Dopo averlo promesso in campagna elettorale, il presidente francese Emmanuel Macron ha tutta l’intenzione di portare a termine il suo scellerato impegno: riscrivere il codice del lavoro.
Tale intento conferma la confusione e l’opportunismo di chi, magari “da sinistra”, aveva osannato il Presidente francese per avere invocato la nazionalizzazione dei cantieri, una pia illusione se pensiamo che quella dichiarazione era funzionale a salvaguardare gli interessi dei capitalisti francesi e non della classe lavoratrice.
I pilastri della riforma (si fa per dire) Macron sono poi sempre gli stessi, i punti salienti delle controriforme che nei vari paesi capitalisti hanno distrutto il diritto del lavoro: rafforzamento dei contratti aziendali, precarizzazione del lavoro, riduzione delle indennità di licenziamento e facoltà di licenziare “liberamente” gli operai per la suprema volontà dei padroni.
Il 12 settembre si è tenuto lo sciopero generale in Francia proprio contro la riforma che mira direttamente a distruggere il contratto nazionale con il silenzio assenso di parte del movimento sindacale. L’evento ha visto la partecipazione di oltre 500.000 tra studenti e lavoratori, tutti uniti contro il capitale francese, ed ha quanto pare non sarà l’unica manifestazione.
Quella indicata dal governo francese è la stessa procedura burocratica ampiamente utilizzata in Italia: il ricorso ai “decreti d’urgenza” è la stessa arma utilizzata da Renzi per il Jobs Act.
Già da tempo gli industriali e banchieri francesi chiedono di favorire la contrattazione di secondo livello ove le deroghe ai contratti nazionali sono più’ semplici, per esempio Confindustria francese voleva da tempo evitare la presenza del sindacato nelle aziende sotto 300 dipendenti. A tale richiesta la riforma Macron risponde astutamente di portare questa soglia a 50 unità e avviare in quella sede trattative solo con le rappresentanze aziendali. In sostanza si parla di piccole aziende, le quali però assorbono la metà della forza lavoro e produttiva francese, e così facendo pertanto si escluderebbe il dso, anche perché gli accordi aziendali e di secondo livello potranno spaziare su innumerevoli materie come salario, produttività, carichi di lavoro ed orari, cancellando di fatto quanto conquistato dalle storiche lotte operaie con i contratti nazionali.
Dal primo maggio 2018 saranno validi solo gli accordi votati dal referendum e con il consenso di almeno il 50% degli addetti, i quali vedendosi ricattati, in posizione subalterna, senza una tutela e contrapposizione sindacale in grado di controbilanciare gli equilibri di forza con i padroni , pare chiaro quali sarebbero gli esiti di tali “referendum”. Insomma un po’ come già accaduto in Italia con la FCA e Marchionne. Sulle questioni più’ rilevanti ci saranno invece procedure negoziali facilitate e basterà anche il consenso della maggioranza dei lavoratori.

Sono oltre 20 anni che è iniziata la crociata contro le tutele ed i diritti più elementari della classe lavoratrice; è ormai passato il concetto che le imprese più’ piccole vanno gestite senza i contratti nazionali o almeno ridimensionandone la portata e cosi’,i padroni, potranno, avere mano libera su questioni come durata dei contratti, salari, numero dei rinnovi, tempi determinati (durata e quantità degli stessi)
In caso poi di licenziamento illegittimo ci saranno i 10 mesi di stipendio per chi ha un’anzianità aziendale di 10 anni, 20 per chi ne ha una di 30 e più anni. Insomma sembra quasi di leggere il Jobs Act, non sarebbe scandaloso, anzi tutt’altro, se proprio le ultime riforme italiane siano anticipatrici e consigliere dell’attacco prestato dalla borghesia francese alla classe operaia.
Ma la vera genesi di tale provvedimento è tutta tedesca, in effetti essa guarda alla riforma emanata ai tempi del governo socialdemocratico. I decreti delega presentati da Macron si ispirano al modello tedesco che da anni ha messo al centro delle relazioni sindacali gli accordi aziendali depotenziando il contratto nazionale. Fu proprio la riforma del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder a inizio secolo che liberalizzò il mercato del lavoro, introdusse anche i mini job con la riforma che prese il nome di Peter Hartz già direttore delle risorse umane della Volkswagen. Fu ancora una volta la socialdemocrazia europea a tradire la classe operaia e le sue aspettative, spianando la strada all’iper-sfruttamento operaio, ed aprendo la strada a quello che il mondo del lavoro vive, ovvero il più grande attacco perpetrato dalla borghesia a partire dal secondo dopoguerra.
Macron distruggerà il potere di contrattazione favorendo le imprese e il loro potere decisionale. Chi aveva sperato nel “nazionalizzatore”, nello “statalista” Macron dovrà presto ricredersi.

Paolo Prudente

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).