenda della burocrazia CGIL. Del resto, sin dall’insediamento del governo ad ottobre, Landini aveva espresso la piena disponibilità alla collaborazione. Siamo di fronte a una svolta importante che non solo sconfessa gli indirizzi del Congresso precedente (che comunque non si erano mai concretizzati in azioni reali) ma che scontenterà non solo una fetta consistente della base, bensì anche larghi settori di dirigenti e funzionari.

 

I due documenti votati al Congresso

Procediamo però con ordine e ricostruiamo gli antefatti del prossimo Congresso, cercando di capire come si è arrivati a questo punto. In sede congressuale, verrà discusso un documento intitolato Il lavoro crea il futuro. Questo documento è stato elaborato negli scorsi mesi da dirigenti nazionali e territoriali e votato da delegati e iscritti in tutta Italia.

Leggendolo, però, ci si rende subito conto che la CGIL aveva configurato il suo XIX congresso per una stagione diversa (come evidenzia un compagno in quest’articolo). Il documento, infatti, risale al governo Draghi, in una fase in cui si credeva che la crescita vista nel 2021 sarebbe continuata, rendendo possibile un nuovo spazio di intervento pubblico (in due parole: altri prestiti dai fondi europei per la ricostruzione economica). Si evince, inoltre, un auspicio per la sospensione delle politiche di austerità sino al 2025, nel quadro di un clima internazionale ancora all’insegna della collaborazione.

Come si può immaginare, l’inasprirsi del conflitto russo-ucraino e la spirale inflazionistica hanno cancellato del tutto queste prospettive. Il documento su cui verterà l’intero Congresso, dunque, è già stato reso obsoleto dallo sviluppo dello scenario politico ed economico internazionale. Un problema che non sfugge anche ad alcuni dirigenti, come ad esempio Alessandro Genovesi, segretario generale di Fillea che, in un’intervista, ha dichiarato “c’è stato il cambio di fase: abbiamo elaborato il documento congressuale quando al governo c’era Mario Draghi, e, con tutti i limiti di quell’esecutivo, non c’è dubbio che la situazione con l’attuale governo sia molto diversa. Poi abbiamo dovuto rinviare il congresso a causa delle elezioni di settembre e, poi ancora, abbiamo dovuto prendere le misure al governo Meloni, un governo di destra-destra”.

In estrema sintesi, il documento mira a rilanciare il modello del sindacato “partecipativo” e a “conquistare con la contrattazione spazi di codeterminazione, fondati sul diritto all’informazione preventiva e al diritto di proposta”; insomma, il solito modello che vorrebbe superare la dicotomia conflittualità-partecipazione e trasformare il sindacato in un organo di gestione dall’alto del mondo del lavoro. Da segnalare anche l’appello rivolto a CISL e UIL per riformare una vera e propria unità sindacale delle tre sigle più rappresentative.

Nella platea dei 986 delegati/e, la quasi totalità (962) sono stati eletti per un documento completamente fuori fase, il che fa sorgere non pochi dubbi riguardo alle procedure preparative di discussione e votazione pre-Congresso (visto che la prima fase, come si diceva, è stata avviata il 30 settembre, quindi non così tanto tempo fa e, in ogni caso, in un periodo in cui l’inadeguatezza di Il lavoro crea il futuro era già evidente).

Gli altri 24 delegati sono stati eletti per il documento Le radici del sindacato, elaborato dai gruppi di opposizione Riconquistiamo Tutto, Democrazia e Lavoro e Giornate di Marzo. I risultati ufficiali hanno visto le Radici del Sindacato al 2,41%, 32.300 voti circa. Il documento esprimeva una posizione in favore dell’autonomia non solo del sindacato come organizzazione, ma anche e soprattutto della classe lavoratrice. Come dice il nome stesso, si auspica un ritorno al profilo conflittuale del sindacato, che dovrebbe riprendere a essere espressione degli interessi particolari di un solo gruppo sociale, quello dei lavoratori.

Nel complesso, hanno espresso il proprio voto 1.339.590 lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, su un totale di 4.931.458 iscritte/i alla Cgil. Una partecipazione quindi del 27% circa degli aventi diritto al voto, solo di poco inferiore a quella del congresso del 2018. Numeri che rispecchiano la passività generale che caratterizza la scena italiana degli ultimi anni. I due mesi che hanno preceduto il Congresso sono stati contrassegnati da una bassa partecipazione a discussioni e congressi di base e da un’ancora più bassa partecipazione alla votazione dei documenti. Tutte le voci dall’interno della CGIL riportano un clima generale di apatia e rassegnazione.

Clima dato non solo dalle scelte soggettive della CGIL (che ormai da tempo ha deciso di non convocare più scioperi veramente nazionali e che non è nemmeno riuscita a coinvolgere la CISL all’appuntamento dello scorso dicembre), ma che emerge anche dalla base. I compagni dell’opposizione hanno osservato infatti che “in questi mesi non c’è stata una pressione di massa in questa direzione, e neanche una sollecitazione da parte di quella diffusa avanguardia costituita dalla rete di delegati, attivisti, dirigenti sindacali in aziende, fabbriche, enti, scuole e università. Gli scioperi del sindacalismo di base del 20 maggio e del 2 dicembre sono stati molto limitati, anche nei settori dove di solito hanno un impatto (trasporti e pubblici)”.

 

I problemi nell’opposizione CGIL

Non possiamo non ribadire in questa sede la critica che già abbiamo espresso verso la strategia di questi gruppi di opposizione. Il tentativo di spostare a sinistra i burocrati attraverso un’opposizione focalizzata sul “cambiare la CGIL”, prevalentemente tramite l’inserimento in posizioni dirigenziali, non può che risultare velleitaria all’interno di un apparato egemonico della classe borghese qual è la CGIL. I fatti degli ultimi mesi sembra ci abbiano dato ragione: l’opposizione di sinistra non è praticamente esistita nei due mesi preparatori al Congresso e il documento proposto ha preso anche meno del solito.


Leggi il nostro articolo sulla burocrazia sindacale in Italia sulla rivista Egemonia.


L’opposizione CGIL non ha fatto nulla per organizzare i lavoratori integrando l’opposizione all’interno del sindacato con la creazione di organismi indipendenti dal sindacato (come coordinamenti\consigli di lavoratori al di là delle sigle sindacali) di modo tale da contendere realmente l’influenza delle burocrazie e scuotere la passività della base. E sicuramente questo è anche il motivo per cui l’opposizione è stata del tutto assente nella lotta del Collettivo di fabbrica GKN, lotta che aveva le potenzialità per lanciare quella sfida alla burocrazia CGIL in cui l’opposizione stessa tanto spera e che ha realmente rappresentato un modo alternativo di fare sindacato.


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Detto questo, come il decorso della vertenza GKN sta mostrando in negativo, solo organizzazioni politiche che facciano dell’intervento nella classe il proprio asse politico, all’interno di una prospettiva strategica rivoluzionaria,  potrebbero generalizzare esperienze del genere. Forme di auto-organizzazione operaia dal basso vanno quindi integrate in un lavoro di costruzione di una tendenza rivoluzionaria nei sindacati di massa.

 

Conclusioni: alcuni scenari

La recente vittoria di Schlein alla segreteria del PD porterà senza dubbio le burocrazie sindacali a cercare sponda nel centro-sx. L’idea sarebbe quella di tornare a inquadrare il sindacato nella lotta politica e a riagganciare le burocrazie (non i lavoratori, ça va sans dire) alla sinistra borghese.

In questa direzione si sono già mossi settori dell’ala più moderata (la cosiddetta destra CGIL), fra cui, ad esempio, i responsabili della CdLM di Roma Est. Nei recenti congressi lombardi più di una voce è risuonata a chiedere, addirittura, di sospendere eccezionalmente l’autonomia politica della CGIL nelle prossime elezioni regionali, per la possibilità/necessità di sconfiggere la destra.

Questo stride con la presenza di Meloni al congresso. Il governo Meloni ha portato al potere una destra che ha promosso l’UGL a quarta confederazione, ha cancellato il RdC, ha varato una legge di bilancio estremamente dannosa per il lavoro e, non da ultimo, estenderà ulteriormente la precarietà (si veda la reintroduzione dei voucher).

Sarà da vedere come un settore molto forte e radicato di burocrazia prenderà questa strada compatibilista tracciata da Landini. Sono di notevole portata quindi le tensioni e contraddizioni che questo congresso porta con sé, ma che, non essendo espresse nell’obsoleto documento congressuale, rimarranno paradossalmente sospese o del tutto ignorate. Almeno per il momento. 

Nel complesso, però, rimane il dato del deciso ritorno alla storica prospettiva riformista e produttivista del gruppo dirigente CGIL, che nei momenti di crisi ha sempre assunto su di sé un compito di moderazione salariale e modernizzazione produttiva in nome degli interessi generali del paese, mettendo di fatto il sindacato a servizio degli equilibri capitalistici e delle classi dominanti del paese”.

In questo contesto, non possiamo che lanciare un invito a partecipare in massa alla manifestazione nazionale di sabato 25 marzo a Firenze per difendere il Collettivo di Fabbrica GKN dalle minacce di liquidazione da parte della proprietà. Un appuntamento fondamentale in una fase cruciale di un percorso di lotta che ha dimostrato che dei lavoratori sindacalizzati possono ancora trovare forme organizzative conflittuali autonome rispetto al sindacato.

Sarà inoltre un’occasione per lottare contro le istituzioni che bloccano l’intervento pubblico in GKN e soprattutto contro il governo che con questa legge finanziaria ha di fatto dichiarato guerra al mondo del lavoro. A differenza che al Congresso della CGIL, sabato 25 a Firenze Giorgia Meloni non sarà invitata.

 

Marco De Leone

Vive in Veneto. Lavora come precario nel mondo della scuola.