L’omicidio di una giovane da parte del fratello a Caivano, provincia di Napoli, per via della sua relazione con un ragazzo trans*, ha rivelato la mancata accettazione, anche da parte di componenti del movimento femminista, delle soggettività trans*.


Nella giornata di ieri si è diffusa la notizia dell’ennesimo, gravissimo, atto di violenza patriarcale: una giovane donna è stata ammazzata a Caivano, provincia di Napoli, “punita” dal fratello che non ha accettato la sua relazione con un ragazzo trans*.

Un femminicidio brutale mosso dalla transfobia, dal machismo e dalla misoginia. Una donna morta perché nella famiglia patriarcale le donne sono proprietà dei padri, dei fratelli e Maria Paola (la ragazza uccisa) era una proprietà da rieducare.

Ma non è assolutamente l’unica vittima di questa storia.

Ciro, il ragazzo che Maria Paola amava, colpevole di essere una persona trans* in una società eteronormata, patriarcale e capitalista, oltre ad essere stato allo stesso modo vittima dell’aggressione in cui ha perso la vita la giovane, ha subito e continua a subire attacchi transfobici e atti di violenza patriarcale nella loro espressione “socialmente accettata”: la narrazione tossica che media e politica hanno diffuso dell’accaduto.

Come per ogni violenza sistemica, infatti, la narrazione che ne è stata fatta non è stata meno feroce dell’avvenimento in se.

Numerosissime testate e blog d’informazione hanno raccontato l’accaduto parlando di “una coppia di donne”, “una relazione lesbica” invisibilizzando e demolendo l’identità del ragazzo, la sua libertà di scegliere e la sua stessa esistenza, dimostrando ancora una volta il livello di radicalizzazione del patriarcato come struttura sociale.

Nemmeno tutta l’ala delle femministe TERF (cioè transescludenti) si è risparmiata nella perpetrazione della violenza, sottolinenando il sesso biologico del ragazzo, sovradeterminando l’identità di una persona trans* e, come sempre accade nel caso del femminismo transescludente, riconfermando la sua natura reazionaria e divisiva. Il movimento transfemminista stesso ha l’interesse e il dovere a condurre una battaglia aperta che tolga una volta per tutte spazio e legittimità a posizioni del genere.

La storia di Ciro e Maria Paola mette ancora una volta in luce la necessità di combattere il patriarcato e il capitalismo, di combattere un sistema oppressivo che genera morte e violenza.

È necessario fare fronte agli attacchi di matrice patriarcale nei quartieri, nei luoghi di studio e di cura, sui posti di lavoro organizzando commissioni di donne e identità LGBTQIA+ rivendicando l’autodifesa antipatriacale come forma di lotta indelegabile.

È fondamentale lottare affinché ad ogni donna è ad ogni soggettività LGBTQIA+ vengano dati gli strumenti necessari per emanciparsi dalle famiglie d’origine che fin troppo spesso sono il primo luogo di violenza, oppressione e discriminazione.

L’indipendenza economica e sociale di chi appartiene alla comunità LGBTQIA+ è una battaglia più attuale che mai, che vede le sue radici nella rottura con un sistema malato che riproduce e sostiene, a partire dalle sue basi economiche, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e l’oppressione della famiglia, della società sulle donne e tutte le identità che non si conformano alla norma patriarcale.

Per rompere con l’abuso e la violenza è fondamentale serrare le fila del movimento transfemminista, affinché l’unione delle lotte di chi vive quotidianamente l’oppressione patriarcale e capitalista sia l’innesco necessario a distruggere questo sistema dalle fondamenta.

 

Ilaria Canale

Nata a Napoli nel 1993. Laureata in infermieristica all'Università "La Sapienza" di Roma, lavora nella sanità nella capitale.. È tra le fondatrici della corrente femminista rivoluzionaria "Il pane e le rose".